Celle Ligure. I suoi bambini le saltellano intorno, c’è chi traccia con un bastone disegni sullo sterrato, chi le regala due margherite gialle, la osserva con gli occhi di un figlio che vuole vedere sorridere la sua mamma. È difficile farlo per Nina, ma ci riesce. È una madre che, nella disperazione, guarda comunque con volto rassicurante i suoi bambini. Ha due occhi grandi e verdi questa ragazza. Poco più di trent’anni di normalità. Poco più di dieci giorni, di terrore. È arrivata a Celle con i suoi figli, sua sorella e i suoi nipoti. Fuggita da Vinnycja, trecentocinquanta chilometri da Kiev, capitale dell’Ucraina.
Lassù ha lasciato sua madre, amici che stanno combattendo in prima linea al fronte, amici che sono stati uccisi. Poco prima di partire, un aereo abbattuto è precipitato a terra, Nina pensava cadesse sulla sua casa.
“Preghiamo che la guerra finisca” parla a Ivg, la sua voce è stretta da un nodo alla gola, è subdolo questo dolore, che lentamente le toglie il fiato “mia mamma è voluta rimanere in Ucraina per fare volontariato. Perché lassù, tutti hanno bisogno di tutto”.
L’ultima telefonata per sentirla, questa mattina. Per farle gli auguri per la festa della donna. “Mia madre sente esplosioni poco lontane dalla città ma mi ha detto di essere felice perché sa che io, mia sorella e i suoi nipoti siamo qui al sicuro”.
Mentre i bambini corrono spensierati, Nina fa un appello: “Vivo nel terrore. Questa guerra deve finire. È questo il mio desiderio più grande. Quello che sta succedendo è insopportabile: bambini e civili morti. Vorrei che tutta la popolazione russa vedesse quello che stiamo patendo, perché lì la verità non arriva. Se sapessero, potrebbero fare qualcosa per fermare questo orrore”. La guardo, i suoi occhi catturano i miei. Un istante per capire che vuole abbracciarmi. Non ci conosciamo e in silenzio ci diciamo tantissime cose.