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Per un pensiero altro

Maschere e luoghi comuni

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico febbraio 2024

“Mi sono vergognato di me stesso quando ho capito che la vita è una festa in maschera e io ho partecipato con la mia vera faccia” scrive Franz Kafka del quale quest’anno cade il centenario della scomparsa. Lo so, quando ci si accosta a un gigante della letteratura e del pensiero è bene munirsi di rispetto e modestia, ma non credo che questo comporti necessariamente il divieto a considerazioni critiche, anzi, se davvero l’oggetto della critica e sì tanto al di là della mediocrità, sono certo che apprezzerà un’osservazione che lo consideri da un altro punto di vista. La prima notazione riguarda il fatto che tutti partecipino più o meno consapevolmente a una festa in maschera, e per ora lasciamo a margine il giudizio etico a tale riguardo, ma precisando che il solo mister K si presenti con la sua “vera faccia”. La seconda, che dalla prima consegue, è che il signor K conosca la propria vera faccia. Lo so, la vita di Kafka, autore che amo profondamente e dal quale ho imparato, spero, davvero molto, dicevo, la sua vicenda umana non è stata particolarmente felice, ha vissuto e raccontato il dramma dell’emarginazione, della solitudine, della consapevolezza di un mondo depersonalizzato, svuotato di senso, quasi un guscio di cicala, nel quale incedere alla ricerca di un agrimensore che non esiste, di un potere che incombe e pesa quanto più è intangibile; so anche che non si può certo confondere il genio dello scrittore ebreo-ceco-tedesco con la “normalità” dei tanti che lo hanno letto, eppure nell’affermazione di apertura si incontra uno dei più ricorrenti luoghi comuni che, purtroppo, non svaniscono più al superamento della stagione adolescenziale. Mi ricorda la frase “io che sono sempre stato così onesto con tutti, specie con gli amici, ho trovato amici che mi hanno tradito”; o ancora “più conosco gli umani più amo gli animali”; senza dimenticare la più abusata e banale “io sono pazzo”. Limitiamoci brevemente a questi tre luoghi comuni. Il primo, così frequentemente espresso dai più, lascia intendere che la quasi totalità degli esseri umani è buona e generosa e che la rimanente esigua minoranza di squallidi traditori sia riuscita, a rotazione immagino, a incontrare praticamente tutti gli altri giustificando il senso di una simile superficiale auto celebrazione. Il secondo richiederebbe almeno una breve considerazione intorno al rapporto tra umano e animale, magari riflettendo sul fatto che gli animali non parlano, che la proiettività del “padrone” è determinante, che il rapporto non è paritetico. La terza, poi, è la più chiara forma di ingannevole auto denigrazione che sottintende un’evidente celebrazione della propria geniale differenza dai comuni esseri umani.

Torniamo al signor K: credo sia difficile per chiunque, anche per un suo grande estimatore come me, non riconoscere uno stereotipo nel fatto che tutti interpretino un ruolo, si difendano dietro a una maschera, un titolo, un personaggio. Direi che è più che perdonabile, meno il sostenere di essere l’unico tanto coraggioso, o pazzo come dicevamo prima, da presentarsi alla festa con il proprio volto. Nessuno dispone e utilizza un solo volto, l’essere umano è l’animale dotato del maggior numero di espressioni del volto, siamo studiosi, non a caso, di cinesica e prossemica, animali da palcoscenico, raffinati interpreti e manipolatori di espressioni e sentimenti; non ci presentiamo mai in un contesto con la “faccia inadeguata” e, nel caso, facciamo subito il possibile per rimediare; figuriamoci al ballo in maschera della quotidianità! Imparare a usare il mondo che ci è dato è anche e soprattutto saper calzare la maschera adeguata in ogni contesto come insegna in maniera formidabile Dostoevskij nel suo capolavoro “L’idiota”. Bisogna ancora sottolineare che il signor K dichiara di vergognarsi ma, ancora una volta, rivela il più profondo apprezzamento per il proprio comportamento, quasi affermasse: “Mi vergogno di non aver capito che è necessario essere falsi e codardi per partecipare degnamente alla festa, io purtroppo non sono così, sono onesto con me stesso e con gli altri, vedete poi voi se non sono meritevole di commiserazione”: sottile esempio di retorica nascostamente autocelebrativa che, però, non è per nulla rara tra noi comuni mortali.

