Magazine

Per un pensiero altro

Logofobie e dintorni

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico novembre 2023

“I nuovi rapporti vivono di un monologo e non di dialogo, che si creano e si cancellano con un clic del mouse, accolti come un momento di libertà rispetto a tutte le occasioni che offre la vita e il mondo. In realtà, tanta mancanza di impegno e la selezione delle persone come merci in un negozio è solo la ricetta per l’infelicità reciproca” è quanto ha affermato Zygmunt Bauman nel suo intervento al Festival della Filosofia di Modena nel 2012. L’istantanea del grande pensatore polacco rappresenta lucidamente la desertificazione del linguaggio e del dialogo che pervade i rapporti interpersonali e pubblici a diversi livelli, da quello che si presume possa definirsi “alto” al quale partecipano intellettuali, politici, giornalisti che violentano il congiuntivo e si premurano fondamentalmente di screditare il dialogante affliggendo l’ascoltatore con i propri preconcetti e riducendo ogni confronto a un vociare incompetente da tifoso, per scendere giù giù fino agli slogan da TickTock, ai testi di squallide canzonette e ai tvb e ben peggio della comunicazione social. Penso sia utile ricordare le semplici e vere parole pronunciate da Papa Francesco: “Il dialogo nasce da un atteggiamento di rispetto verso un’altra persona, dalla convinzione che l’altro abbia qualcosa di buono da dire; presuppone fare spazio, nel nostro cuore, al suo punto di vista, alla sua opinione e alle sue proposte. Dialogare significa un’accoglienza cordiale e non una condanna preventiva. Per dialogare bisogna sapere abbassare le difese, aprire le porte di casa e offrire calore umano”, anche se , malinconicamente, l’intento esortativo del pontefice mi sembra divenire un involontario de profundis per la parola che aspiri alla dignità di una comunicazione positiva.

L’espressione logofobia si riferisce a una patologia specifica ma, in questo caso, può essere impiegata per rappresentare la paura che insorge nelle menti più fragili di fronte alla possibilità di impiegare quel meraviglioso strumento peculiare della specie che è la parola, la mamma del dialogo. Se la logofobia, come insegnano i manuali, è generata da bassa autostima, personalità poco strutturata, urgenza di conferma dagli altri, rapporto conflittuale con il super io, è forse possibile riconoscere tale sintomatologia in intere recenti generazioni e, purtroppo, anche le radici della patologia nei modelli culturali sempre più scadenti che imperversano nei social. L’effetto maggiormente pernicioso, a mio modo di vedere, lo si incontra nella scomparsa del dialogo che si riduce troppo spesso a una “logo-machia orfana del logo”. Per meglio comprendere la triste condizione nella quale sembra scivolare il pianeta credo sia utile una seria riflessione su cosa è da intendersi per dialogo e ricordare che “abdicare al dialogo è consegnarsi al conflitto”. Questa notazione credo sarebbe estremamente utile anche nei rapporti internazionali che marginalizzano la diplomazia a tutto vantaggio della violenza che si cerca sempre di giustificare, a volte anche con assoluta onestà di intenti, ma che sempre e comunque non può che generare altra violenza, ma torniamo nel territorio solare del confronto dialogante ripartendo dalla profonda considerazione di Norberto Bobbio: “La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l’altro dice”, affermazione che condivido in ogni parola. La chiave di volta del pensiero di Bobbio credo che sia da individuare nel concetto di lealtà! Se il dialogo si riduce a una sorta di affermazione di sé, ricorre alla sloganizzazione del linguaggio, si applica nella mediocre ginnastica della captatio benevolentiae, non è più dialogo e i soggetti dello stesso si trasformano in mercificatori del pensiero.

