“Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica”. Rimando, chi fosse interessato alla sviluppo profondissimo di questa prospettiva, al testo di Hannah Arendt del 1951 dal titolo Le origini del totalitarismo dal quale è stata estrapolata la citazione di apertura. In questa sede non ci occuperemo della più ampia implicazione del fenomeno dell’ideologia nell’insorgere delle tragiche dittature nazifasciste e comuniste che hanno caratterizzato il secolo scorso, riflessione splendidamente condotta dalla Arendt, appunto, ma, sempre tentando la via di un pensiero “altro”, proveremo a riconoscerne le sopravvivenze nella nostra epoca nella quale, a mio avviso erroneamente, si celebra la scomparsa delle ideologie. Sono convinto che non sia fondata l’affermazione che non esistano più ideologie, la verità è che sono camaleonticamente sopravvissute in forme meno riconoscibili, almeno utilizzando i codici classici, ma conservando la peculiarità più pericolosa, l’essere al servizio del potere, soprattutto veicolando surrettiziamente la certezza che il singolo sia assolutamente insignificante al cospetto di quella che, in quanto ideologia “giusta”, sia anche “espressione della volontà popolare”. La tesi, che proveremo a verificare, è che l’ideologia è la nemica più feroce dell’idea; che si traveste come espressione popolare nel momento in cui annichilisce l’individuo che è la cellula fondativa del popolo. A distanza di cinque secoli ancora rimane lucidissima la riflessione di Michelangelo: “Meno idee si hanno e meno si è disposti a cambiarle”, insomma, la scomparsa dell’idea nella sua accezione originaria, cioè non solo come ciò che appare alla vista ma soprattutto come ciò che sono in grado di vedere all’interno di una visione proiettiva nella quale il soggetto, più che ricevere l’immagine di ciò che è, genera da sé la visione di ciò che potrebbe essere.
Per meglio sviluppare la contrapposizione tra la povertà di idee come humus perfetto per l’insorgere delle ideologie, possiamo riandare all’affermazione di Martin Heidegger che “La filosofia implica una mobilità libera del pensiero, è un atto creativo che dissolve le ideologie”, purtroppo è facile verificare che la cifra di riferimento per la certificazione della qualità sia, oramai da troppo tempo, il numero di proseliti che è facile far aumentare in proporzione diretta alla banalità di quanto si scrive o si canta o, ancora più efficacemente, si diffonde sui social. La filosofia, così, finisce per acquattarsi in un angolo e osservare disorientata l’invasione del nulla che domina nella rete, nelle televisioni, fra i cosiddetti intellettuali che, secondo la caustica definizione dello scrittore ispanico britannico Gerald Brenan, “sono persone che credono che le idee siano più importanti dei valori. Vale a dire, le proprie idee e i valori degli altri”. Fortunatamente questa analisi non coinvolge la totalità degli esseri umani, sopravvivono l’intelligenza, il pensiero individuale, la ricerca di prospettive libere, anche se l’agonia dell’idea al cospetto del fantasma sempre più potente dell’ideologia camuffata è abbastanza evidente. Ma continuiamo nella pratica rianimatoria per quanto le nostre povere forze ce lo consentano ricordando un proverbio cinese: Quando un solo cane si mette ad abbaiare a un’ombra, diecimila cani ne fanno una realtà. Questa affermazione ben chiarisce il fenomeno della rumorosa manifestazione di poche idee e di confuse occulte ideologie che dilaga nei social e, quando fa abbastanza comodo al potere, anche nelle piazze e non c’è nulla di più anestetizzante, per una fondata protesta, che la sua innocua plateizzazione. Si tratta di fatto di un’antica strategia che rimanda alle jacqueries. Certo, qualche pseudo intellettuale celebrerà l’ultimo estemporaneo movimento come una forza libertaria e innovativa, ma, il più delle volte, solo perché risponde agli interessi del potente nel cui libro paga è inserito.
