Savona. “Un’altra donna uccisa, una ragazza”. Inizia così la nota dell’assessore di Savona Maria Gabriella Branca in relazione all’omicidio-suicidio che si è consumato ieri nel genovese.
La vittima si chiamava Giulia Donato, 23 anni, uccisa da un colpo di arma da fuoco sparato da Andrea Corvaia, il fidanzato, giovane vigilantes genovese di 32 anni, che ha poi rivolto l’arma da fuoco verso di sé, suicidandosi sul posto.
Di seguito, la nota integrale dell’assessore Branca: “Non voglio leggere o sentir dire dal giornalista di turno che è un incidente, che è frutto di una perdita di controllo o di una patologia psichiatrica o peggio un gesto di amore disperato”.
“Giulia è stata uccisa perché donna. Perché nella nostra società non è accettata l’idea che la donna sia eguale, che abbia pari diritti e tra questi quello di vivere, anche senza il compagno o il marito e di chiudere una relazione tossica o semplicemente esaurita. Il femminicidio e’ solo l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico, fisico o sessuale”.
“Le discriminazioni di genere, gli stereotipi sulle donne e i pregiudizi sono profondamente radicati nel nostro substrato socio-culturale, ad iniziare dal linguaggio. Nonostante i trattati, le dichiarazioni dei diritti e le leggi su parità di genere, l’esistenza di relazioni di potere diseguali tra donne e uomini, il peso economico e lo stesso rilievo nel mondo del lavoro, la divisione di ruoli, sono fattori che costringono la donna a permanere in una condizione di subalternità”.
“È il sentimento di inferiorità fisica che alimenta la spirale della violenza, perché la coazione fisica e psicologica ti annienta, ti fa credere di non poterne uscire, di essere colpevole e perfino di meritare ciò che è tanto mostruoso da non poterlo raccontare nemmeno a tua madre. Il femminicidio è il gesto estremo di violenza, ma sappiamo che nasce da una realtà complessa di oppressione, di disuguaglianze, di abusi, di violenza e di violazione sistematica dei diritti della donna”.
“Dalle mutilazioni che colpiscono milioni di bambine agli stupri utilizzati come armi da guerra, dall’imposizione del burka o del nikab alla tragedia delle spose bambine, questa infinita storia scritta col sangue delle donne deve terminare. E proprio in Iran le donne che guidano la rivolta rischiando ogni giorno la loro stessa vita ci indicano la strada giusta: i loro hijab bruciati al vento, le loro ciocche di capelli recise sono il simbolo di una rivoluzione appena iniziata che non riguarda solo il loro paese, ma deve coinvolgerci tutti”.
“Non possiamo sentirci al sicuro fino al giorno in cui non saremo tutte libere e tutti liberi. Il ciclo insano della violenza deve essere interrotto, perché non si ferma da solo e la responsabilità grava su ciascuno di noi, qualunque ruolo ci troviamo a ricoprire, nella scuola o nella famiglia, nella politica o nel lavoro, nelle istituzioni o nelle associazioni”.
“E’ indispensabile dialogare con le istituzioni e le comunità locali per estirpare la violenza sulle donne come fatto socialmente e culturalmente accettato o anche minimamente tollerato, perché per educare alla non violenza è necessario lavorare fin dall’infanzia sulla creazione di relazioni positive e paritarie”.
“Il lavoro di prevenzione necessario per il contrasto alla violenza maschile sulle donne e l’educazione a relazioni non violente si ottiene con la possibilità offerta alle nuove generazioni, di riflettere su sè stessi e sul rapporto con gli altri, sul valore del rispetto dell’altro, per costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, inclusività e promuovere una società in cui sia riconosciuto il libero sviluppo di ciascun essere umano”.