Il neologismo “afocalisse”, commistione tra apocalisse e aforisma coniato dall’intellettuale serbo  Aleksandar Baljak, ben si riconosce in una citazione dello stesso: “Non c’è dialogo con il nemico, ma mi hanno invitato per un interrogatorio”; se il dialogo non vede i protagonisti collocati sul piano egualitario della lealtà, del rispetto e della disponibilità all’accoglienza reciproca, rischia di trasformarsi in un interrogatorio, ma, mi sembra intellettualmente corretto sottolinearlo, nel caso in cui uno dei dialoganti avvertisse la propria inferiorità, intellettuale, etica o altro, sarebbe lui stesso il responsabile dello squilibrio che non dovrebbe negare o fuggire o prevaricare ma utilizzare per la propria crescita. Mi è capitato di sentirmi troncare la parola in bocca con la seguente dichiarazione: “Non ti voglio ascoltare, so già che riusciresti a farmi cambiare opinione”. Sono sicuro che nel mio interlocutore non abitasse malanimo ma solo consapevolezza della fragilità delle proprie posizioni, forse la disabitudine a un confronto costruttivo, forse la logofobia di cui sopra, ma la possibilità di cambiare idea, come affermava il buon Immanuel Kant, è prerogativa del saggio, solo il testardo non cambia mai punto di vista, e questa non è manifestazione di forza e profondità di pensiero, è impermeabilizzazione all’altro, rinuncia alla crescita, condanna alla sclerosi. Per consentire la possibilità a un dialogo costruttivo è bene porsi nella condizione descritta dall’amico  Friedrich Nietzsche: “L’uomo cerca un ostetrico delle proprie idee, l’altro qualcuno cui egli possa recare aiuto”, già, infatti nel dialogo corretto è possibile ascoltare l’altro ma anche se stessi, oltretutto incontrando un se stesso dialettico in quanto relazionato a un pensiero estraneo, e questo aiuta a meglio comprendersi, a definire le zone d’ombra del proprio pensiero, ad arricchirle di colori e profumi offerti dalle parole dell’interlocutore.

“Chi ha paura delle idee dell’altro ha poca fondatezza delle proprie” afferma Gershom Freeman, “vedo e rilancio” come direbbe un pokerista, la paura delle idee altrui è un albero che ha le radici nel non volersi mettere in discussione e i rami da salice piangente rivolti solo verso le stesse. Mi sembra evidente che ogni positivo dialogare richieda soggetti capaci, competenti, consapevoli e rispettosi delle proprie convinzioni e di quelle altrui, disponibili al cambiamento, all’accoglienza di quella ricchezza immensa che offre “un altro punto di vista”. Nulla è più nullificante che l’omogenizzazione prospettica, quando ci si confronta solo con chi osserva nella nostra stessa direzione ci si preclude la possibilità di vedere altro e oltre, se la scelta ha un fine confermativo, poi, diviene ancor più deleteria, si riduce a mediocrità condivisa, celebra il paese della chiacchiera sterile, innalza a pensiero ciò che è rumore di assenza di riflessione e paura di ascoltare se stessi, rende l’umanità un gregge belante incapace all’ascolto. Credo sia occorso a tutti, in caso diverso auguro che accada presto, di provare un profondo sentimento d’amore, è il momento in cui ogni parola e ogni silenzio della persona amata diventano una poesia o una sinfonia incantata,  l’istante in cui si coglie ogni sfumatura e ogni profumo delle parole che pronuncia, l’epoca dei silenzi ciarlieri e delle parole che aprono i cancelli dell’universo dell’altro e ci aiutano a meglio percorrere e conoscere il nostro, ebbene, provate a immaginare non dico un’identica disponibilità universale all’ascolto dell’altro, ma almeno prossima, non più desiderare l’auto celebrazione ma l’incontro, la comprensione, la condivisione. Spesso è quello il momento in cui si vorrebbero possedere migliori strumenti di ascolto e di comunicazione, nessuno ricorrerebbe al tragico “si ma dai che ci siamo capiti”, l’approssimazione si rivelerebbe per quello che è, superficialità, paura dell’assunzione di responsabilità di ciò che si pensa, inadeguatezza all’incontro, inospitalità intellettuale ed emotiva. Siamo le parole che pronunciamo e che sappiamo ascoltare, sarà allora opportuno cercare persone che abbiano argomenti interessanti e riflessioni profonde da condividere ed essere pronti a regalarne a loro.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

Più informazioni

Vuoi leggere IVG.it senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.