Ricorrenza speciale 

A Carcare cento candeline per Irene Pellerino, nata nel 1923 alla Rosa Fiorita

Un secolo di vicissitudini famigliari che si intrecciano con la storia del paese

Generico gennaio 2023

Carcare. Era il 10 gennaio 1923 quando nell’Albergo Rosa Fiorita nasceva Irene Pellerino, figlia di Guglielmo e Maria Irene Delprato, arrivati da poco a Carcare per inaugurare quello che sarebbe diventato un simbolo di ricettività del paese e della Val Bormida. Da allora è passato un secolo e proprio oggi Irene spegne cento candeline in ottima forma, circondata dall’affetto dei figli Guglielmina, Paolo e Anna Maria.

In quell’ormai lontano 1923 la neonata veniva al mondo dopo i fratelli Carlo, Fernanda e Giovanni. Lucia, secondogenita, era nella casa storica del cavalier Martina a Cortemilia, ospite della sorella di Maria.

La Rosa Fiorita ha cantine per i formaggi delle pecore di Maria, che riforniscono anche la lana per i cuscini, e la cantina dei vini di Guglielmo, l’uva pigiata a piedi nudi nel tino dai piccoli fratelli; una grande cucina dove Teresa, che ogni giorno scende da San Giovanni per restarvi fino a sera, lavora a fianco di Maria, mentre al lungo tavolo di noce siedono gli avventori di passaggio. C’è la ghiacciaia, il montacarichi per portare le vivande al salone del primo piano, che sarà decorato a tralci verdi dal pittore Carlo Leone Gallo “Leonin”.  C’è la grande veranda sulla piazza, sormontata dai pampini dell’uva e dove ai tavoli, nelle sere d’estate, Maria pone lanterne di vetro colorato di Altare.

Tutto è arredato con i mobili scuri di noce tardo ottocento, rilevati da una villa chiusa sul lungo Bormida. Nell’albergo c’è sempre un viavai di viaggiatori di commercio, dalla valle Olona per tele delle lenzuola, u “sciu” Daroda dal genovesato per la biancheria, i commercianti di liquori e gli artigiani: lo stagnino  per il rame di cucina, la materassaia nei mesi estivi in cortile, le lavandaie per il bucato e  le donne per riassettare le stanze degli ospiti di passaggio o dei pensionandi, dalla Montecatini e dalla Ferrania.

È in questo piccolo mondo, ordinato e laborioso che cresce Irene. Qui d’estate soggiornano i villeggianti: famiglie della nobiltà genovese e altre di Genova e di Savona. A ruota, in autunno, i cacciatori, sin da Palermo. Ogni mercoledì i gestori dei banchetti del mercato comunale: delle stoviglie e pentole; della frutta e verdura di Casimiro dei tessuti dei Caldi da Acqui. Per loro è pronto il minestrone o la trippa fumante.

Già nei primi anni dell’elementari con la maestra signora Vassallo e suor Emilia, Irene, prima della campanella della scuola e di ritorno a casa, è impegnata in alcune commissioni: pane e focaccia fragrante della panetteria di Marietta Rebella nell’edificio dell’Albergo Italia, attiguo sulla piazza, o nel negozio di Lisa “d’Fontana”, per le cose che mancano, come il tonno dal contenitore di latta, il prosciutto cotto servito poi con il ricciolo di burro; o dal macellaio Morbelli per le fettine e la carne, ma anche poi da Bagini oltre il ponte e Tomatis in fondo al paese.

Irene adolescente accende per i clienti mattutini, all’alba, il fornello per le colazioni, davanti alla grande stufa di ghisa nera, oltre la quale c’è la “meisa” e il tavolo rotondo dove siede Maria che nelle notti di Capodanno senza coricarsi qui si riposa. Al grande lavandino si alternano le donne e, passano gli anni, Domenica, dal Veneto, bidella alle scuole elementari, fatte costruire dal capitano Rinaldo Perotti. Domenica a sera fino a tardi, dolcemente si addormenta in piedi lavando le stoviglie.

Con l’occupazione tedesca l’albergo è requisito. Maria e Guglielmo sono sfollati al “Mulino” e Irene e Fernanda, due giovani donne, reggono da sole la Rosa Fiorita.

Giovanni e Alberto, fidanzato di Irene tornato dalla Russia, sono con i partigiani del maggiore Mauri. (Carlo è in Lombardia e Lucia, sposa del ragionier Franco Mirenghi, abita ad Altare, nella casa che da’ sulla piazzetta della chiesa).

I militari sono di stanza anche nell’Albergo Italia e si attendono a clausole di comportamento, rispettando persone e cose. Ma la Rosa Fiorita è toccata dalla crudeltà della guerra. Il fidanzato di Fernanda, tenente, avvocato Rodolfo Zappia, è fucilato al forte di Altare, su ordine del comando della Repubblica Sociale. Le piazze di Carcare sono dedicate a questi martiri: piazza Zappia, piazza Schiavetta.

La polizia fascista, cercando notizie del fratello di Irene, Giovanni, per intimorire non esita a liberare il cane che si avventa e sbrana la gatta di Maria. Speranza e fiducia non solo di Irene ma di tutta Carcare, sono gli elementi della ripresa nel primo dopoguerra.

Il capitano Rinaldo Perotti avvia l'”Ilsa” fabbrica, con la produzione della ceramica, e i fratelli Perotti espandono l’attività della loro vetreria, oggi Verallia, dall’alta ciminiera, in pieno centro del paese. Sul ciglio di San Giuseppe c’è la vetreria Mattoi Carena e le Vetrerie Irgher continuano la produzione dei manufatti di vetri, iniziata nel 1930.

