Pareri

C’è chi li approva e chi invece vuole bannarli: pro e contro dei videogiochi

Molti sostengono che il loro uso predisponga all'aggressività, altri che stimoli la collaborazione

Videogiochi e sport? parliamo di eSport con chi da anni ci lavora.

Chi conosce titoli come Call of Duty Vanguar, Battlefield 2042, DOOM Eternal o Halo Infinite, sa cosa sia uno shooter (in italiano “sparatutto”), uno di quei videogiochi che vedono l’utente “sparare” con diverse armi a distanza contro i propri nemici. A causa della loro natura violenta, molti li ritengono troppo truculenti e sospettano che causino manifestazioni di aggressività anche nella vita reale. Ma cerchiamo di ragionare insieme su pro e contro dei videogiochi.

Va detto, da principio, che il dibattito a proposito è stato influenzato dal fatto che i responsabili di alcune sparatorie scolastiche, come quella terribile avvenuta nell’aprile del 1999 a Columbine (Colorado), erano fan di questi videogame. In effetti, la teoria dell’aggressione generalizzata sembrerebbe spiegare l’associazione che si crea tra videogiochi e violenza. È stato dimostrato che un’esposizione prolungata alla vista di un comportamento virulento porti ad una maggiore tendenza a cedere ad altrettanta furia.

Alcuni psicologi hanno sostenuto che chi è predisposto all’aggressività lo è a livello genetico e che questa innata tendenza può essere influenzata in un senso o nell’altro dalle condizioni di vita con le quali si è cresciuti. La violenza ai quali si è sottoposti grazie a videogiochi o anche solo banalmente ai social network avrebbe, cioè, ha la possibilità di condizionare chi è propenso ad essa, ma non sarebbe l’unica causa. Gli uomini, dunque, normalmente non assimilerebbero passivamente gli stimoli, ma sarebbero in grado di controllarsi.

Inoltre, è risaputo che i videogames sono pieni anche di stimoli positivi (ad esempio, la spinta alla collaborazione) e di conseguenza anch’essi dovrebbero influenzare i partecipanti. Sotto questo punto di vista, si crede che essi consentano di tenere in allenamento alcune facoltà cognitive, anzi si sostiene che essi potrebbero essere utilizzati per amplificarle. Ad esempio, al giocatore viene spesso richiesto di svolgere missioni per le quali serve una particolare coordinazione, che, grazie all’esercizio, va via via migliorando.

I videogames che implicano la raccolta e l’impiego di oggetti sembrano addirittura migliorare la capacità di utilizzare le proprie risorse. Inoltre, ricominciare, dopo aver fallito, in questi giochi aiuta a sviluppare pazienza e perseveranza. Altro aspetto positivo è che, quando si vince o si ha successo in una qualche sfida, ciò può favorire l’autostima.

In ultima analisi, gli studi finora condotti hanno solo dimostrato che non vi sono prove sufficienti del fatto che i videogiochi violenti possano scatenare l’aggressività. È stato ammesso, però, da alcuni ricercatori che le ricerche su questo complicato argomento andrebbero ulteriormente approfondite. Per ora, sembra sia possibile affermare che proibire, come ha fatto il governo cinese, di giocare con il computer o online più di tre ore a settimana è eccessivo: come in ogni altra attività, non si deve esagerare, perché il troppo stroppia, sempre.

Tuttavia, anche gli sparatutto, se frequentati senza eccedere, possono permettere di sviluppare capacità che potrebbero, un giorno, tornare utili nel quotidiano. L’importante è che non finisca per avere ragione Simone Perrotti, quando afferma, forse calcando la mano, che “nelle nostre società ipertecnologiche i bambini in grado di giocare a un videogioco sono più numerosi di quelli capaci di nuotare o di andare in bicicletta. Molti sanno usare uno smartphone ma non sanno allacciarsi le scarpe“. Se davvero fosse già così, forse Xi Jinping sarebbe stato perfino troppo morbido.

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