La riflessione

Il razzismo è culturale, ecco perchè in Italia circa 4mila giovani si tolgono la vita per questo problema

A che età si può diventare razzisti? Cosa fa scattare la discriminazione?

multietnico no razzismo

Il razzismo non ha una genesi naturale, ma culturale. In sostanza, non si nasce xenofobi, ma lo si diventa. Come si sviluppa questo fenomeno? O, in altre parole, chi è colui che è sentito come diverso e perché lo si considera in questo modo?

Quando si è bambini, non si dà peso alcuno alle origini etniche dei propri compagni di gioco: semmai interessano altri loro aspetti, in particolare quelli comportamentali. A quell’età si è maggiormente aperti a tutto ciò che appare come una novità e si cerca di comprendere il mondo, spinti da una curiosità istintiva che non è viziata da alcun pregiudizio. Anzi, ciò che sembra “vecchio”, nel senso che è già stato vissuto e conosciuto, interessa molto meno rispetto a ciò che, invece, ancora non è stato sperimentato. Ciò non significa, però, che i bambini non possano dimostrare la propria insicurezza di fronte a qualcosa o a qualcuno che non è quello cui essi sono abituati.

Un nuovo amico, ad esempio, deve essere prima sperimentato: quando, però, essi si rendono conto che anche lui, a prescindere dal proprio colore di pelle, gioca e ride allo stesso modo loro, l’ostacolo della paura o della diffidenza iniziale è immediatamente superato. Prova questo fenomeno il fatto che non sono numerosissimi i casi di bullismo contro i bambini di colore all’asilo. È vero, però, che ha denunciato d’esserne stata vittima, quando ancora era molto piccola, la pallavolista Paola Egonu; un racconto simile ha fatto recentemente Raffaella Fico, che ha spiegato come la figlioletta, nata dal suo rapporto con il calciatore Mario Batotelli, è stata spesso mal apostrofata dai suoi coetanei.

Il fatto è che, quando si cresce, inevitabilmente si può essere influenzati dalla mentalità dei propri genitori o dalle spinte dell’ambiente nel quale si vive e perfino dalla retorica di certi mestieranti della politica. Se la famiglia e il gruppo dei pari sono razzisti, è facile che se ne venga suggestionati e si adottino, di conseguenza, comportamenti xenofobi o si ceda al pregiudizio. Ed allora capita pure che un ragazzo ripeta a pappagallo frasi razziste che ha sentito dal padre o dalla madre, spesso senza nemmeno comprendere fino in fondo il loro significato; o che la pressione sociale generata da questi atti, se associata ad una possibile sensazione di sconfitta, si trasformi nell’innesco di istinti suicidari nelle vittime.

Solo in Italia, ad esempio, ogni anno circa quattromila giovani si tolgono la vita: circa duecento lo fanno dopo essere diventati oggetto di vessazione da parte dei coetanei, una buona parte è tormentata per motivi razziali, come è accaduto alla giovane promessa del Milan, Seid Visin, il calciatore di origine etiope il quale, prima di farla finita, aveva scritto: “Ovunque vada, sento sulle spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati, impauriti delle persone”.

È, dunque, abbastanza provato che il razzismo è una sovrastruttura di cui l’essere umano si carica per ragioni eminentemente culturali. Il bambino, di per conto suo, non ha pregiudizi, ma è capace di vedere coloro che gli stanno intorno per quello che sono, non per quello che rappresentano. Non si concentra sulle caratteristiche etniche dei propri compagni, dato che è ancora troppo piccolo e ingenuo per comprendere se qualcuno sia da lui effettivamente differente. In questo contesto sembra prendere un nuovo significato la frase di Gesù Cristo: “Se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.

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