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Per un pensiero altro

La scelta del noce

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico novembre 2022

“In fondo che il bicchiere lo si veda mezzo pieno o mezzo vuoto non è così rilevante, credo che ciò che più conti sia cosa contiene, che il contenuto mi dia piacere, che io possa berlo con godimento e rabboccarlo adeguatamente”. Come al solito l’amico Gershom Freeman riesce a osservare ogni cosa, anche i quesiti abusati fino alla consunzione, da un altro punto di vista così da rinvigorirne il senso, la provocazione e le eventuali riflessioni che ne possono nascere. Non si stava discorrendo di ottimismo e pessimismo come suggerirebbe l’apertura, almeno non in senso stretto, piuttosto del fatto che, il riferimento a Heidegger se ne stava silenzioso in disparte ma ben presente, tutti noi siamo nati senza averlo chiesto, in un tempo e in un luogo che non abbiamo potuto scegliere così come da quali genitori essere generati. In particolare si stava riflettendo sul fatto che non si nasca con le medesime opportunità, non siamo tutti uguali, purtroppo o per fortuna, e ognuno di noi può osservarsi per ciò che gli manca o ritiene mancargli, o per ciò che possiede o è convinto di possedere, il famoso bicchiere, appunto. “Provo a decriptarmi – aggiunse l’amico Gershom – una volta presa consapevolezza di essere più di un metro e ottanta e che a fatica riesco a tenere il mio peso al di sotto della tragica soglia dei novanta chili, potrei lasciarmi travolgere dallo sconforto per le mie opportunità ippiche – sorrideva, chissà se stava inventando come gli piace fare – non te ne ho mai parlato, ma il mio sogno era di fare il fantino, oppure, nietzschianamente , meglio ancora, potrei scoprirmi come “animale etico”, “animale culturale”, insomma, senza rinnegare la mia animalità, che si esprime anche nel mio fisico, non prestare grande attenzione alla metà vuota del bicchiere ma godermi l’altra metà, quella piena, dove è ciò che sono nella speranza di essere un ottimo vino”. Concluse il tutto con un brindisi e ben presto diresse il bicchiere oramai svuotato verso la bottiglia che avevo in mano con il chiaro intento di ripristinarne il contenuto.

La riflessione scivolò ben presto dalla questione se si è ottimisti o pessimisti nella considerazione del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto su quella che, almeno questo suggeriva il Gutturnio compagno della serata, sembrava essere più rilevante: che sapore ha il contenuto del bicchiere per tanto o poco che sia? Ma l’aspetto più intrigante risultò essere l’interrogarsi sulla possibilità da parte del gestore del bicchiere di modificare,  correggere, migliorare e comunque interagire con il contenuto dello stesso. Fuor di metafora la questione diventa: devo accettarmi e amarmi per ciò che sono? È opportuno che agisca al fine di rendermi ciò che desidero essere? Potremmo affrontare la questione nell’ottica nietzscheana del “divieni te stesso”? L’approccio di Gershom come sempre fu da scrittore anarcoide che non sottostà al rigore della filosofia ma si consente a spericolate metafore intellettuali ed emotive, così principiò il suo monologo raccontandomi di una popolazione, le giustificazioni antropologiche le risparmio anche perché temo se le sia del tutto inventate sul momento, ma non ne sono certo, insomma, una popolazione nella quale sopravvive il culto, questo si ampiamente documentato, nel quale il ruolo totemico è riconosciuto alle piante e non agli animali. In fondo l’oroscopo celtico conserva questi fondamenti. L’approccio floratotemico gli serviva per sostenere la sua convinzione che  l’albero nel quale si riconosceva fosse il noce, anzi, che lui stesso fosse contemporaneamente un noce e il suo frutto. Sostenne che nella sua natura poteva proporsi come qualcosa di abbastanza gradevole alla vista, ma ancora occultato nel mallo, a chi volesse scavare più a fondo si sarebbe presentato un guscio rugoso, duro, non commestibile, a chi si fosse concesso maggiore pazienza e avesse provato a scendere più profondamente si sarebbe esibito un groviglio contorto, con un po’ di accortezza avrebbe potuto comprendere la necessità ineludibile della pellicola che divide le parti edibili e accedere così al piacere di assaporare il gheriglio. Ma, mi assicurò, aveva imparato, dall’ambiente in cui era cresciuto, che sono ben poche le persone disposte a tanta fatica; non che gli importasse, pochi ma buoni si dice, ma sapeva di avere piacere di essere accessibile a molti, è cresciuto nell’occidente del mondo, diciamo così per farla breve, allora aveva studiato ed era riuscito a produrre delle splendide pesche noci, altri innesti erano andati male, ma ora stava lavorando, come sempre, a nuovi frutti.

