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Manifestazione per l’ospedale di Cairo, la Cgil: “Il diritto alla salute è centrale”

"La Cgil c'è perché crediamo che il modello socio sanitario della Regione vada cambiato"

ospedale cairo

Cairo Montenotte. Anche la Cgil di Savona parteciperà alla manifestazione a sostegno dell’ospedale San Giuseppe in programma oggi a Cairo Montenotte.

“La Cgil c’è perché crediamo che il modello socio sanitario della Regione vada cambiato, stravolto una volta per tutte, partendo dai territori in cui le decisioni politiche dell’amministrazione regionale hanno causato una drammatica diminuzione dei servizi e delle attività socio sanitarie – spiega il segretario provinciale Andrea Pasa – Siamo in piazza a manifestare anche a Cairo Montenotte per dire che la sanità pubblica e il diritto alla salute devono rimanere un punto centrale”.

“In questi anni in Italia sono stati fatti troppi tagli al Servizio sanitario nazionale, ben 35 miliardi di euro negli ultimi dieci anni e nelle regioni assistiamo ad un declino inesorabile di attività e servizi socio sanitari, soprattutto nella nostra provincia e nelle aree di ponente e della Valbormida. Oggi ci troviamo in una situazione dove ci sono pochi medici e pochi infermieri, in provincia ne mancano oltre 400 tra medici, tecnici e infermieri, mentre c’è un livello di appalti, sub-appalti e privatizzazioni troppo alto. C’è quindi bisogno di investire. Chiediamo che si aumenti la spesa per la sanità pubblica, che si facciano assunzioni e che si superi la precarietà”.

“C’è la necessità di investire sul territorio: non c’è solo un problema relativo agli ospedali, che purtroppo esiste, lo vediamo molto bene qui a Cairo con un ospedale svuotato scientificamente da diversi anni, c’è un problema di servizi sociali, di costruire reti sul territorio. Allo stesso tempo, bisogna mettere risorse per rinnovare i contratti nazionali perché abbiamo salari troppo bassi e livelli di precarietà troppo alti. Chiediamo al nuovo governo e ancora una volta alla Regione Liguria un immediato e concreto impegno sulla sanità, con l’obiettivo di garantire la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Nel particolare, vede al centro otto misure urgenti, sulle quali intervenire subito: maggiori risorse per il fondo sanitario nazionale, lotta alle esternalizzazioni, superamento dei limiti di tetti di spesa per il personale, assunzioni e stabilizzazioni, adeguate risorse contrattuali, spazi per la contrattazione decentrata e la valorizzazione del personale, misure per l’integrazione fra pubblico e privato e fra sanitario e sociale”.

“I prossimi mesi e anni saranno decisivi per il futuro del servizio sanitario nazionale: fino ad oggi l’unico argine alzato a contenere il disastro è stato il lavoro e il sacrificio, in troppi casi fino alle estreme conseguenze, delle lavoratrici e dei lavoratori- ricordando gli oltre 4 mila operatori sanitari morti durante la pandemia, della sanità, pubblica e privata, che dobbiamo continuamente ringraziare, e che non vogliono essere chiamati eroi, ma vogliono essere rispettati. Il Covid ci ha lasciato in eredità una situazione ancora più grave di quella esistente prima della pandemia. Pensiamo in particolare ai lavoratori precari della sanità: erano 38.000 prima della catastrofe, poi saliti a 47.000 dopo il primo anno dell’emergenza, quindi 54.000 a fine 2021, mentre oggi sono lievitati a 80.000. Se durante l’emergenza, si poteva giustificare il ricorso a contratti temporanei, cosa aspettiamo ora, passati tre anni, a stabilizzarli con un grande piano di assunzioni? La salute è indiscutibilmente un settore fondamentale, ma non c’è coerenza se non si procede a un cambio delle politiche”.

“In questo panorama, il Pnrr non può e non deve essere un’occasione di profitto per la sanità privata con i fondi pubblici, ma deve essere una grande opportunità per cambiare il rapporto fra servizio pubblico e privato e per far fare un salto di qualità a tutto l’apparato pubblico, dopo aver perduto 37 miliardi in dieci anni a causa dei tagli operati al fondo sanitario nazionale. Così come occorre intervenire, sulle privatizzazioni, da evitare il più possibile, sul numero chiuso nelle università di medicina, che va cancellato al pari dei tetti alle assunzioni, aumentando nel contempo, le borse di specializzazione. Il modello di aziendalizzazione va rivisto all’insegna dell’universalità nel sistema pubblico, evitando le diseguaglianze esistenti fra una regione e l’altra, tanto da far convivere venti modelli diversi. Le lavoratrici e i lavoratori che, di fronte al proprio sacrificio, pretendevano e pretendono un riconoscimento. Non producono beni, erogano salute. Se scappano dal servizio pubblico non è perché non rispettano la loro professionalità, ma per le condizioni di lavoro estenuanti e massacranti. Non sono mercenari, ma neanche carne da macello. Bisogna rispettare le condizioni minime di lavoro, che vuol dire anche far valere il termine di undici ore di riposo fra un turno e l’altro, tutelando così la salute di lavoratrici e lavoratori. Qualità del lavoro è qualità dell’assistenza ai cittadini”.

“Poi ci siamo noi, ci sono i cittadini, e le comunità savonesi, con le fragilità riconosciute da tutti ma male interpretate fino ad oggi dalle istituzioni locali, c’è poca percezione della situazione in cui si trova l’intero comparto pubblico e privato, dagli ospedali alla sanità territoriale, dalle case di cura a alle strutture per anziani. Cìè una domanda da porci, molto semplice, ci sono più servizi e attività socio sanitarie oggi o qualche anno fa? La risposta è semplice. Oggi ce ne sono sicuramente molto meno. Chi ne ha fatto le spese sono soprattutto l’estremo ponente e la Valbormida, con decisioni politiche, si proprio così, decisioni politiche, che hanno ridotto servizi e attività a favore del privato, senza tra l’altro neppure riuscirci, svuotando i due ospedali, promettendo il ripristino di servizi che mai sono stati riattivati”.

“Potremmo fare la lista ma mi fermo su ciò che servirebbe e serve a Cairo e per tutta la Valbormida: un punto di primo intervento h24. Pretendiamo dalla Regione e dal nuovo assessore l’attenzione che merita il nostro territorio, pretendiamo la garanzia della Costituzione. Pretendiamo noi, ma lo dovrebbero fare anche i sindaci, che sono i primi responsabili della salute delle comunità che rappresentano. C’è un documento che oggi ha due anni, condiviso, discusso e presentato alla Regione. Ad oggi non ci sono risposte solo impegni sempre disattesi. Ospedale comunità non è un ospedale, è tre passi indietro. Per questo è necessario che la politica locale, che ha la responsabilità di rappresentare le necessità del territorio che amministra pretenda al più presto un incontro con il nuovo assessore, con il direttore generale Asl2, e con tutti i firmatari del documento di ottobre 2020 sui contenuti di quel documento e non altro. Se ci sono amministratori che oggi non si sentono di poter sostenere quel modello, profondamente diverso dall’attuale, che hanno costruito insieme a tutti noi lo dicano perché di tutto abbiamo bisogno ma non di dividerci su temi così importanti come quello della salute delle persone”.

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