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Storie ligustiche

Quando i bachi da seta (e i gelsi) erano protagonisti ad Albenga

“Storie ligustiche” porta il lettore alla scoperta della Liguria e della “liguritudine” che si nasconde nel cibo, nelle parole, nei personaggi, nella geografia e nelle tradizioni

storie ligustiche 2 marzo 2023

C’era un tempo, siamo nel 1800, che l’agricoltura di Albenga non era fatta di frutta e verdura, fatti salvi gli orti familiari, ma legata alla canapa, alla vite, all’ulivo e ai gelsi. Si, proprio i gelsi da mora, alberi prediletti dai bachi da seta. In effetti la coltivazione dei gelsi era comune anche in Val Bormida, ma è di quelli in Riviera che vogliamo parlare oggi.

Lo spunto è un manifesto, risalente agli Anni ’20 del ‘900, pubblicato su Facebook dall’amica Simonetta Vinotti. Scrive Simonetta: Manifesto pubblicitario di un secolo fa (anni ’20) sull’allevamento/lavorazione del baco da seta (cüchétu) nella nostra Piana. Lo stabilimento aveva la sede in Veneto e la produzione avveniva anche ad Albenga”. L’allevamento dei bachi da seta aveva andamento annuale e, con l’inizio dell’estate, si procedeva con la “spiccatura” dei bozzoli dai graticci e, subito dopo, ovviamente a mano, si sceglievano quelli migliori, non bucati, di grandi dimensioni e vari colori.

“I bozzoli migliori erano quelli grandi, bianchi non difettosi o bucati e di buona qualità. Il bozzolo, infatti, andava raccolto e lavorato prima che il bruco divenuto ormai crisalide lo perforasse rovinandolo”, scrive ancora Simonetta Vinotti. Quelli troppo piccoli, bucati o comunque di scarsa qualità venivano ammassati in sacchi venduti come concime. Dai gelsi, però, si avevano anche dolcissime more che, in un’economia contadina, servivano per splendide confetture.

Alla fine dell’Ottocento il celebre agronomo Giuseppe Antonio Ottavi sosteneva in un suo scritto che un gelso con i bachi valeva quanto una vacca. Non è un caso che in Val Bormida si diceva, in dialetto: “Se i bigatti fan ben, as mariuma l’an chi ven”, che vuol dire: “Se i bachi da seta renderanno sufficientemente, l’anno prossimo ci sposiamo”. Una domanda sorge spontanea: se erano così redditizi, perchè, nella Piana (ma anche in Val Bormida) i gelsi sono scomparsi? Risposta relativamente semplice.

L’arrivo della ferrovia (attorno al 1870) e, soprattutto, l’industrializzazione di Genova, con gli orti della Val Polcevera e della Val Bisagno “sfrattati” dalle ciminiere, provocò la prima grande migrazione verso la Piana di Albenga. Famiglie di agricoltori, i “Besagnini”, lasciarono la Superba verso il Ponente, portando con sé la sapienza degli orti. Ben presto Albenga diventò il “grande orto di Genova” e, in seguito, del nord Italia, grazie alle primizie e alle comunicazioni più veloci grazie al treno.

Per i gelsi (e per i bachi da seta) fu la fine. Non nel linguaggio, però, se ancora oggi si dice ancora “Ti dormi cume i cüchéti (variante cume in cüccu), per dire che riposa tranquillo come un baco nel suo bozzolo. Una curiosità: le more di gelso venivano utilizzate come esca per pescare, nel Centa, allora ricchi di pesci, i cavedani, “quaiastri” in dialetto.

“Storie ligustiche” è la rubrica di Elisa e Stefano Pezzini che porta il lettore alla scoperta della Liguria e della “liguritudine” che si nasconde nel cibo, nelle parole, nei personaggi, nella geografia e nelle tradizioni. Perché la Liguria è anche uno “stile di vita”.

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