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Per un pensiero altro

Epistemologia allegra

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico agosto 2024

“Gli uomini hanno bisogno di punti d’appoggio, vogliono la certezza a ogni costo, anche a spese della verità. Poiché essa è corroborante, e loro non possono farne a meno anche quando sanno che è menzognera, non ci sarà scrupolo capace di trattenerli dallo sforzo di procurarsela” scrive Emil Cioran stigmatizzando un aspetto della psicologia umana che, a mio modo di vedere, riveste una valenza tanto metatemporale e metaspaziale da assumere un profondo valore filosofico e, soprattutto, da tornare utile per meglio comprendere numerosi comportamenti della specie umana. Non si tratta tanto di affrontare lo spinoso tema della verità, almeno in questo contesto, al riguardo mi limito alla considerazione junghiana che “Una menzogna non avrebbe senso se a qualcuno la verità non sembrasse pericolosa”, lasciando a margine il fatto che possa esistere una verità ontologicamente accessibile, preferisco occuparmi, sempre con leggerezza e speranza di suggerire un pensiero “altro”, della ricaduta epistemologica di tale assunto. A conferma dell’intento per certo non serioso o supponente, riporto una “quasi barzelletta” raccontatami da un collega epistemologo piuttosto noto ma che non ama essere citato. Si tratta di una ricerca scientifica condotta da un entomologo nei confronti di una mosca: come da protocollo lo studioso annota il procedere degli esperimenti. “ore 8,07, stacco una zampa alla mosca, batto le mani e la mosca vola; […] ore 8,31 stacco l’ultima zampa, batto le mani e la mosca vola; […] ore 8,34 stacco un’ala a batto le mani, faticosamente la mosca vola; […] ore 8,47 stacco l’ultima ala alla mosca, batto le mani e la mosca non vola. Ne deduco che, evidentemente, il senso dell’udito delle mosche ha sede nelle ali”. Spero non me ne voglia nessun “credente della scienza”, in fondo, come plasticamente dimostra il mio amico entomologo, saper ironizzare su di sé è segno di sottile intelligenza, quindi, con un sorriso, proviamo a riflettere su questa apertura vagamente nonsense.

Nel suo testo “Perché non possiamo essere cristiani” Piergiorgio Odifreddi afferma che ci sono sempre state guerre di religione ma che “[…] non ci sono guerre di scienza, né ci sono mai state, perché la scienza è una sola: magari non santa, ma certo katholika nel senso letterale di universale”. Il testo risale al 2007, prima del conflitto medico scientifico mondiale scatenato dal covid, forse oggi andrebbe ripensato. Certo, mi si potrebbe contestare che il “conflitto covidico” era da ricondurre a ragioni economiche e di potere, ma non sarebbe lecito mantenere il medesimo approccio per le guerre di religione? Oltretutto in entrambe i casi i contendenti, sia a livello teologico che epistemologico, rimanevano distanti dalle malinconiche diatribe dei campi di battaglia, compresi i litigi anche tra amici al riguardo, litigi che, in casi di particolare stupidità dei contendenti, hanno prodotto faide insanabili. Riprendiamo l’incipit di Cioran: “Gli uomini hanno bisogno di punti d’appoggio, vogliono la certezza a ogni costo”, è su questa fragile urgenza che si fondano le fedi, che siano poi rivolte alla religione, alla scienza, all’ideologia, in fondo, non ne muta la sostanza. Sono certo che sia chiaro il senso, nessun attacco né a Dio né alla Scienza, solo un sussurrato rimarcare che l’esistenza di una verità incontrovertibile è figlia di un bisogno e, pertanto, a posteriori; non risiede nell’Essere ma nello sguardo spaventato dell’Esser-ci. Per esplicitare un’espressione forse troppo specialistica, voglio dire che la verità è frutto della prospettiva e del bisogno dell’essere umano che, senza almeno la speranza di un punto fermo, sarebbe perennemente afflitto dal mal di mare e la navigazione quotidiana ne risulterebbe pesantemente condizionata.

