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Processo Ponte Morandi, i consulenti in aula: “Crollo dovuto a un difetto occulto di costruzione, impossibile rilevarlo”

"I costruttori sapevano ma non lasciarono traccia di quel difetto che ha portato alla corrosione dei tiranti. Non poteva emergere alcun allarme"

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Liguria. Il crollo del ponte Morandi è stato determinato dalla corrosione dei cavi primari a causa di un “difetto di costruzione occulto” sull’antenna della pila 9. L’opera era sottoposta a controlli visivi ed altre indagini diagnostiche che tuttavia “non erano in grado di evidenziare la presenza del difetto” che era “evidentemente noto ai costruttori “ che tuttavia non ne lasciarono “alcuna traccia nella documentazione successiva che, al contrario, confermava una corretta realizzazione dell’opera”.

Sono queste le conclusioni a cui sono arrivati i consulenti tecnici nominati dai 16 imputati, ex dirigentei e tecnici di Spea, la controllata di Autostrade per l’Italia che aveva il compito di eseguire le ispezioni e i controlli sul viadotto Polcevera. Il documento, elaborato da dodici consulenti di parte e lungo 645 pagine, è stato depositato nei giorni scorsi e sarà la base dell’esame degli stessi consulenti che si svolgerà in aula, nel processo in corso per il crollo del viadotto, a partire dall’8 aprile.

Al di là del difetto, che i ’sorveglianti’ dell’opera non potevano conoscere, ribadiscono i consulenti, “la conoscenza delle condizioni dell’opera era adeguata e dalla raccolta e confronto di tutte le informazioni disponibili non emergeva, né poteva emergere alcun allarme sullo stato dell’opera”.

Il difetto costruttivo, che ha – in estrema sintesi – a che fare con il posizionamento dei cavi primari e con il tipo di guaina utilizzata che ha fatto collassare la griglia che doveva tenerli separati creando un groviglio che unito ai difetti di iniezione ha favorito la corrosione era già stato individuato dai periti del gip.

La conoscenza del difetto “è stata possibile solo dopo una attenta indagine post crollo condotta nel corso dell’Incidente Probatorio – sostengono i consulenti di parte – Infatti, sebbene il punto di innesco del crollo in corrispondenza del reperto 132 sia stato fin da subito individuato, la scoperta del difetto che ha innescato la corrosione nel reperto 132 è avvenuta solo a seguito di attività di sezionamento di parti della struttura durata diversi mesi”. Una vera e propria “autopsia del ponte” che nessuna indagine diagnostica avrebbe potuto rilevare mentre il Morandi era ancora in piedi.

Se il punto da cui si è originato il crollo individuato dai consulenti degli imputati ex Spea concorda con quanto rilevato dai periti del gip, vale a dire la sommità dello strallo lato Genova lato mare della pila 9 di diverso tenore sono le conclusioni circa le responsabilità. Se per i periti del gip esistono certamente “difetti costruttivi in fase di realizzazione”, tra le cause del crollo ci sono anche “la mancata esecuzione di indagini specifiche (demolizioni localizzate in corrispondenza delle estremità dei tiranti) necessarie per verificare lo stato dei trefoli dei gruppi primari, così come era stato raccomandato sin dal 1985” e l’assenza di interventi di restauro o di riparazione, che avrebbero dovuto essere eseguiti nel tempo per riparare il tirante difettoso”.

Per i consulenti invece le indagini vennero fatte sia con un sistema di monitoraggio sia con le prove riflettometriche che tuttavia non erano in grado “di individuare la corrosione localizzata in testa alla Pila 9” a causa dell’”ammassamento dei trefoli in corrispondenza del reperto 132, ammassamento in difformità
rispetto alla situazione di progetto, che prevedeva cavi isolati tra loro”. Per il resto il Ponte Morandi non aveva mai destato “segnali di attenzione od allarme che potessero mettere in evidenza quanto stava succedendo in corrispondenza del reperto 132” e “la struttura, al di fuori del difetto, era ben lontana da condizioni limite di sicurezza e aveva anche una abbondante vita utile residua”.

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