A genova

Violenze ed estorsione su detenuto invalido in carcere: 46enne albenganese coinvolto nell’inchiesta

La presunta vittima avrebbe subito violenze da parte dei compagni di cella nel carcere di Genova Pontedecimo

carcere pontedecimo

Albenga. C’è anche un albenganese, M.C., 46 anni, tra i detenuti che sono stati raggunti da un’ordinanza di custodia cautelare per le presunte violenze, anche sessuali secondo la Procura, ai danni di un altro detenuto, M. A., 38 anni, invalido, specializzato in truffa alle banche e rinchiuso nel carcere di Pontedecimo.

Le persone finite al centro di questa delicata inchiesta sono proprio i compagni di cella di M.A.: oltre al 46enne albenganese, anche S. I., 32 anni, originario di Modica e M. C., 30 anni, di Genova.

Tutto sarebbe accaduto nel giro di tre mesi, dal marzo al maggio 2015: sulla vittima, secondo la ricostruzione degli inquirenti, si sarebbe scatenata un’escalation di violenze fisiche (sarebbe anche stato bruciato con un fornelletto elettrico), sessuali, ma anche minacce con richieste continue di soldi. Fino ad arrivare a un presunto debito di 18 mila euro.

Alla fine M. A. avrebbe però raccontato tutto alla zia che periodicamente si recava a fargli visita in carcere: la donna quindi denuncia tutto al commissariato di Sestri Ponente. Partono le indagini al termine delle quali nei confronti dei tre detenuti viene emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per le pesanti accuse di estorsione, lesioni gravi e violenze.

Il 30enne genovese M.C., nel frattempo, era stato scarcerato ed è stato arrestato a Milano, gli altri due invece erano ancora detenuti. L’albenganese M.C., assistito dall’avvocato Maria Luisa Formato, nello specifico è in cella nel carcere di Spezia dove è stato trasferito diversi mesi fa. L’uomo ha negato con decisione il suo coinvolgimento in questa vicenda che, peraltro, come emerge dal capo d’imputazione sarebbe comunque marginale. Lunedì, davanti al gip, ha spiegato di essere estraneo a quelle accuse: secondo la difesa, tra l’altro, M.C. e la presunta vittima avevano un rapporto di amicizia ed andavano molto d’accordo.

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