Il patteggiamento della pena

Si sente spesso parlare, a proposito dei processi penali, di “patteggiamento della pena”. Il significato di questa espressione è più o meno generalmente noto (accusa e imputato si accordano per la condanna ad una determinata pena ed evitano il processo) ma spesso ai più sfuggono le reali implicazioni di questo accordo.

Il patteggiamento (l’esatto termine tecnico è “applicazione della pena su richiesta delle parti”) ha rappresentato, ormai venti anni fa, una delle principali innovazioni introdotte dal vigente codice di procedura penale. Tipico degli ordinamenti giuridici dei paesi anglosassoni (e in particolare degli Stati Uniti), è stato introdotto in Italia con la dichiarata funzione di ridurre il carico di lavoro degli uffici giudiziari, evitando il dispendio di risorse che deriverebbe la celebrazione di processi dall’esito sostanzialmente scontato e relativi, molte volte, a fatti non particolarmente gravi. Infatti, in origine era possibile il patteggiamento della pena solo fino ad un massimo di due anni di reclusione, successivamente esteso (con alcune limitazioni) a cinque anni.

In pratica, prima dell’inizio del processo, l’imputato e il pubblico ministero possono evitare il dibattimento accordandosi sulla condanna ad una determinata pena. Ciò esclude in automatico la possibilità di avvalersi del patteggiamento per tutti quei reati particolarmente gravi quali l’omicidio, i reati di criminalità organizzata o il sequestro di persona a scopo di estorsione.

In cambio dell’accettazione di una condanna senza la celebrazione del processo, l’imputato ottiene diversi vantaggi. Limitandoci a quelli meno “tecnici” e di maggiore importanza pratica.

La pena da applicare è diminuita di un terzo (per la precisione, il codice di procedura penale dice “fino a un terzo”, ma nella prassi la diminuzione è quasi sempre applicata nella misura massima possibile) in pratica, se le parti si accordano per ritenere congrua per il reato contestato la pena, per esempio, di due anni di reclusione, la pena effettivamente applicata sarà di un anno e quattro mesi (16 anzichè 24). Questo aspetto è assai vantaggioso perché permette di ricondurre anche fatti non particolarmente lievi (pensiamo a molte ipotesi di truffa, di omicidio colposo o di spaccio di droghe leggere) nei limiti entro cui è possibile beneficiare della sospensione condizionale della pena o dell’affidamento ai servizi sociali (rispettivamente, due e tre anni di reclusione).

Se la pena patteggiata è non superiore a due anni, trascorso un tempo di cinque anni dal patteggiamento senza che l’imputato abbia commesso un nuovo reato della stessa specie, la condanna sarà come “cancellata” e non sarà di ostacolo (come invece accade di regola) per una nuova concessione della sospensione condizionale della pena in caso di nuova condanna.

La sentenza di patteggiamento è una sentenza di condanna, ma non “fa stato” in sede civile o amministrativa. Ciò vuol dire che la sentenza non può essere usata in un altro giudizio (o, per esempio, in un procedimento disciplinare) quale prova della responsabilità dell’imputato per il fatto attribuitogli.

Molto spesso uno dei principali vantaggi del patteggiamento, per l’imputato, è quello di evitare, almeno per il momento, la condanna al risarcimento in favore della parte civile. Se vi sono persone danneggiate dal reato che intendono costituirsi parte civile contro l’imputato, il patteggiamento di fatto le estromette dal processo, in quanto il giudice penale non potrà più decidere sulle loro richieste (salvo liquidare in loro favore le spese legali). Indubbiamente è una disposizione che penalizza molto le vittime dei reati, che saranno costrette, per far valere le loro ragioni, ad intentare una causa in sede civile, con tutti i tempi e i costi che ciò comporta.

Si tratta, come detto, di una scelta legislativa che sconta l’evidente necessità di ridurre per quanto possibile il carico di lavoro degli uffici giudiziari, evitando la celebrazione di processi dall’esito pressoché scontato, ma il prezzo che si deve mettere sull’altro piatto della bilancia è rappresentato, oggettivamente, da un indebolimento della funzione di dissuasione che dovrebbe essere rappresentata dalla sanzione penale.

Avv. Fabrizio Ivaldo

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