Liguria. Sulla direttiva Bolkestein non è difficile immaginare in futuro l’uscita di una serie televisiva su Netflix. Parliamo di una saga tutta italiana capace di lasciare “gli spettatori” costantemente in balia dell’effetto cliffhanger. Ora però qualcosa sta cambiando e la sensazione è che il tempo delle proroghe, o delle “vie di fuga” alternative, sia quasi scaduto.
Il segnale, seppur simbolico, arriva direttamente dalla stessa categoria, che ha organizzato per il 9 agosto una sorta di “sciopero” degli ombrelloni per protestare “contro l’inerzia del governo italiano”. Ombrelloni chiusi dalle 8 alle 10 di mattina. Due ore di stop ai servizi: sulla carta poca roba, ma quanto basta – per il sindacato italiano balneari (Sib) guidato da Antonio Capacchione – per lanciare un messaggio alla premier Giorgia Meloni. “Per noi ha fatto più Draghi di lei”, ha dichiarato ieri al quotidiano “Il Foglio” il presidente nazionale del Sib.
In realtà, dietro le quinte, il governo italiano è al lavoro da tempo per evitare la piena applicazione della direttiva sui servizi, che enfatizza la necessità di una concorrenza anche nel settore balneare. Gli interessi in gioco non sono pochi (basti pensare che in Italia sono state assegnate oltre 12mila concessioni). Vista dalla prospettiva degli imprenditori, la questione non è solo “non voler mollare l’osso”, anche perché in ballo ci sono investimenti, posti di lavoro e “tradizioni di famiglia”, che ora rischiano di essere cancellati con uno “colpo d’asta”.
“LA TELEFONATA” CON IL VICE PRESIDENTE DEL SENATO GIANMARCO CENTINAIO
Eppure la premier Giorgia Meloni un segnale agli imprenditori del settore ha voluto inviarlo, ad esempio scegliendo di non sostenere Ursula von der Leyen per la presidenza della Commissione Europea. Ma il vero problema per il governo è che i balneari hanno capito che il tempo sta per scadere. Anzi, a dirla tutta è già scaduto. Tornando al punto di partenza di questo articolo, oggi sarebbe probabilmente l’episodio numero mille della nostra serie. La “crociata” europea contro le concessioni “a tempo indeterminato” è iniziata nel 2006, con la ormai famigerata direttiva Bolkestein, ed è andata avanti per quasi 20 anni a colpi di sentenze, ricorsi, procedure di infrazione, proroghe e chi più ne ha più ne metta.
Oggi il quadro giuridico è tutt’altro che chiaro, e questo è il risultato di un atteggiamento che ha caratterizzato tutti i governi italiani dal 2006 a oggi. Ogni esecutivo ha cercato, con successo (va detto), di rinviare l’applicazione della direttiva europea, ma nemmeno il “fuoriclasse” Mario Draghi è riuscito a trovare il bandolo della matassa per interrompere la “saga delle proroghe”. L’allora premier italiano, nel 2022 ha tentato di intervenire, ma l’iter è stato interrotto prematuramente a causa della caduta anticipata del governo da lui guidato. Da poco più di un anno la palla è passata a Giorgia Meloni, che con Fratelli d’Italia ha sempre sostenuto le battaglie dei balneari. Ora che la premier è entrata nella stanza dei bottoni, la spiaggia e il mare sono rimasti gli stessi, ma il tempo dei rinvii sembra essere finito. Insomma, bisogna fare i conti con la “dura realtà” (europea).
E il motivo è semplice: la scadenza di fine 2024 è perentoria. Questo significa che il Governo non avrà più la possibilità di richiedere una “proroga”. Oltre ai balneari, anche Sergio Mattarella osserva con preoccupazione le mosse di Palazzo Chigi. L’attesa sembra ormai terminata: la puntata finale di “Bolkestein” potrebbe uscire tra pochi mesi.