Polemiche e opinioni

“Le chiacchiere sportive del martedì”, il mio confessionale sportivo

Da Ronaldo allo sci alpino fino all’NBA: ecco cosa mi è piaciuto e cosa no dello scorso week-end sportivo

Lo sport è ogni attività fisica praticata secondo precise regole, in competizione con gli/le avversari/e. Questa la definizione tipica presente nel dizionario, ma io aggiungerei “in grado di generare polemiche e discussioni all’interno di ogni fascia d’età e genere della popolazione, su qualunque aspetto, fatto o tematica a esso relativo”. Questo per spiegarvi l’intento di questa rubrica da me creata e che ogni settimana vi terrà compagnia per analizzare alcuni fatti del week-end sportivo.

Le analisi che leggerete saranno frutto solo ed esclusivamente di un mio pensiero personale e soggettivo. Tutto ciò nasce da un mio bisogno personale di esprimermi e commentare una delle cose più belle che il mondo e la società in cui viviamo ci abbia saputo offrire: lo sport. E siccome la sua importanza e la sua rilevanza a livello mediatico, in particolare dei suoi attori protagonisti, è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, mi sono sentito in dovere, in quanto vero amante di qualsiasi cosa relativa a qualunque disciplina, di dire la mia su quanto accaduto nel week-end sportivo. In pratica difendere o attaccare, sempre secondo la mia profana visione, quello che mi ha emozionato e quello che invece non mi è piaciuto di una partita di calcio o di un incontro di tennis, piuttosto che le prestazioni o il comportamento di una delle star di questo meraviglioso mondo.

Incomincerei da un fatto sicuramente noto a tutti: l’esultanza di Cristiano Ronaldo nel derby di Torino di sabato sera. Premetto una mia certa “antipatia” nei confronti del portoghese. Di lui ammiro e sono estremamente stupefatto della sua dedizione che pone in quello che fa, visto il suo costante allenamento alla ricerca della perfezione, e della sua voglia di vincere, fuori dal comune, come del resto il suo talento. Ma il motivo della mia mancata simpatia nei suoi confronti risiede proprio in questi comportamenti che talvolta ha all’interno del rettangolo di gioco. L’ultimo è stata il suo modo di esultare non proprio corretto nei confronti del portiere granata Ichazo: la cosa che non mi è piaciuta del gesto di CR7, una cosa non gravissima sia chiaro, è stato il mancato rispetto dell’avversario.

Il seguito che ha avuto il calcio nell’ultimo periodo pone il suo mondo in una particolare e sgradevole situazione, per cui qualunque cosa accade in tale disciplina ha una rilevanza, in particolar modo nel nostro paese, di dimensioni sproporzionate. Per cui il gesto di Ronaldo, a mio modo di vedere, è da condannare per il brutto esempio che il suo comportamento dà a tutti gli spettatori del campionato italiano, in particolare i bambini. Infatti, le gesta dei campioni mondiali vengono imitate dai più piccoli, sia nei loro gesti tecnici, fortunatamente, che nelle loro cattive condotte, purtroppo spesso non educative per i più giovani. Si starà rivoltando ancora una volta nella tomba il povero Pierre De Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne, e sostenitore di quei valori sani, educativi e insiti di rispetto tipici dell’atto sportivo, nel suo intento originale. Ronaldo ha risposto che più del gesto conta il suo gol e la vittoria della sua squadra. A mio modo di vedere si sbaglia e sono più propenso a concordare con le dichiarazioni rilasciate dal presidente del Torino, Urbano Cairo, il quale ha affermato che un campione certi gesti non li fa. Ronaldo questa volta non è stato all’altezza del suo nome.