Irene e Alberto Mulatero si sposano e la Rosa Fiorita riprende con Irene ai tavoli, Giovanni che governa il bar e il biliardo mentre Maria e Fernanda, con Teresa, preparano ravioli o cappelletti per il pranzo, sempre freschi la mattina stessa. Nei suoi scritti Giovannino Guareschi loda la qualità di questa cucina.

Con la morte di Maria nell’ottobre 1954 la Rosa Fiorita passa a Giovanni ed Anna Bergero, la sposa maestrina che rileva con devozione e dedizione le sorti dell’albergo.

Per Irene con i suoi tre figli il compito è di seguire Alberto nelle destinazioni della sua professione. Dapprima nelle Fiandre, con la Société General de Belgique, Brussels, Belgium, e quindi con la holding Sogemines, Ltd. in Canada.

Tutte  esperienze importanti per lei e indimenticabili. Chi porta in Belgio la famigliola? “Gustin” Fontana, l’autista di piazza, con la sua spaziosa autovettura. A Bruxelles Alberto e Irene visitano l’Expo internazionale nell’estate del 1958. A Merksem, nel Belgio fiammingo, si intrecciano rapporti che dureranno anni.

Per il Natale 1958 a casa di Irene, che ha preparato i ravioli, Mr Maurice Cheruy e i suoi tre figli portano l’anatra farcita di marroni, e nella stessa Rerum Novarum Strasse, ospite dei De Vleescauwer, Irene impara a preparare il caffè nella lunga caraffa e le tipiche “gaufres”.

Va ad Anversa ad acquistare abito e cappotto con il collo di astrakan nelle confezioni, lei che ha sempre fatto fare vestiti dalle brave sarte di Carcare, Jole Berta, Maria, Paradisi …

Anversa è ancora oggi punta di diamante dei designer della moda. Nel marzo del 1959 salpano sulla Queen Elizabeth da Southampton, in Inghilterra, per Halifax, Nuova Scozia, Canada, e quindi con lungo viaggio tra le nevi arrivano nel Quebec, a Montreal, Dorcerster, dove abitano e scoprono la Tv a dodici canali, per stabilirsi, poi, nella “casetta in Canadà” a Candiac. Qui Alberto è direttore tecnico della Iroquois Glass Industries, ltd.

È il periodo in cui Irene sperimenta la libertà di movimento, impara a guidare, compra la prima lavatrice e la Sony. Di sabato, a Montreal, scopre Eaton, Morgan, Dupuy Frères, i grandi magazzini della città, e da Candiac e nel Natale 1960, per corrispondenza, ordina dal catalogo di Simpson il servizio dei piatti della giapponese Mikasa.

Anche a Candiac ogni mattina passa il furgone del pane e quello del latte. Nella serenità della campagna con il Saint-Laurent che scorre, a porte aperte, ti ritrovi in casa i figli dei vicini intenti a giocare e d’inverno occorre  richiamare i piccoli Paolo e Anna Maria, dalla neve alta dell’esterno per svestirli e riscaldarli in fretta dal meno dieci o meno venti assolato.

Non tornerebbe Irene, anzi vorrebbe ospitare i parenti a Candiac, e le clausole permettono ad Alberto  e alla famiglia di tornare ogni estate in Italia, a Carcare, alla Rosa Fiorita. Ritornano invece e abitano in via dei De Mari a Savona.

Qui trascorrono quattro lunghi anni, con la vicinanza della nonna Marietta  e della insostituibile zia Alda Mulatero Sardo. I Natali sono meravigliosi, con la zia  Lucia e Franco in via Formica e le estati spensierate ai bagni Barbadoro e ai San Cristoforo di Albissola; qui ai tavoli sotto gli oleandri si mangiano le zucchine ripiene preparate a casa.

Ed è poi la volta di partire per Portogruaro, dove Alberto assume la direzione della Sfai Marzotto. Qui si tessono i legami di amicizia con le famiglie degli amici adolescenti di Paolo e Anna Maria. Le mamme il lunedì fanno il giro delle case, per recuperare oggetti ed indumenti e qui si gode della bellezza ospitale della cittadina e dell incanto della campagna veneta.

Marta Marzotto stila con Irene l’elenco delle migliori paste locali per il primo e insegna a cucinare il fegato alla veneziana.

Tornano a Carcare, Irene e Alberto, negli anni settanta, questa volta definitivamente, salvo passare gennaio e settembre a Venezia, dove abita la primogenita. Sono a Venezia quando nel gennaio del 1996 va a fuoco la Fenice e assistono dalle soprafinestre di San Martino alle fiamme che vanno al cielo.

Con Fernanda e il marito, il capitano Aldo Delfino, hanno da tempo acquistato un terreno in Prato della Porta dalle care zie sorelle Bice e Ada Delfino, e ivi costruito due case gemelle con l’aiuto dell’architetto Teo Rossigno. Per  anni due arbusti di rose salgono ai terrazzi, bianche per Irene e rosse quelle di Fernanda. Sono anni di lavori nell’orto, come per tutti i vicini, e Irene sparisce e resta giù in giardino sino a sera.

Passione, dedizione, sentimento impagabile per i figli, per la casa, parenti e persone di Carcare. Difficoltà e grandi dolori, lutti, vissuti insieme.

Nelle lunghe cene Irene e Alberto ricostruisco le interrelate parentele e vicissitudini nel tempo di famiglie e persone del paese. Sempre con un sentimento partecipe delle vicende, degli accadimenti e interpretazione delle individualità. È in questa atmosfera che i tre figli hanno avuto la sorte di crescere e formarsi.

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