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La memoria come cifra umana

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico marzo 2024

“Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno. Ricordare una cosa significa vederla-ora soltanto-per la prima volta” scrive Cesare Pavese in “Il mestiere di vivere” ma sarebbe forse più corretto affermare che ognuno ri-conosce ciò che ricorda ogni volta diverso nell’atto di presentificarlo a sé all’interno della propria memoria consapevole. Credo sia importante rendersi conto che la nostra memoria non funziona “impersonalmente” come una sorta di un automatismo da videoregistratore, quando un “dato di memoria” si deposita nell’archivio peculiarmente umano nel quale ognuno lo colloca, questo sì, avviene senza deliberazione, ma non meccanicamente se è vero che la selezione inconscia lo avverte già segnato da caratteristiche assolutamente non oggettive ma contingenti e perennemente mutevoli al modificarsi più o meno consapevole del soggetto responsabile dell’atto. Ogni dato di memoria rimane nel deposito mnestico fino a quando l’io lo riporta alla presenza del sé così che è di fatto un “vederla-ora soltanto-per la prima volta”. Non è assolutamente trascurabile il fatto che l’evento avvertito dal soggetto all’interno di un qui e ora, cioè in un contesto vagamente cartesiano coordinato da categorie spazio temporali convenzionali e convenzionalmente oggettive, sia in verità figlio di un vissuto che non è espressione di oggettività ma di “verità di esistenza”. Il fatto che lo spazio-tempo di un bambino o di un adolescente sia assolutamente diverso da quello di un adulto o di un anziano, determina l’inevitabile distorsione del ricordo quando questo viene a mostrarsi alla memoria del medesimo soggetto che, nel frattempo, è profondamente cambiato. Ancora più complesso il “ricordo storico”, collettivo, tanto condizionato delle mutazioni socio culturali, ma limitiamoci, per ora, a un ambito più propriamente individuale. L’offrirsi a noi delle varie informazioni è già organizzato secondo categorie sovra individuali e contingenti, viene “archiviato” impiegando modalità che al momento appaiono oggettive e che pure, inevitabilmente, muteranno nel soggetto che cambia, verranno riportate alla memoria presente in un contesto trasformato e in un individuo che è espressione di un complesso “panta rei”, siamo sicuri di poter affermare l’esistenza di una qualche oggettività in questo processo?

Nel secolare tragitto della storia della filosofia il tema della memoria è stato oggetto di particolare attenzione da parte di grandi pensatori. Platone se ne occupa nel Filebo, nel Teeteto, nel Menone, nel Fedro elaborando il concetto di reminiscenza esplicitato all’interno della dottrina dell’anamnesi, dove è l’anima la depositaria della possibilità di ogni vera conoscenza liberata dalla contingenza della memoria errante e ingannevole offerta dall’esperienza sensibile. Il suo discepolo antagonista, Aristotele, e gran parte delle scuole successive ricondurranno la memoria alla registrazione di esperienze sensibili; Agostino riconosce nella memoria una verità che è dono divino addirittura preesistente all’esperienza ma introduce una categoria psicologistica molto moderna affermando che lo scorrere del tempo si declina tra tre momenti, passato, presente, futuro, che esistono solo all’interno della coscienza presente. Riflessione apparentemente complessa che anticipa categorie psicanalitiche e che, appena ci soffermiamo a riflettere, scopriamo essere la creazione da parte del soggetto di ciò che “ora” è il mio ricordo, “ora” è la mia esperienza, “ora” è la mia previsione. Nel corso dei secoli si riconosce alla memoria soprattutto un valore di strumento di conoscenza scientifica sempre ritornando, inevitabilmente, alle premesse fondate dal pensiero greco.