La vera domanda diviene, a questo punto, quale ideologia sopravvive e quale idea può ancora trovarvi luogo? In estrema sintesi possiamo affermare che l’unica vera ideologia dominante sia quella del successo: ciò che conta è raggiungere l’obiettivo, la ricchezza, il consenso, la notorietà, insomma, le varie maschere che il potere offre a chiunque sia disposto a prostituirsi allo stesso. All’interno di questa valanga di nulla si spacciano per idee gli stratagemmi per confermarsi come campione di tale annichilente pratica, importante è non chiedersi se tutto ciò abbia senso, ma limitarsi ad affinare gli strumenti più funzionali. Una volta inseriti nel flusso collettivo ogni domanda diviene vana poiché la risposta è sempre la stessa in quanto ogni interrogativo non potrà incidere sulle ragioni dell’agire ma solo sul come. Solo una breve nota: quando si parla di populismo sarebbe opportuno comprendere che dare fiato a una voce collettiva che è stata svuotata di ogni umanità, che è espressione dell’ideologia dominante, è il più deleterio populismo anti popolare. Se davvero si vuole essere vicini al popolo senza paternalismi o squallida captatio benevolentie, è bene mostrargli quanto sia ingannato, inghiottito, annichilito dalla marea crescente del nulla nelle sue multiforme sembianze seduttive, è bene essere fastidiosi, proporre di uscire dal flusso anonimo per riappropriarsi di sé come fenomeno autocosciente della propria unicità. Non è facile riconoscere la cangiante costanza dell’ideologia, ma una buona indicazione può essere osservare come proponga l’identificazione di un nemico per compattare un gruppo che, in questo modo, subito diviene massa. In questo modo si stempera la responsabilità individuale, l’atto di fede non è figlio di una scelta capace al confronto ma di accettazione supina di un dogma e, aspetto determinante, l’importante è essere convinto senza cedimenti della sua verità assiomatica.
Nessun suddito penserà mai di ribellarsi al potere se sarà convinto di averlo liberamente scelto. Nel grande bazar delle idee preconfezionate, esibite con abile strategia di vendita sugli scaffali del supermercato del pensiero seriale che, tanto più sembra offrirti alternative di acquisto, tanto più ti riduce a compratore di idee già consumate prima dell’uso, ogni individuo scompare per trasformarsi in acquirente depensato eppure certo di fruire di ampie e personalizzanti opportunità di scelta, certificazione di libertà. Resta da chiarire se ancora esiste una possibilità di idee libere da una simile ideologia – sirena il cui canto non ti porta ad infrangerti sulle rocce della riva, ma a perderti nell’indeterminato oceano del mercato nel quale c’è spazio per tutti e la navigazione diviene banale galleggiamento. Allora cominciamo con una negazione-affermazione: non mi interessa raggiungere un luogo se non ho scelto la ragione del viaggio. Proseguiamo sullo stesso tono: non mi distinguo nella scelta della meta ma nel chiedermene la personale motivazione. E ancora: non mi compiaccio dell’efficacia delle mie scelte operative ma dell’intelligenza del mio progetto. Certo, non si tratta di una panacea né di una conclusione del nostro argomentare, anzi, è solo un inizio, proprio perché, una volta mosso il primo passo, sarà ogni singolo essere pensante a misurarsi con le provocazioni che il proprio pensiero, in via di liberazione formazione, gli sottoporrà invitandolo a una faticosa ma salvifica assunzione di merito e responsabilità per le proprie idee che non saranno acquisite nell’infinito bazar del mercato virtuale, ma incontrate nel viaggio intimo della propria riflessione. Se l’ideologia non è più visione e l’idea non è più pensiero, se dilaga l’opportunismo spacciato per pragmatismo, se la saggezza viene confusa con la mancanza di coraggio… riappropriamoci dei nostri individuali sogni salvandoci dai farisaici collettivi bisogni.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
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