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Per un pensiero altro

Emozioni oggettive

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

pensiero altro 6 marzo 2024

“L’unico modo per esprimere un’emozione in forma d’arte consiste nel trovare un “correlativo oggettivo”; in altre parole, una serie d’oggetti, una situazione, una catena di eventi che costituiranno la formula di quella particolare emozione, cosicché, quando siano dati i fatti esterni, che devono concludersi in un’esperienza sensibile, l’emozione ne risulti immediatamente evocata” è quanto afferma Thomas Stern Eliot nel saggio del 1919 “Amleto e i suoi problemi” pubblicato l’anno successivo ne “Il bosco sacro”, ma va detto che l’espressione “correlativo oggettivo” era già stata impiegata da Washington Allston nel 1840. Anche per questa ragione la paternità più o meno legittima del medesimo concetto che spesso viene attribuita a Montale e, in altri casi, viene utilizzata come dato certo del plagio di quest’ultimo, diviene una questione del tutto irrilevante; ciò che ci interessa è il valore artistico e creativo della strategia che prende quel nome. Proviamo a chiarire cosa significa e la portata oltre-poietica di una simile prospettiva che non possiamo circoscrivere a mero dibattito accademico poiché, a mio modo di vedere, ci riguarda tutti profondamente. L’idea alla base del correlativo oggettivo è riconoscibile nel chiarimento offerto dallo stesso poeta anglo statunitense quando sostiene che esistano “correlativi predeterminati” di una specifica emozione nel senso che se sono presenti opportuni oggetti è quasi inevitabile che da essi sorga, nella persona che ne entra in contatto, quella determinata emozione. A questa premessa il poeta fa seguire la convinzione che, per descrivere un’emozione, sia necessario recuperare i dati oggettivi che l’hanno generata, così da proporli al lettore che sarà visitato e visiterà esattamente quella stessa emozione. Il ruolo evocativo dell’oggetto assume, in questo modo, una forza del tutto indipendente dal soggetto che lo incontra al quale non resta che divenire esso stesso oggetto dell’emozione evocata.

Nel 1946 Montale, che aveva letto Eliot (La terra desolata) e aveva tradotto il suo “Canto di Simeone” e, molto probabilmente, conosceva la sua teoria del correlativo, in “Intervista immaginaria” propone come suo strumento poetico lo stesso metodo: “Mutato ambiente e vita, fatti alcuni viaggi all’estero, non osai mai rileggermi seriamente e sentii il bisogno di andare più a fondo… Non pensai a una lirica pura nel senso ch’essa poi ebbe anche da noi, a un giuoco di suggestioni sonore; ma piuttosto a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli. Ammesso che in arte esista una bilancia tra il di fuori e il di dentro, tra l’occasione e l’opera–oggetto bisognava esprimere l’oggetto e tacere l’occasione-spinta. Un modo nuovo di immergere il lettore in medias res, un totale assorbimento delle intenzioni nei risultati oggettivi”. Lascio a critici e studiosi della sua opera la ricerca, soprattutto in Ossi di seppia, di esempi di questa strategia, a noi basti la più nota lirica del giovanissimo poeta ligure, Meriggiare pallido e assorto che, mi sembra interessante precisarlo, è del 1916. Come non riconoscere una sorta di manifesto poetico del correlativo oggettivo nel muro sormontato da cocci di bottiglia costeggiato dal viandante della vita che “sente oggettivamente” “com’è tutta la vita e il suo travaglio”? Ma la questione che ci interessa deve rispondere a una diversa domanda: davvero esiste un oggetto, meglio, una catena di oggetti che possano condurre esattamente a quella certa emozione? Davvero il soggetto non può che riconoscersi abitato precisamente da quel sentimento evocato da oggetti che divengono così strumenti universali e certi della comunicazione più profonda?