Arriviamo velocemente al XX secolo e subito dobbiamo confrontarci con il pensiero di Henri Bergson che riconduce la memoria a un tempo diverso da quello della scienza, a un tempo che permane, all’interno del quale i ricordi si depositano gli uni sugli altri in un tempo “altro” dal quale il ricordo riemerge per rivelarsi alla coscienza presente intriso dell’esperienza in un meta tempo, peculiarità delle capacita umane. Husserl introduce il concetto di “ritenzione” che accosta l’esperienza registrata dalla memoria con quella presente dando all’uomo la coscienza dell’essere nel tempo e di poterlo comprendere; allo stesso modo permane anche l’idea di “rimemorazione” come riemersione di un ricordo dalla memoria che si presentifica. Inevitabile transitare attraverso la terribile e meravigliosa riflessione nietzscheana nota come “Mito dell’eterno ritorno dell’uguale” all’interno della quale la memoria individuale può attingere all’eterno ma non posso che limitarmi, in questa sede, a questa sola notazione rimandando a un altro momento lo sviluppo dell’abissale pensiero che si spalanca di fronte all’intuizione di Nietzsche alla quale mi piace accostare un recente studio che, in riferimento alla memoria collettiva, ha realizzato un’interessantissima ricerca. Una volta selezionato un gruppo rappresentativo di persone a queste sono stati sottoposti degli schemi di parole crociate non ancora svolte da nessuno ed è stato quantificato il tempo impiegato a risolvere le stesse; successivamente, alle medesime persone, sono state proposte parole crociate di un equivalente livello di difficoltà e mai prima affrontate anche se già risolte da soggetti al di fuori dell’esperimento, ebbene, sempre i volontari dell’esperimento hanno impiegato meno tempo ad affrontare e completare le seconde quasi esistesse una sorta di “memoria collettiva inconscia” alla quale attingere. Senza pretendere di riconoscere valore definitivo a nessun esperimento, non è possibile non ipotizzare anche la possibilità che la memoria non sia solo individuale e che non risieda in una spazio fisico di ogni singolo soggetto ma, si può immaginare, una sorta di nuvola, per usare un linguaggio informatico, all’interno della quale va a collocarsi ogni esperienza per trasformarsi in un serbatoio mnestico collettivo anche se inconsapevole. Ma non è forse in gran parte inconsapevole anche il parallelo individuale?

Arriviamo, così, a esplicitare il senso del titolo di questo scritto: è possibile paragonare la memoria umana a quella del computer o può essere anche la differenza tra le due una sorta di Test di Turing per distinguere l’umano dall’androide? Ricordo un aforisma di Pablo Picasso: “I computer sono inutili. Ti sanno dare solo risposte”, come contraddirlo, non è possibile paragonare diverse peculiarità umane con le copie limitate riprodotte da un computer, in particolare sulla differenza tra umani e androidi la memoria è un distinguo perfetto. Quanto sostengo è facilmente verificabile interrogando un umano a distanza di tempo relativamente a un suo privato dato di memoria, sarà evidente un cambiamento, non dico radicale, ma nelle sfumature è certo, avvertibile dallo stesso se dotato minimamente di attenzione a sé e di senso critico; al contrario, la medesima richiesta rivolta a un computer, se non è stata deliberatamente manipolata la sua RAM, riceverà un esito identico, immutabile, impersonale, oggettivo nel senso di espressione di un oggetto. Nella memoria artificiale, e questo mi sembra oltremodo interessante, non esiste categorizzazione etica, i dati non possono essere buoni o cattivi, nemmeno corretti o scorretti, al massimo conflittuali con altre informazioni, credo sia questa una discriminante fondativa per la possibilità o meno dell’insorgenza del fenomeno coscienziale, da qui l’impossibilità di un’auto interrogazione morale che è il principio imprescindibile di ogni qualsiasi forma anche solo larvale di coscienza. In verità ciò che più angosciantemente si aggira fra i sentieri di una lungimirante riflessione umana dovrebbe generare le domande: se oramai le strutture di pensiero delle giovani generazioni sono notevolmente condizionate da meccanismi virtuali, quali margini di confronto positivo potrà avvenire tra generazioni tanto lontane? Quale possibilità di “interazione etica” tra le stesse? Quale futuro morale per l’umanità se l’unica categoria applicata oggi è quella dell’utile?

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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