Chi fu invece plasmato dal fascismo fino al suo epilogo è Pietro Mascagni, il grande amico di Puccini con il quale aveva diviso la soffitta al tempo degli studi a Milano. Intorno agli anni ‘20 s’era avvicinato al bolscevismo, ma poi virò decisamente sul fascismo, fino a diventare fidato referente della politica culturale in ambito musicale e prototipo del musicista di Stato. La sua adulazione per Mussolini fu addirittura stucchevole nel rapporto del 21 marzo 1927, ad esempio, in cui Mascagni relaziona da Vienna l’esito delle celebrazioni beethoveniane per il centenario dalla morte. Gli frutterà la nomina ad Accademico d’Italia e il patronato dell’opera Nerone.
A proposito di essa, l’Accademia Reale d’Italia era stata fondata nel 1929 quale strumento di dialogo – e ben presto di consenso – tra il fascismo e le intellighenzie del Regno d’Italia, attraverso il coinvolgimento del maggior numero possibile di intellettuali. Nelle intenzioni del Duce, sul modello francese di Richelieu, l’Accademia avrebbe dovuto dimostrare l’unità culturale di un Paese da noi riscattato alla gloria dell’effettuale unità sociale. A questo fine furono incentivate anche altre iniziative, come l’Enciclopedia italiana. Ben presto, però, gli obiettivi di promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservare puro il carattere nazionale secondo il genio e le tradizioni della stirpe, di favorirne l’espressione e l’influsso oltre i confini dello Stato (art. 2 dello Statuto), avrebbero di fatto trasformato l’istituzione in un centro di artisti e intellettuali usato a scopi politici.
Altro capitolo della letteratura musicale di quel tempo è costituito dagli inni fascisti, composti da quasi tutti i compositori della Giovine Scuola e non solo: Giordano, con l’Inno all’Italia del 1932, ribattezzato da Mussolini Inno del Decennale, riferendosi al decennale dalla Marcia su Roma, cercò una riabilitazione come musicista ufficiale del regime, dopo aver declinato l’impegno di comporre un’opera su Manfredi di Svevia, figlio di Federico II, impegnato nella lotta contro il papato (dopo i Patti Lateranensi, il fascismo era entrato in conflitto con la Chiesa). Occorre poi citare l’Inno a Roma di Puccini (1919) dedicato a Jolanda di Savoia, ma ben presto impiegato nei contesti ufficiali, l’Inno degli avanguardisti commissionato dal Partito Nazionale Fascista a Mascagni nel 1927 e Giovinezza, canto scritto da Giuseppe Blanc per i giovani Balilla. Infine l’Inno di Pizzetti. di cui riportiamo un estratto dalla dedica a Mussolini:
Duce,
poter dare almeno una volta al popolo della propria nazione e del proprio tempo un canto in cui esso senta espresso qualcuno dei suoi sentimenti più profondi, qualcuno dei suoi ideali più puri; credo che un poeta o un musicista non possano avere una più alta aspirazione; e tentarlo non è superba presunzione, ma atto d’amore.
Questo Inno che vi mando, del quale già voi udiste una parte inclusa nel film Scipione l’Africano, è un’espressione di amore di un artista che ha sempre amato ed ama la sua terra, la sua gente, la sua patria, sopra ogni cosa al mondo.
Voi che del popolo italiano sapeste come nessuno mai divinare i sentimenti più profondi, illuminare le virtù più pure, suscitare le energie segrete, Voi che al popolo italiano date ogni giorno la voce più chiara e più potente per dire le parole più alte che possano essere dette all’intera umanità, giudicate se l’Inno sia degno di essere al popolo italiano offerto perché esso lo canti.
Massimo Carpegna è direttore d’orchestra, critico musicale e compositore, con partiture lirico sinfoniche diffuse in mondovisione. E’ stato docente presso il Conservatorio di musica di Modena ed è Visiting Professor alla London Performing Academy of Music. Con “Classica&Dintorni” porterà i nostri lettori alla scoperta della musica classica e delle figure che ne hanno segnato la storia. Clicca qui per vedere tutti gli articoli.