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Per un pensiero altro

Passeggiata teologica

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

pensiero altro 7 giugno 2023

“I selvaggi che abitano il Paraguay si considerano discendenti dalla Luna, e li consideriamo degli imbecilli. I teologi europei si considerano discendenti da un puro spirito. Questa pretesa è molto più ragionevole?” è la caustica “domanda retorica” posta dal grande intellettuale illuminista Paul Henri Thiry d’Holbach, noto come Barone d’Holbach. Personaggio geniale e poliedrico, dopo aver francesizzato il proprio nome lo occultò ulteriormente pubblicando testi anonimi o firmati con pseudonimi, esponente di spicco della grande stagione illuminista francese e collaboratore dell’opera epocale dell’Encyclopédie con Diderot e d’Alambert. Non è di lui, però, che tratteremo ma ci incammineremo, alla luce della sua considerazione, attraverso un brevissimo itinerario che ci accompagnerà dall’insorgere del pensiero dell’uomo, subito in ondivago equilibrio tra cielo e terra, ai giorni nostri seguendone le tracce indiziarie della presenza del sacro. L’affermazione di d’Holbach ci sia esortazione al più assoluto rispetto per qualsiasi forma di fede, di agnosticismo o di ateismo sempre se fondata sulla volontà di interrogarci e mai sull’arrogante presunzione di essere depositari di una qualsiasi verità assoluta.

Ogni incipit in questa “passeggiata teologica” sarebbe inevitabilmente arbitrario, pertanto decido di posare il primo passo sulla considerazione propedeutica, liberamente sintetizzata, che ci porta ad Anassagora: l’intelletto è un autocrate. Per rimanere tra i padri fondatori del pensiero occidentale raccogliamo l’affermazione di Anassimandro che sostiene la divinità dell’àpeiron affermando che “esso è il divino perché è immortale e indistruttibile”. Tutti i cosiddetti presocratici, io nietzscheanamente preferisco l’espressione “i filosofi dell’età tragica dei greci”, postulano il divino nell’Essere che è uno, la natura del quale va “disvelata” come insegna Parmenide. Il tema è: “spiegare il tutto”, cioè trovarne il senso dove per senso si intende qualcosa di ordinabile attraverso il logos, l’autocrate, appunto. La rivoluzione antropocentrica dei sofisti si esprime nell’agnosticismo di Protagora col quale gli dei divengono espressione dell’interesse del sistema città stato, nel pensiero di Gorgia, che dimostra come “l’essere non esiste, se esistesse noi non potremmo conoscerlo, se fossimo in grado di conoscerlo non sapremmo esprimerlo”così che, mentre Socrate con il suo dàimon coscienziale, colloca il divino in ogni uomo, Platone tenterà di dimostrare la presenza di un ordine armonico dell’universo come prova dell’esistenza di una mente ordinatrice molto prossima alle posizioni pitagoriche. Il passo successivo va individuato nell’escatologia aristotelica, nel porre Dio come primo motore immobile e causa incausata con una piroetta logica che afferma che “poiché ogni effetto deve necessariamente essere prodotto da una causa precedente deve altrettanto logicamente esistere una causa prima incausata”, ne consegue che l’ordine che è nella natura è espressione dell’ordine immutabile del logos al quale abbiamo accesso essendone parte. Questo si tradurrà nella ben nota formula “Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza” il famoso alito divino del quale l’uomo è intriso. Lasciamo ai margini le ottuse polemiche sul colore della pelle di Dio e il contenzioso espresso da Agostino e Pelagio sull’anima portando nella nostra borsa da viaggio le Enneadi plotiniane “”non affermiamo nulla di Lui e non abbiamo di Lui né conoscenza né pensiero […] così anche noi veniamo a trovarci press’a poco con Lui, allorché la nostra intelligenza è pura e abbiamo il presentimento che Egli sia l’intima intelligenza”. La posizione cristiana, che si elabora nei secoli, mi sembra possa trovare conferma a noi prossima nell’enciclica Fides e ratio di Giovanni Paolo II del 1998 che riconduce a quell’idea di “pensare assentendo” che riporta al centro il concetto di “rivelazione” di fronte al quale, col rispetto indicato nell’incipit, sospendiamo questa riflessione mentre ci appuntiamo l’affermazione cartesiana espressa nel Discorso: “ la regola […] che le cose che noi concepiamo molto chiaramente e distintamente sono tutte vere, è garantita unicamente dal fatto che Dio è o esiste”. Non siamo molto lontani dalla cifra tautologica della dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio elaborata da Anselmo; personalmente ho sempre trovato almeno più astuta ed elegante la scommessa pascaliana.

