La noia è uno stato emotivo caratterizzato da un desiderio non appagato di provare qualcosa di soddisfacente. Viene definita come lo stato di una mente non impegnata, che si presenta quando non si è in grado di occupare efficacemente la propria attenzione verso stimoli interni o esterni.
Ci sono due tipi di questo sentimento spesso confusi: quella esteriore, una sensazione relativamente frivola cui si può ovviare facilmente, se si trova un’attività stimolante da fare; e quella interiore, un’emozione contorta e difficilmente descrivibile a parole.
Quest’ultima è spesso sottovalutata ed è confusa, sminuendola, con la pigrizia, ovvero quell’inerzia o lentezza, anche mentale, associata a mancanza di energia o ad abulia. Nessuno, in realtà, può capirne chiaramente il vero significato, a meno che non la provi sulla propria pelle; per questo motivo essa viene fraintesa così di frequente. Come ha scritto una volta lo psichiatra Carl Gustav Jung, “solo il guaritore che è stato ferito può davvero curare”.
Ciò significa che nessuno può comprendere in cosa consista essere vittime della noia interiore, a meno che non la si sia sperimentata. È come avere il cuore spezzato: colui che non ha mai provato quel tipo di dolore straziante non può aiutare chi è stato offeso da qualcuno cui voleva bene.
Pare che i più predisposti siano gli adolescenti. Il loro atteggiamento è equivocato da tutti gli adulti, soprattutto dai genitori (che sono spesso convinti di conoscere bene i propri figli, quando, invece, è esattamente il contrario) e dai professori. D’altronde, questo tipo di emozione è più complicato di quanto si possa pensare: si tratta di una sostanziale mancanza di motivazione, in grado di influenzare le più banali attività quotidiane. Può essere paragonata a un buco nero che risucchia ogni barlume di energia.
Le sue cause variano: si può trattare della risposta a un trauma, di un atteggiamento innato diventato abitudine, del risultato della repressione dei sentimenti o, come spesso avviene, di una pedagogia errata. Capita, in effetti, che i genitori, che pure hanno il maggior impatto sulla vita dei figli, sbaglino nel crescerli, privandoli della libertà per paura, dando loro un’idea sbagliata dell’affetto, crescendoli in un regime tossico.
È naturalmente vero che talora eccellono nel loro compito di educatori, fondando il rapporto sulla fiducia, sull’affetto e sul rispetto reciproco; altre volte, invece, usano la paura e circondano i figli con un amore falso e iperprotettivo, che dà a questi ultimi un’idea completamente sbagliata di come un padre o una madre dovrebbe comportarsi e che, in particolare, li rende apatici.
Chi non ha mai sperimentato quella sensazione non riuscirebbe mai a credere che la noia, in realtà, presenta le stesse caratteristiche della depressione, un disturbo psicologico ben più pericoloso. Non basta, come credono alcuni, invitare i figli a uscire con gli amici, a leggere un libro o a giocare all’aperto. Nessuna di queste attività, specialmente se forzate, servono a renderli meno pigri.
Se, invece, i genitori capissero il vero problema di fondo, se riuscissero ad ascoltare davvero i figli, va sottolineato che, tuttavia, questo stato emotivo non si risolverebbe a prescindere, perché la voglia di cambiare deve venire da colui che ne è afflitto. Per arrivare a questo traguardo, prima di riuscire a farlo, egli deve toccare metaforicamente il fondo.
In ultima analisi, dunque, la noia interiore è un disturbo di cui non si parla abbastanza, sottovalutato e frainteso, che affligge principalmente gli adolescenti cresciuti con una pedagogia errata che, molto probabilmente, è stata adottata quando ci si rivolgeva ai genitori dando del lei e quando il rapporto era finalizzato a schiavizzare i figli. Certo ora non si presentano più casi del genere, ma il tradizionalismo influenza talmente la vita quotidiana da nuocere alle generazioni di adesso.
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