Effetti collaterali

Covid, negativi ma in quarantena: l’incubo di molti lavoratori che rischiano di perdere lo stipendio

Dal 1° gennaio se si è in isolamento per un contatto con positivo, non si ha più diritto alla malattia: ecco i consigli di Fabrizio Marti, presidente dell'ordine dei consulenti del lavoro

smart working

Liguria. Obbligati a stare a casa per non violare le disposizioni dell’Asl e – se impossibilitati ad attivare lo smart workingcostretti a consumare giorni di ferie o permessi in modo da non perdere intere giornate di retribuzione. È questo il limbo di migliaia di lavoratori italiani, e liguri, che sono stati a contatto con un positivo al Covid-19 e dal 1° di gennaio non hanno più diritto al riconoscimento del periodo di malattia da parte dell’Inps.

Intanto ricordiamo che il problema non riguarda tutti. Anzitutto i positivi, anche se asintomatici, hanno diritto alla malattia per tutta la durata dell’isolamento. Ma nel momento in cui si viene segnalati alla Asl in quanto “contatti stretti” di un positivo, la differenza la fa ancora una volta lo stato vaccinale: chi ha ricevuto la dose booster o è vaccinato con doppia dose da meno di 120 giorni (oppure è guarito da meno di 4 mesi) non deve fare la quarantena ma l’autosorveglianza con uso obbligatorio di mascherina Ffp2 per 10 giorni. In questo caso nulla impedisce di andare al lavoro. Chi invece ha ricevuto la seconda dose o è guarito da più di quattro mesi è obbligato a osservare 5 giorni di quarantena (con tampone finale). Tutti gli altri devono rispettare 10 giorni di quarantena con tampone finale oppure 14 giorni di quarantena senza test finale.

Generico gennaio 2022

Ma nel caso in cui si finisse effettivamente in quarantena pur senza essere positivi, come ci si deve comportare? Abbiamo chiesto un parere a Fabrizio Marti, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Genova: “Fino al 31 dicembre la norma equiparava la quarantena al ricovero ospedaliero, quindi interveniva l’Inps con il trattamento di malattia tramite il datore di lavoro. Adesso, non essendoci una normativa di riferimento, e dal momento che non possono andare a lavorare, queste persone sono effettivamente in una sorta di limbo”. E, diversamente da quanto sostengono alcuni, non ci si può rivalere sul datore di lavoro: “L’azienda non è tenuta a pagare il dipendente in quarantena. Non perché sia una decisione aziendale, ma perché c’è una norma di legge che impedisce al lavoratore di essere a contatto con altre persone”.

Quindi, cosa bisogna fare? “Se non si possono attivare modalità da remoto, il lavoratore deve comunque inviare all’azienda il provvedimento o l’e-mail ricevuta dalla Asl in cui viene obbligato a stare a casa, e in questo modo mette al corrente il datore di lavoro del fatto che la decisione non è imputabile al dipendente ma a una disposizione dell’autorità sanitaria. Così si verrà considerati assenti giustificati, ma senza retribuzione. L’assenza, ovviamente, non è coperta come malattia“. Una soluzione che metterebbe al riparo da provvedimenti disciplinari. Altrimenti, ove possibile, nulla vieta di erodere il monte ferie: in questo modo non si rinuncia allo stipendio per il periodo di quarantena.

Tutto questo, naturalmente, si può evitare con lo smart working, ma non tutti sono nelle condizioni di accedere a questo regime. Nella pubblica amministrazione da gennaio dovrebbe essere più facile (il periodo di riferimento non è più la settimana ma l’annualità: bisognerà recuperare nei mesi successivi con altrettanti giorni di presenza in ufficio), mentre nel privato il Governo ha raccomandato “il massimo impiego” della misura, ma a decidere è comunque l’azienda. “C’è stato un accordo quadro che ha demandato la regolamentazione agli accordi sindacali – ricorda Marti – ma non tutti i settori hanno regolamentato. Ad oggi c’è ancora molta confusione”.

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