Cronaca

Savonese arrestata in Perù con 6 kg di coca, parla la sorella: “Simona non era un corriere. Chi sbaglia deve pagare, ma serve rispetto”

simona tatti dalia

Savona. “Non voglio difendere mia sorella, ha sbagliato ed è giusto che paghi. Ma credo che anche nell’errore si debba avere rispetto”. A parlare è Dalia Tatti, la sorella di Simona, la trentanovenne savonese arrestata la vigilia di Pasqua insieme all’amica Nicole Loi, di 32, all’aeroporto di Lima con l’accusa di traffico internazionale di droga. Le due donne sono state fermate dalle autorità peruviane che le hanno trovate in possesso di cinque chili e ottocento grammi di cocaina purissima.

Una notizia che è piovuta come un fulmine a ciel sereno per la famiglia di Simona Tatti: “L’abbiamo scoperto tramite l’ambasciata italiana in Perù – racconta la sorella – Noi non sapevamo nemmeno che Simona fosse là, credevamo si trovasse a Milano. Poi quella telefonata ci ha sconvolto: per una settimana non siamo riusciti ad avere sue notizie e dall’ambasciata non abbiamo avuto molto aiuto. Ci ripetevano che non potevano fare nulla, ma solo attendere che le autorità locali dicessero qualcosa”.

Poi finalmente, dopo sette giorni di silenzio, sono arrivate notizie da Lima: “Siamo stati trattati male: dall’ambasciata ci ribadivano che per colpa degli italiani che spacciano in Perù non siamo ben visti – si sfoga Dalia Tatti – Io capisco che sia un comportamento sbagliato, ma le autorità devono tutelare, non giudicare. Non siamo bestie e credo sia giusto pagare, ma nella misura corretta. Per questo abbiamo insistito e poi siamo riusciti a parlare con Simona che ci ha ribadito di aver avuto poco sostegno dall’ambasciatore. Lei e l’altra ragazza sono state lasciate da sole e invitate ad arrangiarsi”.

Dalia Tatti non nega di essere consapevole dell’errore commesso dalla sorella, non tenta di difenderla, ma non ci sta a vederla dipinta come un corriere della droga né tantomeno come un pezzo grosso dello spaccio di polvere bianca tra Italia e Sudamerica: “Se avesse viaggiato spesso all’estero l’avremmo saputo, ma non era così. Era la prima volta che si allontanava da Savona. Se fosse stata un corriere avrebbe avuto anche molti soldi, invece non ne aveva, anzi eravamo io e un’altra sorella ad aiutarla a mantenersi. E’ senza fissa dimora e ha perfino il tesserino per mangiare alla mensa della Caritas”.

“Io non so come sia finita in questo giro, ma sono sicura che sia stata tradita dal fatto di dare fiducia a chi non la meriterebbe. Simona ha un buon cuore e finisce per mettersi nei guai. Abbiamo tentato più volte di farla uscire dal tunnel della tossicodipendenza, ma senza successo. Ripeto che deve pagare per gli errori, ma credo anche che serva maggiore rispetto. E’ stata dipinta come una trafficante, ma si deve anche capire che le notizie vengono lette da tutti e che dietro ci sono anche delle famiglie – spiega Dalia Tatti -. Voglio tutelare la mia famiglia, i nostri genitori sono anziani e se mio padre leggesse certe cose, a 80 anni, avrebbe un infarto. Ho anche altre due sorelle e tre fratelli e siamo tutti incensurati”.

A proposito dei precedenti di Simona Tatti, che nel 2008 era rimasta coinvolta nell’operazione della Questura savonese ribattezzata “Scacco Matto”, dal nome del bar di via Mistrangelo diventato secondo gli investigatori il punto di ritrovo di un’organizzazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti (in quell’occasione era finita in manette insieme ad altre nove persone e aveva poi patteggiato a un anno e due mesi) la sorella ha precisato: “E’ stata in carcere per un mese a Pontedecimo solo per quella vicenda e per l’accusa di estorsione, non di spaccio”. Dopo essere stata arrestata dalla polizia la trentanovenne aveva anche respinto ogni accusa: quella di aver spacciato cocaina (“era per uso personale”) e quella di tentata estorsione ai danni di un tossicomane e di suo padre che non pagavano un debito di droga (“Io – aveva spiegato al giudice – mi sono intromessa solo per fare da paciere”).

Difficile, per ora, capire di più su come Simona Tatti e l’amica siano arrivate ad essere fermate con un “bagaglio” di quasi sei chili di droga all’aeroporto. Le indagini delle autorità peruviane sono ancora in corso e probabilmente serviranno a ricostruire come era organizzato il traffico di stupefacente sull’asse Italia-Sudamerica. Risposte che sono attese anche da Dalia Tatti e dagli altri familiari di Simona, “vittime” a loro volta, visto l’eco avuto dalla notizia in città, di quanto successo a Lima.

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