Un altro fatto su cui voglio riflettere è stata la caduta di Marc Gisin. Lo sciatore svizzero, durante la prova di discesa libera del campionato del mondo di sci alpino sulla Saslong in val Gardena, ha perso il controllo degli sci in maniera molto strana, iniziando a volare rovinosamente. La caduta sfortunatamente è avvenuta in un punto estremamente veloce nei pressi di un salto (la velocità in quel punto era di circa 100 km/h), il quale lo ha sbalzato in aria facendolo sbattere violentemente sulla neve trentina. L’atleta ha perso i sensi ed è stato rianimato in pista. Il bollettino medico recita frattura composta del bacino, rottura di quatto costole e trauma cranico. Le conseguenze potevano essere peggiori anche perché lo sciatore non portava l’airbag.

Da appassionato di questo sport, ma non così tecnico, sapevo che l’airbag era stato introdotto nel mondiale di sci alpino, come peraltro nel motomondiale, e pensavo che tutti lo avessero in dotazione. Subito dopo la caduta, i telecronisti di Rai Sport hanno iniziato a discutere della questione sicurezza e in particolare degli airbag: hanno affermato come nel circuito soltanto il 40/45% degli atleti lo utilizza. La cosa mi ha fatto arrabbiare parecchio, poiché in uno sport come questo dove le cadute e i conseguenti danni fisici sono purtroppo frequenti e gravi, non capisco come l’airbag non sia stato ancora reso obbligatorio. Dello stesso avviso il pensiero di Max Blardone, ex sciatore azzurro e ora opinionista per la Rai del Mondiale di sci alpino: “La FSI (Fédération Internationale de Ski) renda l’airbag obbligatorio!”.

Ma la cosa che mi ha fatto ancor di più rabbrividire è stato sentire che gli sciatori e gli addetti al cancelletto di partenza, in cima alla pista, non possano sentire quanto avvenuto in pista dopo una caduta del genere, o perlomeno lasciati volutamente all’oscuro, almeno gli atleti, in caso di situazioni di questo tipo. Ragionando ho pensato come ciò risulti sicuramente logico per gli atleti che devono ancora scendere, poiché una notizia di una caduta, e peggio di conseguenze fisiche gravi, può destabilizzare dal punto di vista psicologico. Ma continuando a riflettere ho pensato come tale procedura possa risultare perversa e a mio avviso irrispettosa nei confronti della persona coinvolta nell’incidente. Tale logica sembra testimoniare come lo show e l’evento sportivo abbiano assunto una rilevanza tale che non può essere fermato per nessun motivo. Il solito De Cuobertin sarebbe rimasto sbalordito a sentire ciò, poiché la sua concezione di sport contemplava valori di rispetto per l’avversario, amicizia, comprensione, spirito solidale, in cui importante era la partecipazione, non la vittoria o la pratica della disciplina in sé. Non l’aspetto meramente economico che sembra prevalere in questo mondo che a poco a poco sta perdendo i valori più umani, anche in casi estremi, come quello di sabato, in cui un’atleta rischia la vita: i soldi contano di più, the show must go on. A voi l’ardua sentenza.

Le cosa che più mi è piaciuta della scorsa settimana sportiva ha riguardato il mondo a noi sconosciuto e distante anni luce dell’NBA. Il giocatore dei Miami Heat Dwyane Wade, un oro olimpico con la nazionale statunitense, tre volte campione NBA e MVP delle Finals del 2006, ha annunciato che quella in corso sarà la sua ultima stagione da giocatore di pallacanestro. Qui è uscito il bello delle diverse tifoserie del campionato cestistico più famoso al mondo: nelle trasferte nei diversi palazzetti del Nord America che la guardia n° 3 sta affrontando, il pubblico avversario sta riservando diversi cori e standing ovation, come a Los Angeles contro il suo amico dei Lakers Lebron James, o a New Orleans la notte scorsa. Il tributo giusto per Wade un campione che ha lasciato il segno della storia recente del basket. Una di quelle buone notizie che mi ricordano perché amo lo sport e che forse ridarebbero fiducia pure al barone De Coubertin.

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