Robert Schumann fu il compositore romantico per antonomasia. Al principio, la sua musica si evolse abbandonando completamente le forme del passato, anche se inseguito scrisse sinfonie e quartetti. Mentre i suoi contemporanei si dedicavano a sonate e variazioni, lui componeva Intermezzi, Arabesque… Con lui, e per la prima volta, si esprime il pensiero che sia il contenuto e l’idea a dettare la forma e non il contrario. Con una estetica al limite dell’impressionismo, per Schumann era fondamentale nella musica lo stato d’animo, il colore, la suggestione, l’allusione. Naturalmente, tutti i “professoroni“ d’Europa bollarono le sue composizioni come espressione di una cultura al tramonto e degenerata. Lui, invece, proponeva un atteggiamento del tutto nuovo, con una musica che si legava alla poesia, alla pittura, all’estetica romantica. Un giorno scrisse: «L’esperienza estetica è la stessa in ogni arte, solo i materiali cambiano». Fu oggetto di cattiveria gratuita e poco eseguito in vita, messo in confronto a Wagner, che proponeva la stessa visione, e la ragione deve essere ricercata nella sua mitezza.
Schumnn era un uomo introverso, gentile ed educato con tutti. Non rispose mai alle critiche e agli insulti nascosti tra le righe, ma seppe battersi fieramente per difendere gli altri compositori che la pensavano come lui, specialmente se giovani. Gli inglesi, conservatori in tutto, si espressero con le parole di Henry Fothergill Chorley, il critico dell’ “Athenaeum“ di Londra. Secondo questo “illuminato“, la musica di Schumnn era l’arte di saper «coprire pagine e pagine di pensieri che non valgono niente e di mascherare un’intrinseca povertà di invenzione con una eccentricità grigia e monotona ».
Il “monotono e grigio“ Schumann era invece un artista dalla sensibilità eccezionale, che si rivelò subito. Lui stesso raccontò che, ancora bambino, andava di nascosto al piano e piangeva a dirotto suonando una serie di accordi di sua invenzione. Lo stesso accadde quando seppe della morte di Schubert. Cinque anni prima di lasciare questo mondo, queste sensibilità lo condusse a perdere il controllo della realtà: cominciò ad avere allucinazioni. Una notte, immaginò che le anime di Schubert e di Mendelssohn gli avessero indicato un tema musicale e lui si svegliò di soprassalto e si precipitò a suonarlo e ad annotarlo.
Schumann non ebbe mentori e “padri spirituali“. Lui, sostanzialmente autodidatta, fece tutto da solo e la sua musica non è l’evoluzione di nulla e di nessuno che l’abbia preceduto. Nacque l’8 giugno del 1810 nella cittadina di Zwickau in Sassonia. Il padre, August, faceva il libraio e aveva lo stesso carattere del figlio Robert: timido e riservato. Pubblicò, tradotte in tedesco, le opere complete di Scott e Byron e amava starsene seduto nel suo ufficio, a fumare la pipa e a scrivere racconti fantasiosi.
La follia scorreva nel sangue degli Schumann: il padre libraio soffriva di quelli che un tempo si definivano disturbi nervosi e la figlia Emilia, menomata nella mente e nel fisico, si uccise. Anche Robert tentò il suicidio ed era convinto che, prima o poi, la pazzia l’avrebbe ghermito. La vita, purtroppo, gli diede ragione.
Immerso nei libri della bottega paterna, crebbe fortemente influenzato dalla letteratura. Il suo scrittore preferito fu Jean Paul che, nelle sue opere visionarie, scriveva moltissime osservazioni sulla musica e il giovane Schumann le faceva proprie. Scriveva Jean Paul: «Il suono splende come l’alba, e il sole sorge sotto forma di suono; il suono si sforza di sorgere nella musica, e il colore è luce. Solo la musica può spalancare le ultime porte sull’infinito». (Continua…)
Massimo Carpegna è direttore d’orchestra, critico musicale e compositore, con partiture lirico sinfoniche diffuse in mondovisione. E’ stato docente presso il Conservatorio di musica di Modena ed è Visiting Professor alla London Performing Academy of Music. Con “Classica&Dintorni” porterà i nostri lettori alla scoperta della musica classica e delle figure che ne hanno segnato la storia. Clicca qui per vedere tutti gli articoli.