Liguria. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato nello scorse ore che al momento il governo non interverrà nella vertenza aperta dai portuali americani che da ieri hanno iniziato uno sciopero totale di una settimana che, a questo punto, rischia di mandare nel caos buona parte dei traffici che legano le due sponde dell’Atlantico, Mediterraneo compreso.
I porti americani, infatti, sviluppano una quota decisamente rilevante per quanto riguarda i traffici sia in entrata che in uscita per i porti di Genova e Savona-Vado Ligure, rappresentando circa il 37% del totale. Sulla rotte passa la gran parte degli export del Made in Italy e dell’automotive italiano, mentre dagli States arrivano merci come frutta (banane soprattutto) e grandi derrate alimentari necessarie per la produzione industriale italiana di dolci, come noci, mandorle, pistacchi e prugne.
Secondo i calcoli fatti da Spediporto, la più grande associazione italiana di spedizionieri, “Ogni settimana, si stima che a livello mondiale saranno circa 500 mila i contenitori che non potranno sbarcare o raggiungere le destinazioni finali. Un danno gravissimo all’economia USA, ai suoi consumatori, ma anche agli esportatori, che certamente vedranno lievitare il costo dei noli già nelle prossime settimane”.
Le conseguenze dello sciopero dei portuali Usa
Uno “strike” che di fatto arriva già in una situazione complicata, con tutte le rotte verso e da il Far East sotto pressione a causa delle pressioni geopolitiche su Suez e sullo stretto di Bab el Mandeb, e che secondo JP Morgan potrebbe arrivare a cubare perdite giornaliere tra i 3,8 e i 4,5 miliardi di dollari per tutto il settore, con lo stop della movimentazione di circa 2 milioni di contenitori. Numeri enormi che a cascata peseranno anche sui porti del Mediterraneo, Genova compresa ovviamente. Sono circa 71mila i container che ogni settimana varcano lo stretto di Gibilterra, cosa che si traduce, per Genova e Savona, in quasi 7 mila container movimentati in entrata e in uscita. I dati sono di Autorità di Sistema Portuale, che nell’ultimo report ha indicato come cifra di movimentazione annuale da e verso gli Usa circa 336mila unità all’anno.
Le conseguenze di questo sciopero, quindi, potrebbero essere molto impattanti. Oltre al blocco delle operazioni dei principali porti della East Coast (che movimentano il 50% del traffico statunitense), si sta già verificando un balzo in avanti nei prezzi dei noli, essendoci carenza di stiva, con dirottamenti su altre portualità più a nord, come in Canada. Si teme infatti, una allargamento della protesta anche ad altri porti americani con un incontrollabile effetto domino. E anche se l’agitazione finisse nella settimana annunciata, la ripresa delle attività dovrebbe comunque smaltire ritardi e code..
I problemi, quindi, potrebbero durare per diverse settimane mettendo a rischio la filiera, già avviata, per le produzioni natalizie, vale a dire una delle principali dell’anno. Se noci, mandorle, pistacchi e prugne non arrivassero in tempo, o arrivassero tardi o in stato di conservazione precaria, potrebbe saltare una buona parte dell’industria dolciaria italiana e europea, proprio nel periodo dell’anno più atteso dal punto di vista dei ricavi. Una vera batosta che costerebbe milioni di euro di mancati fatturati.
Per cosa scioperano i portuali Usa?
Lo sciopero iniziato ieri, quindi, arriva non a caso in un momento particolarmente delicato per l’economia mondiale, mirato quindi ad provocare il maggior disagio possibile. E’ il primo dal 1977 e si sviluppa alle porte del voto per le presidenziali: una vera e propria tempesta perfetta. Ma quali sono i motivi di questo grande sciopero? I lavoratori portuali americani, dal Maine al Texas stanno protestando per chiedere l’aumento dei salari e contro l’automazione che mette a rischio i posti di lavoro. Argomenti che potrebbero trovare delle risonanze armoniche anche con il futuro delle portualità europee e italiane.
L’agitazione è arrivata a seguito dell’interruzione delle trattative tra il sindacato dei portuali International Longshoremen’s Association (Ila) e la United States Maritime Alliance (Usmx), vale a dire l’alleanza di vettori portacontainer, datori di lavoro diretti e associazioni portuali che servono le coste orientali e del Golfo degli Stati Uniti. L’Ila, che rappresenta circa 45mila lavoratori portuali, sostiene che gli aumenti salariali offerti dall’Usmx, che rappresenta 40 terminal oceanici e operatori portuali, sono troppo bassi e devono essere aggiornati immediatamente. Ma non solo: secondo i lavoratori nei porti americani sta avanzando una automazione serrata applicata alle lavorazioni non prevista da precedenti accordi.
Secondo quanto viene riportato dai media americani, Harold Daggett, leader della Ila, ha promesso una battaglia dura: “Siamo pronti a combattere per il tempo necessario, a scioperare per quanto serve“. Nei giorni precedenti lo stop delle trattative, Ila ha rifiutato un’offerta che prevedeva l’aumento del 50% di stipendio in sei anni, ritenendola inadeguata. Il sindacato chiedeva infatti un aumento del 77% solo per sedersi al tavolo delle trattative. “Lotterò perché queste aziende avide guadagnano miliardi di dollari e non vogliono condividerli – ha detto Dagget in una recente intervista alla BBc – Lotteremo per questo e vinceremo, altrimenti questi porti non riapriranno mai più. Non stiamo scherzando“.