“Niente potrà essere più dolce della patria, dei genitori,
anche se uno, lontano, risiede in una ricca dimora,
in terra straniera e distante dai genitori.
Ebbene, anche il mio travagliato ritorno mi appresto a narrarti,
quello che Zeus mi inflisse quando venni via da Troia.”
Si tratta di un momento cruciale del testo omerico dell’Odissea, siamo nel libro IX e Ulisse, ospite del popolo dei Feaci, si appresta a narrare ad Alcinoo, loro sovrano, alla figlia Nausicaa e al popolo presente, le già famose avventure che lo hanno infine condotto sulle rive del regno che lo sta ospitando. La riflessione che andiamo ad aprire a questo punto prosegue nella prospettiva assunta precedentemente (Il coraggio di avere paura) che individuava, in estrema sintesi, gli anni di permanenza di Odisseo presso l’isola della ninfa Calipso, come la stagione dell’adolescenza, che si conclude con la scelta della partenza verso il mare aperto con l’intento di ricongiungersi alle proprie radici, l’Itaca personale, così da “divenire se stessi”. Ho definito cruciale il momento descritto dai versi d’apertura poiché individua un passo determinante sia per la dinamica dell’opera che per gli sviluppi e le scelte future del giovane che si avvia verso la stagione adulta: la narrazione di sé. Ulisse si trova nella condizione di “tradurre” gli eventi che ha vissuto nella loro “narrazione”. Che tale racconto sia rivolto ai Feaci o se stessi non cambia il senso della riflessione, infatti in ogni caso si deve rispondere alle medesime strategie di comunicazione. Il narrante, che parla in prima persona, si trova a dover mettere ordine nelle esperienze che, nell’atto del loro accadere, non richiedevano un’azione di “presa di possesso delle stesse”, semplicemente “accadevano” e i personaggi sembravano agiti dalla vita, ora, passo dopo passo, il protagonista comprende e si comprende, è indispensabile farlo per dare un senso a quando avvenuto, per individuarne il filo rosso che è coscienza del proprio ruolo in tutto quanto che, nella frenesia dell’azione, sembrava essere deciso altrove, quasi senza scelta e volontà da parte del protagonista.
Narrarsi è ravvivare la memoria che presentifica il viaggio rendendolo consapevolezza del passato, coscienza del qui e ora, possibilità di progetto di sé, in altre parole, significa comprendere l’identità tra viaggio e viaggiatore poiché, per completare la citazione in chiusura dell’ultimo incontro, “soffia vento/ sarò la tua farfalla/ porterò lontano/ la tua voce/ dove un nuovo mare/ abbraccia un’altra foce”. Narrarsi è un modo, anzi, probabilmente il modo, per tracciare una netta linea di demarcazione tra il viaggio virtuale e il viaggio della vita. La chiave prospettica adottata ci consente un’attualissima riflessione intorno al momento complesso di passaggio dall’adolescenza all’età adulta contestualizzato e attualizzato alla luce della variabile imprescindibile che definisce le nuove generazioni digitali: l’invasiva esperienza del Web. Navigare sul Web è un navigare immobile, è, di fatto, un lasciarsi navigare da algoritmiche rotte altrui, non insegna la navigazione del mare della vita. Per il secondo impervio percorso bisognerà essere in grado di sapersi costruire un’adeguata imbarcazione esistenziale, quelle da “oceano del Web” non reggerebbero nemmeno le più lievi onde del mare della vita. Chiunque si accinga a intraprendere il viaggio deve davvero desiderare di abbandonare la dorata prigionia del vivere dall’esterno, come accade nella quotidianità virtuale, auto ingannandosi in una stagione di proiezioni e vigliacchi rinvii.
