Segnali di allarme

Ponte Morandi, il 7 febbraio 2018 crolla blocco di cemento armato. Lite tra Aspi e Spea: “I vostri tecnici fanno relazioni improponibili”

Dieci tonnellate di materiale finirono sul deposito di smarino di Rfi, senza feriti ne danni

ponte morandi, crollo del 7 febbraio 2018

Genova. Durante i lavori di risistemazione delle barriere di sicurezza del ponte Morandi, la mattina del 7 febbraio 2018 si verifica il crollo di un blocco di cemento armato che costituiva l’elemento di raccordo tra la rampa di innesto A/7-A/10 e le travate principali del viadotto. Crollando, l’elemento divelle parte dei ponteggi sistemati per i lavori e cade al suolo in un’area di pertinenza di Rfi, finendo su un cumulo di smarino proveniente dallo scavo di gallerie in costruzione per il raddoppio ferroviario. Non è un incidente di poco conto, perché il distacco riguarda circa 10 tonnellate che volano giù per 40 metri.

Ma per pura fortuna non si fa male nessuno, in quanto nessun operaio sta scaricando dello smarino proprio in quel momento, per la stessa ragione non ci sono danni alle cose e nemmeno c’è necessità di chiudere l’autostrada visto che il crollo è avvenuto in un area già di cantiere. Una serie di elementi fortunatissimi tanto che, nonostante che le immagini siano abbastanza impressionanti, nessun organo di stampa viene a conoscenza dell’incidente.

“Ma non sempre si può essere così fortunati” scrivono i pm nella memoria depositata nel processo e spiegano come l’episodio, che ovviamente non ha nulla a che vedere con la tragedia del 14 agosto è comunque indicativo di tante cose: “Si pongono così, ancora una volta, in evidenza la superficialità e l’impreparazione di due organizzazioni complesse come ASPI e SPEA, per non parlare di Pavimental – dicono Terrile e Cotugno – avevano il compito di gestire e di sorvegliare il viadotto più importante d’Italia, ma nessuno, al loro interno, si è mai preoccupato di acquisire il progetto originale di Morandi per approfondire la conoscenza della struttura ed evitare di ”navigare a vista” in occasione di qualsiasi intervento da eseguire su un’opera atipica e complessa come il ponte Morandi. La perfetta conoscenza del progetto, delle sue peculiarità, di come il viadotto era stato pensato e poi effettivamente costruito (“as built”) era – si ripete – condizione essenziale per effettuare una corretta manutenzione”.

L’incidente fra l’altro causa una lite furiosa tra Aspi e Spea e in particolare tra il numero due di Aspi Paolo Berti e l’amministratore delegato di Spea Antonino Galatà. Berti dopo una prima risposta piccata nel numero uno di Spea replica in una mail del 16 febbraio: “I toni si associano alla tua incapacità di governare 150 tecnici, che a ruota libera sottoscrivono relazioni improponibili”. E aggiunge: “C’è un tema di cultura e di abbassamento del livello di qualità accelerato in tutti i livelli SPEA, e nel rispondere alla DT1 poniti una serie di interrogativi per i diversi fronti che si stanno aprendo con le DDTT in ordine alla qualità del servizio offerto”.

Anche Michele Donferri, il responsabile delle manutenzioni di Aspi, è molto critico con Spea dopo l’incidente a Galatà scrive: “…… la Vostra Società, quale progettista incaricato, certamente non ha previsto la situazione in sito che tuttavia, altrettanto certamente, era perfettamente prevedibile con l’ordinaria diligenza…”

La domanda conseguente che i fanno i pm è semplice: “Se sia Berti, sia Donferri, erano perfettamente a conoscenza della inidoneità di Spea a sorvegliare il viadotto Polcevera, come è possibile continuare a tenerlo aperto al traffico sulla base delle rassicurazioni della stessa SPEA, le cui relazioni sono così improponibili?”.

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