È tempo di abbandonare il caso particolare per provare una riflessione “altra” e chiederci: come facciamo a sapere che albero siamo? Quante opportunità abbiamo di consentirci a un innesto? Che margine di libertà abbiamo nella scelta dello stesso? In effetti se nasci ortica sperare di produrre mandorle urticanti diviene improbo. La gettitudine di scuola heideggeriana ben si riconosce nel fatto che non decidiamo noi che albero essere alla nascita, quel che è certo è che nemmeno possiamo determinare se il terreno dove andremo a sviluppare le radici sarà ricco o arido, sabbioso o fertile se non addirittura invivibile roccia, è il vuoto del bicchiere, ma intanto cerchiamo di conoscere il pieno, che sapore abbiamo, se siamo vino, acqua o cognac, insomma, facciamo esperienza di noi senza dimenticare che è un atto gnoseologico anomalo in quanto oggetto di studio e soggetto agente coincidono generando un loop ermeneutico eccezionale. Ricorrendo al lessico della psicologia potremmo definire come temperamento quelle radici più o meno immutabili che ci determinano e come carattere la risultante da una costante interazione tra il soggetto e la sua storia. Oggi, come insegna Umberto Galimberti nel suo saggio Psicologia, il termine utilizzato non è più carattere ma personalità ma, a mio vedere, la pretesa oggettività degli studi più recenti va collocata nel vortice ermeneutico al quale abbiamo fatto riferimento poco sopra. Per chiarire sinteticamente le posizioni dell’approccio scientista ci basti l’affermazione di Enrico Cattonaro: “Abitualmente con il termine personalità ci si riferisce all’intera organizzazione mentale dell’essere umano in ciascuno stadio del suo sviluppo, mentre con il termine carattere si sottolinea piuttosto l’aspetto oggettivo della personalità, il suo manifestarsi concreto attraverso un tipico comportamento, un costante modo di reagire di fronte all’ambiente, per cui acquista rilievo particolare il lato affettivo e volitivo della personalità stessa”.

Personalmente mi terrorizza l’idea di un permanere anche solo comportamentale in un essere umano, il concetto di costanti di Cattonaro preferisco riconoscerlo nelle radici del noce, nella corteccia, ma che non esista modo di generare la famosa pesca noce gershomiana mi immalinconisce. Credo che una memoria di sé come archetipo permanente possa essere riconosciuta, ma è meraviglioso consegnarsi alla propria forza interiore, alla propria creatività, alla volontà di autodeterminazione, per consentirsi a un deliberato esercizio di auto innesto, per arricchire le proprie opportunità scoprendo magari un nuovo genere di frutto capace di essere il risultato delle radici intrecciate ai sapori etico-culturali dell’innesto stesso così da ottenere qualcosa di nuovo e magari splendido, perché mai non celebrare un ottimistico sì alla vita? Sono peraltro convinto che ogni possibile innesto non possa prescindere da un vitale flusso di linfa che dalle radici raggiunga i rami e fruttifichi, questo è corroborato da un profondo atto d’amore verso le stesse, insomma, devo amarmi profondamente per ciò che sono così da permettermi di divenire ciò che sarò. Intanto, amando il contenuto del bicchiere, lo sorseggio con gioia, magari offrendo, a chi fosse disponibile, le migliori pesche noci che saprò generare.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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