PRIMA PARTE
SECONDA PARTE
Abbiamo lasciato Liszt negli anni della “Rivoluzione di marzo“ del 1848-1849 e del suo soccorso a Wagner, che s’era unito ai rivoltosi; è questo un periodo colmo di creatività compositiva nel quale nascono i due concerti per pianoforte e orchestra, la “Fantasia su temi popolari ungheresi“ e quella sul tema del “Dies Irae“, la “Totentanz“.
Come sovente accade, il fato mostra repentinamente il suo ghigno beffardo e a soli vent’anni muore il figlio Daniel e, nel 1862, la primogenita Blandine. Liszt cade in una lacerante prostrazione e, nonostante continuino i successi, come il concerto in onore di Napoleone III, una crisi mistica lo conduce ad entrare nel monastero della “Madonna del Rosario“ a Roma, dove si dedica alla preghiera e alla composizione di musica sacra. In sua assenza, nasce un’attrazione tra la figlia Cosima e Richard Wagner… Ma questa è un’altra storia della quale vi scriverò in un prossimo editoriale.
Negli ultimi anni di vita, Liszt intraprende una serie di curiosi esperimenti, eliminando il virtuosismo e aprendosi ad armonie dissonanti. Pare di ascoltare già la musica di autori successivi come Debussy e Bartók.
Ormai vecchio, si circonda di giovani pianisti e, nonostante i capelli bianchi, le donne continuano ad essere attratte dal suo fascino. Un’allieva, la ricca Olga Janina detta “la contessa cosacca“, dopo essere stata rifiutata tenta di ucciderlo e di togliersi la vita.
Ma oltre alla sconfinata adulazione, c’è anche chi non sopporta le sue pose, specialmente quando impersona il povero abate, umile servitore di Dio e della musica. Il giornale “Le Charivari ” nel 1877, scrive a tal proposito: «Non credeteci; è finta umiltà, e la tonaca non riesce a contenere l’anima ancora giovane… Dovreste vederlo uscire dai concerti Pasdeloup ad occhi bassi ed entrare modestamente nella carrozza principesca che un grande nome ha messo a sua disposizione». Poi prosegue raccontando la sua quotidianità, le abitudini alimentari, i pessimi sigari romani che fuma, il caffè nero che sorseggia tutto il giorno, le ostriche che mangia a colazione. «Un’ultima cosa» termina l’articolo. «Il volto di Liszt è adorno di nei e piccoli porri, chiamati indulgentemente grani di genio Una volta ne aveva quattro, adesso ne ha più del doppio. Dicono che è la fede che si manifesta».
Nonostante tutto questo dileggio, quando Liszt muore il dolore del mondo è sincero. Il Maestro fu un eccelso protagonista del suo tempo, fin dal primo momento in cui comparve sulla scena mondiale. E da quel momento, nessuno potè più ignorarlo. Nella sua musica s’avverte sempre il contrasto tra l’angelo e il diavolo e vi si trovano nuove concezioni di forma e di armonia. Béla Bartók scrisse: « Noi dobbiamo ricercare l’essenza di queste composizioni nelle idee nuove che Liszt fu il primo a esprimere e nell’audacia con cui indicarono la via del futuro. Queste cose lo innalzano, come compositore, a livello di grandi».
Brahms e Wagner lo eclissarono durante il diciannovesimo secolo e, fino alla metà del XX secolo, fu sostanzialmente ignorato, considerato niente più che un personaggio curioso e dotato di una tecnica pianistica prodigiosa, ma il tempo è buon giudice e oggi Liszt ha il posto che gli spetta tra i grandi compositori che hanno segnato la musica del proprio periodo e di quello successivo, come avviene per coloro che definiamo “geni“.
Massimo Carpegna è direttore d’orchestra, critico musicale e compositore, con partiture lirico sinfoniche diffuse in mondovisione. E’ stato docente presso il Conservatorio di musica di Modena ed è Visiting Professor alla London Performing Academy of Music. Con “Classica&Dintorni” porterà i nostri lettori alla scoperta della musica classica e delle figure che ne hanno segnato la storia. Clicca qui per vedere tutti gli articoli.