Natale di sangue

Omicidi savonesi: l’attentato alla Trattoria della Stazione

Nuova puntata con le storie di sangue della nostra provincia: questa volta Nicolick racconta della bomba a mano che nel 1943 fece sei morti in via XX Settembre

Savona. Nuova puntata con le “storie di sangue” della nostra provincia: questa volta Robert Nicolick racconta quello che è passato alla storia con il nome di “Natale di Sangue”, l’attentato in cui il 23 dicembre 1943 una bomba a mano fece sei morti all’interno della Trattoria della Stazione, in via XX Settembre.

La sera del 23 dicembre 1943, intorno alle 21, la sala da pranzo della Trattoria della Stazione di Via XX Settembre era piena di fumo e di avventori. Fuori era buio e freddo, si era alla antivigilia di Natale, si sentiva il rumore delle stoviglie e i discorsi della gente intenta a mangiare. Nessuno dei venti clienti fece caso alla porta che si apriva e ancora meno all’uomo alto di statura, con i capelli folti che gettò all’interno, tra i tavoli e le sedie, una bomba a mano.

Forse qualcuno comprese cosa stava per accadere, forse qualcuno si alzò per scappare, ma era troppo tardi. L’ordigno esplose in uno spazio ristretto amplificando così il suo potere distruttivo, le supellettili volarono verso l’alto e le vetrate andarono in pezzi, che furono proiettati come frecce verso l’esterno. Quando il boato cessò, al buio, per terra, in un lago di sangue, c’erano sei corpi privi di vita e una quindicina di feriti gravi.

Poi si seppe che il bersaglio di questo devastante attentato era un unico uomo, un fascista della prima ora, Pietro Bonetto, impiegato presso l’ILVA di Savona, che comunque si salvò pur avendo le gambe tranciate dallo scoppio.

Dal punto di vista del raggiungimento dei risultati, questo attentato lo si potrebbe definire scarsamente “intelligente” e colmo di danni collaterali, in quanto tra le vittime, morti e feriti, uomini e donne, ci furono ben 12 persone che non erano di fede fascista e solo 4 fascisti, quindi la matematica della morte era in passivo.

Qualcuno, inaugurando una stagione di attentati contro i fascisti repubblicani, volle sparare nel mucchio, massacrando vittime innocenti che non c’entravano nulla con il regime. I responsabili non vennero mai identificati: a tutt’oggi si sa solo che furono i GAP, ma i nomi esatti degli esecutori non sono noti. A seguito di questo attentato, all’apparenza poco strategico, si innescò, non del tutto casualmente, una reazione a catena che portò, all’alba del 27 dicembre 1943, alla fucilazione di sette persone, cinque antifascisti e due militari disertori, che comunque non avevano alcuna responsabilità nell’attentato alla trattoria: Cristoforo Astengo, Renato Wuillermin, Carlo Rebagliati, Arturo Giacosa, Amelio Bolognesi, Francesco Calcagno e Aniello Savarese (nella foto la lapide che li ricorda nel lugo in cui furono fucilati, ndr).

Grazie alla bomba nella Trattoria, si diede spazio all’ala più massimalista e più violenta dei fascisti repubblicani, che iniziò a reagire con le rappresaglie agli attacchi dei GAP, rappresaglie che nella maggior parte dei casi colpivano civili innocenti. Ma forse era proprio questo l’obiettivo degli attentati: rendere sempre più invisa alla popolazione civile la RSI. Si era innescata una spirale che avrebbe generato sempre più odio e sempre più vittime innocenti.

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