“Ben ch’io sappia che obblio/ Preme chi troppo all’età propria increbbe” non posso che proporre un interrogativo retorico: a chi non è mai occorso di esibirsi in un’esternazione della natura di cui sopra? Suvvia, a tutti piace sentirsi un po’ speciali, almeno qualche volta, per un breve istante, in un particolare contesto, siamo esseri umani, fragili, soli, allora cerchiamo di perdonare a noi stessi e agli altri, magari un sorriso in più e una critica in meno! Lo stesso valga nei confronti di Kafka e, spero, vista la domanda appena posta, anche nei miei. Oltretutto non capisco perché generalizzare su gli “altri”, quei “tutti mascherati” senza notare quanti occhi spiano da dietro le maschere nella speranza di essere riconosciuti e amati indipendentemente dal volto più o meno vero che esibiscono. E così arriviamo alla seconda parte della nostra riflessione: come faccio a sapere, dopo anni di palcoscenico e ruoli e maschere, se ho un faccia vera, se le altre sono false, quanto una certa maschera mi somigli, se sotto la maschera sarebbe il nulla tanto che nulla è più faccia vera della maschera? Concordo con Oscar Wilde quando afferma che “Spesso una maschera ci dice più cose di un volto”, intendo circa la persona che la indossa,. Ogni maschera, se scelta con un minimo di libertà, è il nascosto disvelarsi di un aspetto del mascherato. In altri casi diviene utile strumento di semplificazione relazionale, si incontra il ruolo senza doversi occupare della persona, tutto molto più funzionale come lubrificante degli ingranaggi del sistema, che poi scompaiano in questo modo le singolarità sembra aver scarsa rilevanza. In particolare, per dirla con Nietzsche, poiché “Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera”, risulta evidente che solo chi è poco profondo potrà farne a meno all’interno del gioco di società che interpretiamo quotidianamente.

E se la maschera finisse per coincidere con il viso? Il mio buon amico Gershom Freeman è solito affermare che “Se è vero che non è l’abito a fare il monaco, è altrettanto vero che a forza di indossare il saio finiranno per spuntare sandali ai piedi”, come sempre le sue allegorie sono tanto incisive da non richiedere alcuna chiosa. Tornando a Kafka che ci ha lasciati, come detto, cento anni or sono, vi immaginate quanto strabilierebbe osservando come il palcoscenico virtuale abbia sdoganato ogni maschera trasformando la farsa in realtà? Per chiarire ricorro alle parole di Piero Angela: “i contatti su Internet hanno questa peculiarità: sono un modo nuovo per parlare a uno sconosciuto senza esporsi troppo. È come andare a un ballo in maschera e fare un giro di valzer con un cavaliere anche lui mascherato. Parlando con uno sconosciuto, sotto anonimato, si possono dire cose che non si direbbero forse neanche alle migliori amiche, aprendosi e raccontando i propri pensieri e le proprie fantasie”. La nostra riflessione rischia di dilatarsi a dismisura, proviamo a ricondurla in ambiti più limitati interrogandoci intorno alle ragioni del successo planetario di internet. Credo che uno dei motivi sia proprio che consenta la formalizzazione della maschera virtualizzandola così da poter essere tanto veri da mentire deliberatamente per affermare ciò che tanto si vorrebbe dire ma non sia avrebbe mai il coraggio di fare nella vita “reale”. Certo, viene da riflettere sulla ragione dell’esistenza di “troll” e “hater”, assidui frequentatori della rete, i primi impegnati a disseminare zizzania all’interno di social e dibattiti, i secondi capaci di vomitare odio su chiunque con il piacere di farlo sicuri di rimanere impuniti. Non è certo un biglietto da visita onorevole quello che presenta il nostro tempo, tanto da far rimpiangere il conformismo del palcoscenico dell’epoca di Kafka, almeno sotto la maschera era occultato un essere umano, oggi, dietro troppi abitanti del virtuale vive solo la vigliaccheria, l’inadeguatezza, l’inettitudine, il nulla.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
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