Potrebbe essere interessante tornare ancora più indietro nel tempo, esattamente nel 1790, quando, nella sua “Critica del Giudizio”, Immanuel Kant spiega il concetto di Giudizio riflettente. Nessuna intenzione di addentrarmi nella sottilissima filosofia kantiana, ci basti una semplificatrice sintesi affermando che il giudizio del soggetto che lo conduce alla scoperta della bellezza e del senso della realtà, che Kant chiama giudizio riflettente, costruisce una sorta di misterioso collegamento tra la natura, sia in senso ampio sia in ogni suo particolare, e l’universo interiore del soggetto. Insomma, l’essere umano incontra la bellezza e la ragione di essere delle cose attraverso tale operazione, questo significa che esiste nelle cose il proprio fine e il proprio valore estetico e che l’essere umano può conoscerli ascoltando l’emozione che il fenomeno necessariamente esercita ed evoca in lui? Potrebbe essere inteso come il fondamento filosofico di quanto molto tempo dopo incontriamo nella poetica del correlativo oggettivo? Sebbene sia difficile immaginare un soggetto umano capace di non riconoscere la bellezza di un disegno nelle ali di una farfalla o nella perfetta simmetria di un cristallo di ghiaccio, credo sia improponibile l’idea che esista una bellezza in sé senza lo sguardo di un osservatore e in questo ancora lo stesso Kant potrebbe esserci di sostegno, ma quello che voglio affermare è che comunque non si può parlare di oggettività poiché tale concetto non significa uguale per tutti, come solitamente si intende, ma tale indipendentemente dal soggetto. Per chiarire: quando l’intera umanità dava per certa la staticità della terra e il muoversi del sole i due fenomeni non assursero a verità oggettiva ma a errore comune all’intera cultura dominante. La correlazione tra l’oggetto e l’assoluto è come il ponte dell’arcobaleno tra il particolare e l’universale, l’arco colorato attraversa l’uomo che ne coglie profumi forme e suoni per quanto sa e si concede di esserne capace.

Credo sia ora interessante riproporci l’interrogativo: com’è possibile produrre poesia? Ricordo l’auto ironia di De Andrè quando affermava: “Benedetto Croce diceva che fino all’età dei diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono solo due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. E quindi io, precauzionalmente, preferisco definirmi un cantautore.” Io credo che Faber abbia scritto poesia ma che, con buona pace di Croce e di tutti i critici, se la poesia non incontra il lettore che sappia lasciarsi attraversare dall’arcobaleno di cui sopra, anche la più meravigliosa lirica rischia di perdere la voce. Il poeta, così come credo sarebbe meraviglioso accadesse a chiunque, è il folle che ama l’universo e i suoi abitanti senza nulla chiedere. Certo, deve saper comunicare il suo disinteressato amore, non basta scrivere la lista della spesa andando a capo ogni tanto per essere un poeta, ma questa è in gran parte tecnica e non molti la possiedono, certo molti meno di quelli che comunque scrivono poesie o presunte tali. Il folle amante è felice di donare bellezza ma deve disseminare le sue righe come molliche di pane per essere seguito dal lettore fino alla radura da dove è partita la “visitazione, l’occasione, per dirla con Montale, così da poter finalmente scomparire e lasciare la stessa al nuovo visitatore, operazione sublime e per nulla semplice. Esiste un vademecum? Forse che si per l’amore? Quando ami non hai bisogno di “conoscere” perché “sai”, il tuo rapporto con l’oggetto d’amore non è informativo, non raccogli e ordini percezioni, non assembli le progressive esperienze per organizzarle secondo una logica gnoseologica, hai un rapporto olistico con l’oggetto d’amore, non lo conoscerai mai perché non ne hai bisogno, lo sai! Il poeta è il grande amante che ama l’umanità, la sa, le sue parole la raggiungono nella comune valle dell’eco e si riconoscono, sono oggettive nel momento stesso in cui ogni oggetto rappresentato si intride di un’emozione condivisa perdendo valore di cosa per trasformarsi in essenza evocatrice.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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