Personalmente preferisco ricordare le parole di un filosofo italiano che molti della mia generazione hanno conosciuto almeno attraverso la manualistica liceale, mi riferisco a Giovanni Reale che scriveva: “Prevale l’idea che il sapere derivi dalla scienza e che la tecnologia risolva tutti i problemi. Eppure Popper e gli epistemologi hanno spiegato che la scienza per definizione non può avere idee universali e necessarie, ma coerenti con un paradigma dominante in quel preciso momento. La bellezza della filosofia è di poter contenere anche sistemi opposti, perché le nostre idee non sono definitive.” In questo modo si rovescia addirittura l’affermazione di Odifreddi, la scienza è ancor meno prossima alla possibilità di una verità, ancor più se con pretese Katholike, in quanto ingessata all’interno del paradigma epistemologico del momento, qualsiasi storico della filosofia della scienza potrebbe addurre decine di prove a sostegno di questa affermazione. Ma voglio essere, come spero sempre, ancor più libero nel mio argomentare, denunciando la gabbia che la prospettiva dominante erige anche attorno al pensiero filosofico e questo ci riporta nuovamente alla corrosiva affermazione di Cioran anche se, mi sembra corretto rimarcarlo, né la Scienza, né la Filosofia e, pertanto, nemmeno la Religione sono responsabili dell’ottuso fanatismo di qualche sprovveduto che, salvando il senso profondo dell’affermazione di Odifreddi, vi riconosce certezze e verità “katholike”; credo sia più saggio l’approccio del Reale e ribadisco che “le nostre idee non sono definitive”. Mi sembra sia interessante ricordare come, ancora una volta si tratta di uno scienziato, un chimico e fisico serbo, Mihailo Idvorski Pupin, la vera intelligenza sia sempre contro il dogma e disponibile all’auto ironia; cito, a tal proposito, una sua esortazione: “Guarda quelle mucche e ricorda che i più grandi scienziati del mondo non hanno mai scoperto come trasformare l’erba in latte”.

Non possiamo farne a meno, è in noi una congenita necessità di mettere ordine nel kaos che, è importante ribadirlo, non è disordine ma totalità o, come splendidamente spiega il pensiero classico greco, l’abisso dove tutto è uno nel suo perenne e plurale divenire. Eppure non sappiamo accettarlo, dobbiamo inventarci punti di riferimento che pretendiamo siano non tanto utili per orientarci ma assoluti per ordinare e poter ridurre l’infinito alla sua pensabilità da parte nostra. Per dirla con Carlo Rovelli, la realtà è interazione, infatti “Le equazioni della meccanica quantistica e le loro conseguenze vengono usate quotidianamente da fisici, ingegneri, chimici e biologi, nei campi più svariati. […] Eppure, restano misteriose: non descrivono cosa succede a un sistema fisico, ma solo come un sistema fisico viene percepito da un altro sistema fisico”; non ci resta che accontentarci delle pseudo certezze statistiche sulle quali l’epistemologia contemporanea poggia i propri passi dopo aver abbandonato la pretesa garanzia offerta dal metodo induttivo e aver recepito il falsificazionismo popperiano. Ma sono convinto che il problema avvertito dall’umanità in ogni tempo e in ogni luogo non sia tanto riconducibile alle vette epistemologiche della fisica quantistica, quanto piuttosto si possa ridurre a più quotidiane interrogazioni: come posso essere sicuro di essere innamorato? Quanto posso fidarmi di chi mi sta davanti? Come posso essere certo che questa sia la scelta giusta? Questi interrogativi ne implicano uno preliminare: siamo sicuri che ci farebbe piacere avere le risposte definitive agli stessi? Sempre che ne esistano, ovviamente. La domanda cruciale diviene allora: perché amiamo così intensamente la vita pur avendo consapevolezza di quanto sia complessa e faticosa? Credo che la risposta sia perché siamo abitati dal libero arbitrio, certo, non come ci viene raccontato, cioè come dono divino, ma come essenza peculiare dell’umano che è così più libero di Dio. È il kaos che lasciamo vivere in noi che ci solleva al di sopra della prigione dalle due facce, il non poter sbagliare che è di Dio e il non poter scegliere e pertanto sbagliare che è dell’animale. Insomma, chi è più felice, il dio immortale o l’eroe che sceglie di poter morire? Ma questa è un’altra storia.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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