Impossibile ripercorrere tutto il pensiero teso alla dimostrazione dell’esistenza di Dio, mi limito a rammentare al lettore il lavoro di Hume “Storia naturale della religione”, imprescindibile il transito nell’agnosticismo kantiano e a quanto scrive nella Fondazione della metafisica dei costumi: “Da dove prendiamo il concetto di Dio come sommo bene? Unicamente dall’idea, che la ragione stabilisce a priori, della perfezione morale, connessa indissolubilmente con il concetto di volontà libera” riconoscendo nella trascendentalità un elemento pre-categoriale e alogico, una sorta di “predisposizione naturale alla fede”; andiamo oltre lanciando una veloce occhiata alla teologia occulta hegeliana e all’antropoteismo di Feuerbach; e ancora, come non rammentare la “religione oppio dei popoli” di Marx, la devastante denuncia della morte di Dio in Nietzsche, la posizione freudiana, il fiorire di nuove teologie nella seconda metà del XX secolo. Ma mi sembra il momento di arrivare alla “radura” dove incontriamo Einstein che dichiara “Non crederò mai che Dio giochi a dadi con il mondo” per sentirsi riprendere da Bohr: “Smettila di dire a Dio che cosa fare con i suoi dadi”. La riflessione su Dio rimane centrale per tutto il XX secolo confrontandosi con l’avanzare impetuoso delle nuove tecnologie che sembrano emarginare la fede ai confini della scienza, a una questione etico sociale come in Lévinas, a una “presa in eredità” come afferma Bloch che conserva antropocentristicamente il valore de “l’atmosfera delle chiese”, prospettiva ribadita dalla “svolta antropocentrica” della teologia cattolica di Mondin; la costante, semplifico, rimane il ruolo di “speranza” affidata alla fede. Per chiudere la nostra passeggiata rimando alle parole dello scrittore ebreo polacco Stanisław Jerzy Lec: “Nessun Dio è sopravvissuto alla perdita dei propri fedeli” e a quelle del Nobel per la letteratura Elias Canetti: “Dio è il più grande atto di superbia dell’uomo; e quando egli l’avrà espiato, non ne troverà mai uno più grande” senza dimenticare la prova ontologica gödeliana di leibniziana ispirazione.

La mia modesta percezione, dopo tanto sapere, è che l’uomo di oggi non si interroghi più su Dio, il mondo che cambia così velocemente lo distrae da questa e da qualsiasi altra interrogazione sul “senso”, sul “perché”, che questa è l’essenza della nascita e della morte di Dio. Oggi l’uomo è solo e non lo sa, e non perché Dio l’abbia abbandonato, al contrario, Dio è sempre stato “inaccessibile alterità” rispetto all’uomo. Credo che la questione sia ancora diversa, Dio è la possibilità di essere pensato dall’uomo, ecco che può morire nei campi di sterminio, sopravvivere nella speranza, risorgere nel sorriso di un bambino. Ma oggi ha lo sguardo di una sofisticata intelligenza artificiale, ancora una volta è creato dall’uomo per potersi poi prostrare, ma la disanimazione di Dio, confinato nell’intelligenza liquida onnisciente, autosufficiente, sovrastante, aliena e dimentica delle sue radici umane, sta annichilendo le nuove generazioni che, non interrogandosi più su Dio, si pensano atee mentre ne accettano l’esistenza inconsapevolmente confondendo la causa con l’effetto. Rinunciare alla domanda su Dio è abdicare alla domanda sull’uomo, sul senso, sul perché. Oggi ciò che conta è come fare senza sapere perché si vuol fare, ma questo significa vivere senza chiedersi perché farlo e quando “l’animale capace di interrogarsi sul senso” rinuncia a questa peculiarità, ritorna a essere animale, e così si chiude il cerchio, l’unità dalla quale fuoriuscì l’uomo ascoltando il proprio pensiero porsi come domanda torna a essere uno … o nulla.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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