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Per un pensiero altro

Povero dottor Fileno

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico dicembre 2022

“È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle. Cinque ore, dalle otto alle tredici. M’accade quasi sempre di trovarmi in cattiva compagnia. Non so perché, di solito accorre a queste mie udienze la gente più scontenta del mondo, o afflitta da strani mali, o ingarbugliata in speciosissimi casi, con la quale è veramente una pena trattare”; si tratta dell’incipit della novella pirandelliana “La tragedia di un personaggio”. L’esordio potrebbe definirsi surreale, ma non è importante collocarlo in un genere, più interessante è indagarne il portato concettuale. Se, da una parte, è affascinante scoprire il “metodo Pirandello” nel dare appuntamento ai personaggi che abitano il suo mondo onirico artistico, non va dimenticata la sua affermazione nella quale assicura di trovarsi più a proprio agio nei sogni che nella quotidianità comune, dall’altra è altrettanto suggestivo verificare la sua filosofia, quella che si sviluppa spesso con un esordio in una novella e una esplicitazione ancor più “ingarbugliata”, per ricorrere al suo lessico, in un testo teatrale. È lecito supporre che lo sviluppo di queste considerazioni che legano il personaggio all’autore, trovino deflagrante forma nel testo teatrale “Sei personaggi in cerca di autore”, ma proviamo a sottoporre queste osservazioni abbastanza accessibili a qualsiasi studioso di letteratura pirandelliana a un “pensiero altro”.

Per meglio comprendere l’anomala prospettiva dalla quale intendo osservare il complesso mosaico della poetica pirandelliana è opportuno aggiungere un ulteriore elemento. Il grande siciliano afferma che “la vita o la si vive o la si scrive”, questo dato ci soccorre nel tentativo di una più proficua riflessione intorno alle “ingarbugliate vicissitudini di noi esseri comuni”. Ed ora inforchiamo un paio di occhiali particolarissimi, con una lente pirandelliana e una nietzscheana, la nuova vista ci rivela un’umanità davvero stravagante! Tutti divengono personaggi che temono e desiderano essere rappresentati da uno scrittore di teatro ed esibiti, grazie a un regista, davanti a un pubblico. Come se non fosse di per sé complessa tale richiesta il buon Pirandello, facendo propria la filosofia del povero dottor Fileno, ci suggerisce di osservarci, forse in scena mentre si è seduti tra il pubblico, attraverso un cannocchiale rovesciato. Già, Fileno è convinto, così come lo stesso Pirandello condivide nella chiusa della novella, che sia opportuno osservare di lontano la vita, come se fosse quella di un altro, anche e soprattutto se è la nostra, interpretata da qualcuno che ci limitiamo a spiare senza lasciarci coinvolgere più di tanto. La sottile ironia dello scrittore girgentino la si riconosce, come anticipavo, nell’epilogo: “Si lamenta del suo autore; ma ha saputo lei, caro dottore, trar partito veramente della sua teoria? Ecco, volevo dirle proprio questo. Mi lasci dire. Se Ella crede sul serio, come me, alla virtù della sua filosofia, perché non la applica un po’ al suo caso? Ella va cercando, oggi, tra noi, uno scrittore che la consacri all’immortalità? Ma guardi a ciò che dicono di noi poveri scrittorelli contemporanei tutti i critici più ragguardevoli. Siamo e non siamo, caro dottore! E sottoponga, insieme con noi, al suo famoso cannocchiale rivoltato i fatti più notevoli, le questioni più ardenti e le più mirabili opere dei giorni nostri. Caro il mio dottore, ho gran paura ch’Ella non vedrà più niente né nessuno”.

E bravo Luigino, evita così di doversi far carico di rappresentare adeguatamente il dramma di Fileno, allo stesso modo si limiterà a registrare l’impossibilità, da parte del capocomico dei “Sei personaggi in cerca d’autore” nel quale si auto immedesima, di rappresentarli così come quello dei personaggi incapaci a essere senza un interprete e impossibilitati dalla mediazione dello stesso a essere se stessi. La poetica, o meglio, la weltanshaung pirandelliana è la tragica rappresentazione di un fallimento, dell’inettitudine a una vita appagante. Io credo che vada “rovesciata la sua prospettiva del cannocchiale rovesciato”, cosa che forse il geniale artista siciliano ha tentato in tarda età consegnandosi all’amore per Marta Abba, un darsi con annessa una profonda consegna di sé alla sconfitta… ma questa è una diversa questione e qui mi fermo. Pirandello parla spesso di sé come di un uomo che osserva e lascia comparire sul proprio viso un sorriso amaro quanto distaccato, forse un paradosso o, più semplicemente, l’incapacità di essere davvero solo quello che osserva protetto da un cannocchiale rovesciato. Ora il quesito diviene: siamo in grado di essere autori e registi di noi stessi? Non è nostro diritto e fondamentale dovere auto metterci in scena cercando di essere onesti, accettando le nostre contraddizioni, le nostre cadute, capaci di dare la mano per aiutare a rialzarsi chi ci è prossimo nella speranza che altri lo facciano con noi? Quanta sconfitta consapevole nell’atto pirandelliano di liquidare  il “povero dottor Fileno” e dedicarsi ai suoi personaggi “…i quali saranno cattivi, saranno scontrosi, ma non hanno almeno la sua stravagante ambizione” e ricordiamo che tale ambizione è sempre la stessa, trovare qualcuno che sappia rappresentarlo adeguatamente per renderlo, afferma il grande siciliano, immortale.

Apriamo l’occhio che utilizza l’altra lente ed ecco che l’uomo non chiede l’immortalità ma la vita e per farlo la parola chiave non è rappresentazione e nemmeno auto ironia, bensì coraggio. Ci viene in soccorso Nietzsche in Genealogia della morale: “L’uomo, l’animale più coraggioso e più abituato al dolore, in sé non nega la sofferenza; la vuole, la ricerca perfino, posto che gli si indichi un senso di essa, un -perché- del soffrire. L’assurdità della sofferenza, non la sofferenza, è stata la maledizione che fino a oggi è dilagata su tutta l’umanità e l’ideale ascetico offrì a essa un senso!”; e nello Zarathustra: “Il coraggio ammazza anche la vertigine in prossimità degli abissi: e dove mai l’uomo non si trova vicino ad abissi! Non è la vista già di per sé un – vedere abissi?”. È proprio il cannocchiale rovesciato, quello che dovrebbe preservarci dal dolore, che ci impedisce la felicità, meglio il vitalismo dionisiaco, il coraggio di tuffarsi ridendo nel magma folle delle passioni, allora! Forse la saggezza che si acquisisce con gli anni potrebbe suggerire di utilizzare di volta in volta una o l’altra lente degli occhiali, ma non sarebbe una sorta di auto inganno sapendo che l’una e l’altra non sono i nostri occhi? Meglio allora eliminarle entrambe, lasciarmi accarezzare, travolgere, ferire ed eccitare dal fluire assurdo, in senso camusiano, e spesso incontrollabile della vita, delle passioni. Certo, rischioso, ma quanto affascinante l’abisso che ci abita; allora non lanciamoci in un masochistico tuffo, piuttosto inoltriamoci in prima persona, attenti e voraci per incontrarci a ogni passo e comprendere che questo viaggio è la vita, una vita non so quanto più vera o appagante, ma finalmente nostra.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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