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Classica&dintorni

Gli Autori del Ventennio (parte 1)

“Classica&Dintorni” di Massimo Carpegna nasce con l'intento di portare i lettori alla scoperta della musica classica e delle figure che ne hanno segnato la storia

classica e dintorni febbraio 2024 puccini

Il fascismo, come tutte le dittature, aveva necessità di un popolo che credesse fermamente nei valori che diffondeva e nessuno strumento è più efficace della cultura. Attraverso la letteratura, la pittura, la musica, il teatro e la nuova potentissima arte, il cinema, erano confermati ed esaltati quegli ideali che stavano alla base del partito nazionale fascista; in primis, un ritrovato orgoglio nazionale che pretendeva da tutti un riconoscimento alla propria secolare grandezza. Sulla musica, oggetto della nostra indagine, è innegabile constatare che il Ventennio fascista rappresentò un periodo in cui le istituzioni politiche ebbero un alto interesse verso essa, sia in termini di sostegno a manifestazioni culturali, sia come appoggio alla musica d’avanguardia, sia nell’ambito della pedagogia e della formazione musicale professionale. Per questa ragione fu per molti un’incredibile opportunità di crescita e affermazione. Inutile è anche negare che, seppure in modo diverso e per diverse ragioni, la dittatura fu accettata dai nostri artisti, attraverso la preparazione ideologica di un terreno d’intesa, che consentì adesioni e collaborazioni da parte dell’ala contemporanea di indirizzo conservatore (Pizzetti e Respighi) come da quella modernista (Malipiero e Casella) cui si aggiungono naturalmente il ruolo controverso giocato dai futuristi e quello dall’opera lirica dei musicisti popolari (Mascagni, Giordano, Cilea).

Iniziamo da quest’ultimi. Per quanto concerne l’opera verista, diverse caratteristiche ne favoriscono la grande comunicativa: il taglio drammaturgico incalzante, la narrazione impersonale, l’aderenza al reale mutuata dal Naturalismo alla Zola, la semplificazione delle componenti musicali. La centralità dell’elemento vocale e l’alternanza tra tensione appassionata e languore sentimentale la collega al passato ottocentesco e alla grande popolarità che questa forma d’arte ebbe in Italia e all’estero. L’opera è un magnifico mezzo di comunicazione per le masse. I protagonisti di questa stagione dell’opera italiana sono Giacomo Puccini, che morirà a soli due anni dall’ascesa al potere di Mussolini e sarà dunque marginalmente toccato dall’avvento del fascismo; Pietro Mascagni, emerso sulla scena internazionale a ventisette anni con il capolavoro Cavalleria Rusticana, tratto dall’omonimo romanzo di Verga; Umberto Giordano, anch’egli reso celebre da un’ opera giovanile, l’Andrea Chenier del 1896; Francesco Cilea e don Lorenzo Perosi. Epigono del genere, infine, può essere considerato Riccardo Zandonai che, più giovane di una generazione, sarà l’allievo di Mascagni favorito dall’editore Tito Ricordi.

In alcune lettere di Puccini, scritte tra il 1920 e il 1922, traspare evidente il malessere comune che pare non abbia mai lasciato il popolo italico: «qui in Italia si vive da cani. Meglio cento volte a Vienna la vinta, che a Milano la vittoriosa?!»; «Italia! Italia! Tasse, cari prezzi, sudiciume, disordine, cattivo gusto. Insomma, un eldorado di brutture…».

Non manca una sorta d’invidia verso la Germania: «il mio Paese mi fa schifo […] ma anche la Francia non è luogo per noi. Meglio al di là del Reno!». Puccini, poi, apprezza la figura carismatica del Duce: «E Mussolini? Sia quello che ci vuole! Ben venga se svecchierà e darà un po’ di calma al nostro Paese!» Questa fascino che Mussolini esercitò anche sull’Autore di Bohème, è riportato dal suo amico e biografo Adami: Io sono per lo stato forte. A me sono sempre andati a genio uomini come De Pretis, Crispi, Giolitti, perché comandavano e non si facevano comandare. Ora c’è Mussolini che ha salvato l’Italia dallo sfacelo […]. La Germania era lo Stato meglio governato, che avrebbe dovuto servire da modello per gli altri. Non credo alla democrazia perché non credo alla possibilità di educare le masse. È lo stesso che cavar l’acqua con un cesto! Se non c’è un governo forte, con a capo un uomo col pugno di ferro come Bismarck una volta in Germania, come Mussolini adesso in Italia, c’è sempre pericolo che il popolo, il quale non sa intendere la libertà se non sotto forma di licenza, rompa la disciplina e travolga tutto. Ecco perché sono fascista: perché spero che il fascismo realizzi in Italia, per il bene del Paese, il modello statale germanico dell’anteguerra.

Dunque l’auspicio è quello di uno Stato forte, centralizzato, dove il potere – che il popolo non pare in grado di controllare – risieda nelle mani di un solo uomo.

Massimo Carpegna è direttore d’orchestra, critico musicale e compositore, con partiture lirico sinfoniche diffuse in mondovisione. E’ stato docente presso il Conservatorio di musica di Modena ed è Visiting Professor alla London Performing Academy of Music. Con “Classica&Dintorni” porterà i nostri lettori alla scoperta della musica classica e delle figure che ne hanno segnato la storia. Clicca qui per vedere tutti gli articoli.

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