Approfondimento

Covid, vantaggi e differenze del vaccino Johnson & Johnson rispetto ad AstraZeneca

L'epidemiologo Icardi: "In futuro entrambi i vaccini potrebbero essere utilizzati al di sotto dei 60 anni"

vaccino covid

Liguria. Diventano ufficialmente quattro i farmaci a disposizione per la campagna di massa contro il coronavirus: da un lato i due sieri a mRna prodotti da Pfizer e Moderna, dall’altro quello di AstraZeneca e, dopo il via libera di Ema, Aifa e ministero della Salute, l’ultimo arrivato di Johnson & Johnson (nome ufficiale Janssen) che condividono lo stesso principio di funzionamento. Per il momento si tratta di poche dosi che nella nostra regione verranno usate anzitutto sui pazienti da vaccinare a domicilio, ma in futuro la disponibilità è destinata ad aumentare.

Ad oggi la prescrizione delle agenzie regolatorie su Johnson & Johnson è la stessa valida per AstraZeneca: sebbene l’uso sia “approvato a partire dai 18 anni di età, dovrà essere preferenzialmente somministrato a persone di età superiore ai 60 anni, ovvero a coloro che, avendo un rischio elevato di malattia grave e letale, necessitano di essere protette in via prioritaria”.

La raccomandazione è arrivata dopo il blocco temporaneo negli Stati Uniti che ha portato prima la Fda (l’agenzia del farmaco americana) e poi l’Ema a concludere che ci sono “possibili” legami di causa-effetto tra il vaccino americano e gli eventi “molto rari” di trombosi cerebrale. Si parla di 8 casi su oltre 7 milioni di persone vaccinate: circa uno su un milione. Tutti gli eventi si sono verificati in persone di età inferiore a 60 anni entro tre settimane dalla vaccinazione, per la maggior parte donne. E questo è il motivo principale per cui l’uso è consigliato al di sopra dei 60 anni. Sul bugiardino dovrebbe essere aggiunto un avvertimento su coaguli di sangue insoliti con piastrine basse.

Ma quindi dobbiamo aspettarci che il vaccino Johnson & Johnson sia in sostanza una “copia” di AstraZeneca, con gli stessi problemi? E perché il suo arrivo negli scorsi mesi era così atteso, mentre ora sembra entrare quasi in sordina nella campagna vaccinale? Per rispondere a queste domande abbiamo interpellato Giancarlo Icardi, epidemiologo e direttore dell’unità di igiene del policlinico San Martino di Genova.

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“La grossa differenza è che il vaccino Janssen prevede la somministrazione di una dose singola mentre gli altri, compreso AstraZeneca, richiedono due dosi – spiega Icardi -. Questo probabilmente si spiega col fatto che durante la sperimentazione è stato verificato che dopo aver somministrato prima dose il livello di immunogenicità (cioè la capacità di indurre una risposta immunitaria, ndr) era sufficiente per i successivi 9-12 mesi“.

Il vantaggio di un vaccino monodose è evidente soprattutto dal punto di vista logistico: chi lo riceve è subito protetto e non ha necessità di riceverlo una seconda volta. “È una grossa comodità – spiega Icardi – ma d’altronde che i vaccini dopo una dose proteggano lo sapevamo anche dai dati di Pfizer e Moderna. L’aspetto importante è che tutti questi vaccini alla fine proteggono dalla malattia ma soprattutto dalle complicanze dei casi più gravi).

Guardiamo qualche dato. Secondo quanto riportato sul sito del ministro della Salute, l’efficacia (cioè la protezione dalla malattia in forma grave) arriva fino al 77% dopo 14 giorni dalla somministrazione e fino all’85% dopo 28 giorni. Per quanto riguarda lo sviluppo di sintomi non gravi, invece, il 66,1% delle persone oggetto della sperimentazione (in tutto 44.325 persone) è risultato immune a 28 giorni. Nella scheda tecnica dell’Aifa non sono disponibili dati sulla protezione dal contagio.

Tra le reazioni avverse più comuni si segnalano dolore in sede di iniezione (48,6%), cefalea (38,9%), stanchezza (38,2%), mialgia (33,2%) e nausea (14,2%). Piressia (cioè febbre sopra i 38 gradi) è stata osservata nel 9% dei partecipanti. La maggior parte delle reazioni avverse si è verificata entro 1-2 giorni dalla vaccinazione ed è stata di severità da lieve a moderata e di breve durata (1-2 giorni).

Ma quali sono le differenze tecniche rispetto al vaccino AstraZeneca? “Entrambi i vaccini sono basati sulla stessa modalità di funzionamento, cioè vettori virali non replicanti, al cui interno è inserito il codice genetico della proteina spike del Sars-Cov-2. Questa informazione poi viene codificata dal nostro sistema immunitario che, vedendo la stessa proteina, entrando in contatto col virus produrrà anticorpi. A cambiare è il vettore virale utilizzato”, spiega Icardi. AstraZeneca, infatti, usa un adenovirus di scimpanzé, mentre Johnson & Johnson un adenovirus umano di tipo A26.

Ad oggi, come detto, il vaccino Johnson & Johnson viene riservato alle persone con più di 60 anni. Ma non è detto che le indicazioni non possano cambiare in futuro. “Di sicuro – riflette Icardi – potremo accelerare i tempi già da ora disponendo di un’arma in più, ma nulla vieta di estendere l’utilizzo via via che emergeranno nuove evidenze, visto che la scheda tecnica parla di somministrazione a partire dai 18 anni. Poi, da un punto di vista pratico si tratta di usare le risorse al meglio, e cioè sui soggetti più fragili”.

E lo stesso discorso, secondo l’epidemiologo, vale anche per AstraZeneca: il limite di utilizzo sotto i 60 anni potrebbe essere rimosso nell’ultima fase, quella della vaccinazione di massa, se dovessero arrivare nuovi studi che ridimensionano ulteriormente i rischi connessi alle trombosi.

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