Possiamo ora riprendere l’analisi del testo omerico: la stagione di Ogigia ha per protagonista, da intendersi come colei che sceglie e agisce, la dea Calipso che, se anche la si vuole presentare come ingannatrice, è in realtà l’adeguata compagna per quella stagione della vita, ciò che conta è di non rimanere intrappolati nella sua magia ma nemmeno rinnegarla, sarà opportuno comprenderla, trasformarla in strumento per la propria “cassetta degli attrezzi esistenziale”. Rinviare l’addio perché già malati di nostalgia di quella stagione del mito nella quale è facile viversi eroicamente, è pericoloso, conduce all’accidia e alla rinuncia. Ulisse rimane prigioniero di Calipso fino a che si rende conto che la propria natura è quella del marinaio, di chi rispetta il mare aperto del quale comprende la pericolosità, ma che sa bene di volerlo attraversare “inventando rotte espressione di sé”. Non rinnega l’amore per Calipso, ma ha compreso che è nel passato, ha amato la dea e l’immortalità che gli offriva, ma sa che ora deve, per sua stessa natura, riprendere il mare. È il tempo di amare se stesso attraverso un addio, rimanendo si tradirebbe e non sarebbe più in grado di amare nessuno. Non desidera l’eternità senza passione ma nemmeno le “passioni del momento”, ha urgenza di qualcosa di più profondo, di emozione intima e creativa, intrisa di sé! Non sa più che farsene di quelle predigerite offerte da un algoritmo, vuole quella della quale sa di essere responsabile; a Ulisse-Ognuno, non basta più la falsa eternità del metatempo virtuale, il luogo in cui tutto è a portata di mano ma nulla si afferra, il luogo in cui tutto accade “in tempo reale” ma non è reale il tempo nel quale sembra di vivere. Ulisse-Ognuno vuole la vita vera, ha compreso che la falsa velocità del virtuale-magico è sclerosi e morte prima dell’anima e poi del corpo. Il corpo non vive se muore la mente: inutile restaurare un edificio, attrezzarlo splendidamente se è inagibile dalle fondamenta. Ulisse piange in riva al mare, sulla battigia, il luogo degli addii e dei bentornato, si comprende il perché Atena, la ragione, perori la sua causa e Zeus non possa opporsi alla volontà dell’uomo e della sua intelligenza.
Ma l’aspetto davvero cruciale è la comprensione che nessuno possa davvero indicarti la rotta, la devi costruire, certo possono essere utili consigli di navigazione ma se segui le rotte altrui non troverai mai la tua. I viaggi degli altri ci insegnano poco, ogni viaggio lascia una breve scia che viene inghiottita dal mare, resta solo il mare e l’occasione di tracciare una nuova scia che presto scomparirà ma che, finché schiumerà sul mare, sarà il segno di una vita vissuta. È forse possibile infine regalare un consiglio a chiunque sia al fianco di Odisseo a desiderare di prendere il mare: osa e crea, prova a mettere in crisi i tracciatori di rotte, non banalmente negandole, ma indicando nuovi orizzonti e nuovi itinerari per varcarli. Esiste una ricetta per la libertà, per la costruzione di sé, per sconfiggere l’omologazione anonimante? Se si non la conosco, ma sono convinto sia un ossimoro concettuale affermare che esistano regole per essere liberi, credo, però, sia possibile e doveroso comprendere che il mondo che ci è stato dato e che non abbiamo potuto scegliere potrà essere modificato da un gesto voluto e sincero, un gesto che, inevitabilmente richiede coraggio. Sempre il cambiamento, un passo da pioniere, uno “sguardo altro” hanno destabilizzato chi ne sia stato visitato, sono pericolo di solitudine, di sfide feroci, ma possono regalare immensa luce e, finalmente, possesso della costruzione di sé. Il mondo che si trova già pronto per essere usato e che ti costringe a essere una sua proiezione funzionale, non è l’unico possibile. Enorme è la responsabilità di chi lo ha costruito, di chi si è limitato a conservare ciò che ha ricevuto per consegnarlo a chi dovrà imitarlo, ma questo non giustifica il medesimo comportamento. Se chi ti ha preceduto si spaccia per ciò che avrebbe voluto essere fino a credere di esserlo stato, non importa, tu crea nuovi alfabeti, non cercare l’etichetta dietro la quale sopravvivere, regalati l’opportunità di un pensiero “altro” o, almeno, tuo, insomma: non aver paura di avere coraggio.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.