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Per un pensiero altro

È possibile la felicità?

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

pensiero altro 11 gennaio 2023

«[…] non è […] l’opposizione tra soggetto e oggetto che m’importa: questa distinzione io la lascio ai teorici della conoscenza, che sono rimasti penzoloni nei lacci della grammatica (la metafisica popolare). E meno che mai m’interessa il contrasto tra “cosa in sé” e fenomeno: giacché siamo ben lontani dal “conoscere” abbastanza per poter pervenire anche solo a una tale distinzione. Non abbiamo appunto nessun organo per il conoscere, per la “verità”: noi sappiamo (o crediamo, o c’immaginiamo) precisamente tanto quanto può essere vantaggioso sapere nell’interesse del gregge umano, della specie». Così scrive Friedrich Nietzsche in La gaia scienza. Credo possa essere utile a questa nostra riflessione aggiungere un’affermazione dello stesso pensatore espressa in Verità e menzogna in senso extramorale: «[…] mentre l’uomo guidato dai concetti e dalle astrazioni non riesce per mezzo loro che a respingere l’infelicità, senza riuscire egli stesso a procurarsi la felicità delle sue astrazioni». Rimanendo nel solco tradizionale della critica nietzscheana possiamo riconoscere la contrapposizione tra l’uomo comune, inghiottito dal “gregge umano”, prigioniero della “metafisica popolare”, infelice, e la proposta oltreomistica per la nascita di un uomo nuovo, dionisiaco, quell’uomo intuitivo che «ergendosi in mezzo a una civiltà, raccoglie dalle sue intuizioni, oltre che una difesa dal male, un’illuminazione, un rasserenamento, una redenzione che affluiscono incessantemente», come asserisce sempre in Verità e menzogna in senso extramorale. Insomma: è possibile la felicità?

Ora, proviamo a non lasciarci intrappolare dai laccioli dell’ortodossia convenzionale che costringe i commentatori di un simile pensiero a rendere lo stesso ortodosso e convenzionale. Mi sembra più corretto utilizzare il trampolino della filosofia nietzscheana per tentare uno sguardo altro verso l’arcobaleno dell’oltre uomo. La grammatica, il linguaggio, in altre forme la geometria, sono il risultato della metafora della realtà costruita dalla mente dell’uomo scimmia per condurre l’essere alle sue possibilità gnoseologiche. Insomma, che sia la parola o l’algebra poco cambia, le coordinate cartesiane o la sintassi sono prigioni, l’ordine non è nell’essere ma nello sguardo spaventato dell’uomo che sa di essere profondamente altro da ciò che si può comprendere e spiegare, l’uomo come l’essere va saputo e amato, non conosciuto e perso. Ciò che la parola chiama realtà è, come sappiamo, la metafora della realtà, il prodotto dell’inafferrabile e frustrante desiderio di controllo di comprendere, non è trascurabile che comprendere, cioè prendere assieme, unire, è la paradossale azione che cerca di realizzare l’intelletto che è il responsabile di fatto della stessa frantumazione dell’essere. Affermare che tutto è uno, che è il soggetto che ponendo se stesso come attore dell’atto gnoseologico divide l’essere nei fenomeni, che il pensiero tende alla conoscenza della cosa in sé che è altro dal fenomeno, che il percorso dell’uomo è teso alla ricomposizione di quanto ha diviso, è il fondamento di una filosofia che non sa liberarsi dall’inganno che cerca di superare fondandolo, insomma, non riesce che a celebrare la metafisica anche quando ne dichiara la fine

Scriveva l’amico Immanuel Kant nella sua Critica della ragion pura: “Questa terra è un’isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. E la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio dell’apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l’illusione di nuove terre, e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo”. Parafrasando il grande filosofo potremmo affermare che l’io è una ciambella, meglio, il buco della ciambella, circondato da una pasta accessibile a una attenta masticazione e utile alla sopravvivenza, il buco, al contrario, è un “vasto oceano tempestoso”, ingannevole che inghiotte lo sguardo dell’osservatore in mille illusioni e che “forse rimarrà ignoto senza possibilità di essere mai conosciuto profondamente”. Lo so, sono blasfemo e iconoclasta, colpa della mia assiduità con l’amico Gershom che, infatti, assicura che “Ogni uomo vede solo ciò che consente come visibile ai propri occhi. Anzi, decide di vedere ciò che ha già deciso che vedrà, si tratta sempre e comunque di una rappresentazione inconsapevole del suo disperato bisogno di controllo”. Leibniz, nel suo “Discorso di metafisica” scriveva: “Se segnassimo a caso dei punti su un foglio di carta, si potrebbe individuare sempre e comunque un’equazione matematica tale da rendere conto di quanto fatto.” Cito a memoria per cui posso anche aver modificato qualche parola, ma il senso è assolutamente conservato. Certo, per il filosofo questo significava che il mondo nel quale viviamo o crediamo di vivere è “il migliore dei mondi possibili”, e non riusciva o non voleva assolutamente vedere che tale certezza discendeva direttamente dalla sua aprioristica fede nell’esistenza di un progetto razionale e perfetto concepito dalla ragione assoluta e pura che è Dio stesso.

Mi accorgo di essermi lasciato prendere la mano e di aver eccessivamente ampliato la riflessione di partenza, provo a ricondurre lo scritto all’intento iniziale: il tema centrale era se l’uomo può essere felice o se ha intrapreso un percorso che può solo imprigionarlo nell’inganno che, se anche è utile alla sopravvivenza della specie, non può che “respingere l’infelicità” rinunciando definitivamente alla felicità, addirittura a quella accessibile all’interno delle “sue stesse astrazioni”. La risposta elaborata dal pensatore di Rocken è nel superamento dell’uomo scimmia per divenire dionisiaco, ma se questo era estremamente impervio per l’uomo del XIX secolo, è, a mio avviso, ancor più complesso per l’abitante del XXI secolo. Il viaggio dalla nascita del pensiero e del linguaggio ai codici della virtualità attuale ha lasciato lungo il percorso diversi cadaveri: quello dell’uomo tragico, che aveva consapevolezza del ruolo creativo del soggetto, l’inventore della realtà; dell’uomo meta-phorico e teologico che, pur sacrificando l’istinto in ossequio all’assoluto, aveva saputo ri-conoscersi nel divino; quello dell’uomo positivo che aveva trasformato la metafora della scienza in un atto di fede capace di superare il divino stesso. Con l’ingresso dell’umanità nel travaglio del XX secolo il linguaggio, parola o numero non cambia in questa prospettiva, ha dimenticato la propria origine fondamentalmente arbitraria, si è auto proclamato simulacro portatore di un valore congenito e l’uomo, necessariamente complice sottomesso, è divenuto schiavo della propria creazione così come in tutto il percorso dell’evoluzione tanto da lasciar supporre che sia nella sua natura desiderare un padrone. Ne consegue che l’unica possibilità di appagamento, che comunque non è felicità, sia nel scegliersi un padrone e vivere da schiavo, ecco allora che un’ipotesi alternativa potrebbe essere quella di smetterla di crearsi icone davanti alle quali inchinarsi, dogmi per i quali morire dando un senso alla propria vita solo con la morte, regole per abdicare al coraggio di scegliere, castranti razionalità per censurare il mare tempestoso e magico che ci abita. Forse non riusciremmo più a produrre e consumare quanto facciamo ora, forse non distruggeremmo il pianeta, forse non genereremmo guerre, sono convinto che sapremo farcene una ragione e, chissà, forse potremo “sollevarci ancora un poco e osservare i mandorli fiorire”.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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