Negli anni novanta

Ponte Morandi, il teste-chiave in aula: “Messo alla porta quando dissi ad Autostrade che le prove riflettometriche erano inutili e pericolose”

Emanuele Codacci Pisanelli fu liquidato da Camomilla e soprattutto dal nuovo collaboratore di Autostrade Michele Donferri, entrambi imputati nel processo. "Da allora non lavorai più per autostrade"

Liguria. “Cercai di riportare alla ragione Donferri spiegandogli che le prove da effettuare erano quelle meccaniche ed endoscopiche, che le prove dinamiche erano inaffidabili e le riflettometriche addirittura pericolose, ma lui mi trattò male, mi indicò la porta e da allora io e la mia società non abbiamo avuto più nessun incarico da Autostrade”. Lo ha spiegato in aula questa mattina, nel processo per il crollo del ponte Morandi, Emanuele Codocci Pisanelli, considerato uno dei testimoni-chiave del processo, anche se il suo ruolo è emerso sono in corso di dibattimento tanto che è stato ascoltato dalla procura solo un mese fa dopo che sono stati resi noti alcuni scambi di mail con consulenti tecnici del processo.

Codacci Pisanelli negli anni Novanta fu incaricato da Autostrade, e in particolare dall’ingegnere Gabriele Camomilla, a capo della direzione manutenzioni, di eseguire delle prove meccaniche sugli stralli della pila 11 dopo che nel corso di interventi di manutenzione ordinaria gli operai avevano trovato una cavità sulla sommità dell’antenna da dove spuntavano trefoli malridotti “alcuni spezzati e tutti non iniettati”.

La Contest dopo un sopralluogo sul ponte si fece dare un trefolo di quelli spezzati “lungo un metro e 40” e lo confrontò con un trefolo originale fornito dalla ditta che li aveva prodotti. Il risultato delle prove meccaniche di laboratorio fu che la corrosione aveva causato una perdita di rigidezza del 20%, il che non equivaleva a una resistenza residua dell’80% ma a un valore di rottura del 60%, il che significa che la capacità del cavo si era ridotta del 40%”. “I avi primari e i secondari erano irriconoscibili gli uni dagli altri – ha spiegato in aula il teste – erano indistinguibili perché erano tutti aggrovigliati. Quello non era più il progetto di Morandi, non aveva niente a che vedere”.

Il teste, che aveva lavorato per lungo tempo proprio come allievo di Riccardo Morandi ha anche letto e commentato alcune parti della nota relazione del 1981 del progettista dove Morandi rileva i possibili rischi derivati da errori nell’iniezione del calcestruzzo degli stralli e suggerisce di procedere con un’accurata ispezione dei tiranti “in tutto il loro sviluppo” tramite un carrello e un’analisi tramite “prospezione ai raggi x”. E sulla pila 9 Morandi già nel 1981 aveva avvertito: “il tratto in oggetto ha subito una vicissitudine durante la costruzione per il disarmo intempestivo” scrive in relazione all’impalcato – “le lesioni furono accuratamente stuccate ed evidentemente esse ora subiscono una leggera riapertura per effetto delle vibrazioni del traffico”. Per il teste, rispondendo alle domande dei difensori ha ribadito: “La preoccupazione di Morandi riguardava sia gli impalcati sia gli stralli che riteneva potessero essere non iniettati, nonostante fosse la Cesap, la stessa ditta per cui lavorava ad aver eseguito i lavori”.

Come ha chiarito Codacci-Pisanelli in aula, Riccardo Morandi “era fiducioso rispetto al suo progetto e non temeva per la staticità del ponte” (era il 1981, solo 14 anni dalla costruzione ndr) ma “sapeva che c’era bisogno di una manutenzione straordinaria ed era convinto e me lo disse che la progettazione dell’intervento sarebbe stata affidata a lui, ma così non fu”.

L’intervento sulla pila 11 venne invece affidato al progettista Francesco Pisani e la Contest, dopo aver eseguito le indagini meccaniche vi partecipò per la progettazione dei sistemi di ancoraggio che prevedeva anche l’assistenza della fase esecutiva.

Dopo i risultati sul grado di corrosione rilevati sulla pila 11, ha spiegato il teste, “essendo stata la gravissima situazione scoperta per caso sulla pila 11 durante interventi di manutenzione ordinaria – ha aggiunto – sarebbe stato assolutamente indispensabile e doveroso procedere a controlli analoghi sulle pile gemelle, esattamente come quando viene rilevato un difetto in un prodotto il principio di precauzione impone di controllare l’eventuale ricorrenza dello stesso divetto anche i tutti i prodotti aventi le medesime caratteristiche costruttive”.

“Di questo parlai a lungo con l’ingegner Ducci che era il principale collaboratore di Camomilla e con cui mi rapportavo continuativamente – ha spiegato – questo avvenne fino alla seconda metà del 1992 e si parlava appunto di proseguire il monitoraggio sulle altre due pile. Ducci però nell’autunno nel 1992 fu trasferito e non lavorava più nella direzione di Camomilla”

“Quando incontrai Camomilla il 28 gennaio 1993 mi disse che attività di Contest era da considerarsi esaurita. Ebbe una posizione molto netta e l’incontro fu piuttosto breve”. Nel frattempo Camomilla aveva dato un incarico come consulente a Michele Donferri, allora giovane architetto “che non era un progettista e non sapeva nulla di nulla dei ponti progettati da Morandi”.

E Codacci Pisanelli tentò, ancora in due incontri successivi di convincere Autostrade a eseguire i monitoraggi fatti sulla pila 11 sulle altre due pile: “Ho insistito con queste prove che ritenevo assolutamente necessarie. Donferri disse che non c’era bisogno perché sarebbe stato utilizzato il sistema delle riflettometriche che loro consideravano avanzate. Me lo ha ripetuto anche in malo modo e mi ha fatto vedere la porta”.

Per Codacci Pisanelli, che ha lavorato e lavora in tutto il mondo e come ha ricordato “da tutta la vita mi occupo solo di ponti” le prove riflettometriche “erano assolutamente inattendibili, bastava leggere la letteratura internazionale, in Inghilterra e in Francia erano vietate, negli usa non venivano eseguite. Non solo erano pericolose e anche le prove dinamiche potevano risultare non attendibili. Servivano prove meccaniche ed endoscopiche ma non mi ascoltarono e non ebbi più alcun incarico né da Autostrade né da Aspi privata”.

Alla fine della lunga udienza, rispondendo a una domanda dei giornalisti su cosa ha pensato quando è crollato il ponte ha detto: “Ci sono rimasto malissimo e sapevo esattamente che era dovuto a un cedimento di strallo. Ero in Salento e mi intervistò una tv brasiliana lo stesso giorno del crollo e dissi che secondo me aveva ceduto lo strallo, perché quella era la situazione più critica a cui pensare”.

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