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Per un pensiero altro

Io nel perimetro dell’io

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico novembre 2022

“Certo ricordi il dilemma filosofico della nave di Teseo, ebbene, sia il pensiero classico, che la narrazione di Plutarco, che la rivisitazione hobbesiana che la più recente ricerca sull’identità si interrogano così: la nave permane ciò che è o diviene altro? È più vera la nave rinnovata o l’eventuale ri-assemblaggio di quella antica? Possiamo risolvere la questione con qualche escamotage sul tipo della persistenza degli artefatti e identità sortali o il paradosso è irrisolvibile? Io credo che, più o meno consapevolmente, in questo modo si passi un messaggio surrettizio: ciò di cui siamo sicuri è l’immutabilità di Teseo”. Inevitabilmente le uscite dell’amico Gershom Freeman innescano una riflessione che sposta i termini di quella convenzionale, anche in questo caso lui si limitò a gettare il sasso. È fatto così, afferma di non essere un filosofo e che sarebbe poi compito mio tentare di dare una base sistematica alle sue intuizioni, comodo per lui, ma lo ringrazio, le sue provocazioni sono sempre positivamente gravide. Per chi non conoscesse il paradosso in questione preciso che è presentato da Plutarco nell’opera “Vita di Teseo” dove racconta che, dopo il ritorno dell’eroe da Creta a seguito della presunta vittoria sul Minotauro e dell’ignobile abbandono di Arianna in Asso, la sua nave fu conservata e impiegata nel tempo con funzioni rituali, una sorta di ierofania dovuta alla sacralità del suo proprietario mitizzato. Ovviamente il manufatto andava deteriorandosi e le sue parti costituenti venivano di volta in volta sostituite fino a che non ne rimase alcuna di quelle originarie. Molti secoli dopo il filosofo inglese Tommaso Hobbes ipotizzò che qualcuno si fosse preso la briga di conservare tutte le parti sostituite ripristinando un doppione della nave che, in qualche modo, era lo stesso ma originale della copia. In quel caso quale delle due era da ritenersi “veramente “ la nave di Teseo? Il dibattito dei secoli successivi, fino a pensatori contemporanei, soprattutto del mondo anglosassone, sono quelli ai quali ha accennato Gershom, ma mi interessa provare a sviluppare la sua provocazione.

Credo sia possibile dare il via alla nostra riflessione chiarendo l’interrogativo e lasciando a margine la questione altrettanto affascinante del chi è Teseo? Esiste come anima o coscienza o mente? Può essere ciò che permane nel divenire della sua nave? Rappresenta l’immutabilità dell’essere nel poliforme divenire del tempo? Insomma, l’antica e controversa questione del dualismo essere-divenire, anima-corpo, mente-cervello/corpo che pure oggi si allarga ai temi attualissimi conseguenti allo sviluppo delle ricerche sull’intelligenza artificiale. Mi sembra che uno degli aspetti più intriganti posto cripticamente da Freeman possa essere così esplicitato: il mutarsi dell’oggetto di proprietà modifica il proprietario? In estrema sintesi possiamo individuare due scuole di pensiero, una che sostiene che nel corpo inanimato sopravviene l’anima, per intervento divino o per altra via non è oggetto di questa riflessione; l’altra tesi afferma che lo spirito si incarna successivamente in più corpi conservando la propria essenza senza averne memoria cosciente. Entrambe le ipotesi presentano diverse difficoltà tecniche e scientifiche, ne consegue che spesso divengono oggetto di atti di fede e determinano l’insorgere di differenti religioni. Circoscriviamo l’ambito della nostra riflessione al fatto che se Teseo esiste “ontologicamente” è inaccessibile a qualsiasi approccio gnoseologico, anche questa affermazione porta con sé un enorme groviglio problematico di natura anche epistemologica, per esempio il contrasto tra riduzionismo metodologico e riduzionismo ontologico, ma ancora una volta riduciamo l’ambito della riflessione: se Teseo è concepito come “il proprietario della nave”, non ribadisco il parallelismo alla base della riflessione, al perenne modificarsi della stessa non deve necessariamente cambiare tanto da non poter più essere inteso come non-diveniente? Oppure dobbiamo affermare che non esiste alcun legame pineale o simile che metta in relazione i due piani? Non credo nemmeno che sia trascurabile il fatto che nella cultura capitalistica il concetto di “proprietà” sia imprescindibile e che, sto provocando, se noi siamo ciò che possediamo siamo di fatto noi a essere posseduti; è come affermare che se Teseo è “solo” il proprietario della nave allo scomparire e al mutare della stessa medesima sorte tocchi al proprietario.

Mi sembra incontrovertibile che le mutazioni di contesto esercitino un’azione fondativa sul soggetto; per dirla con Heidegger, se noi impariamo a usare il mondo che ci è dato nella nostra gettitudine è evidente che diveniamo e non permaniamo sulla scorta dell’ambiente. Il fatto poi che l’uomo sia un animale relazionale fa si che la mente-coscienza-anima divenga in stretta contiguità con la capacità di comunicare del soggetto, non è un caso che la “solitudine da covid” abbia generato tante complicazioni soprattutto nei più giovani. Il fenomeno della mielinizzazione, che è massimo nei primi anni di vita, è dimostrato che prosegua fino ai venti rendendo l’adolescente molto più fragile dell’adulto ed esposto a pericoli maggiori a livello di sistema nervoso centrale. Ma, ancora una volta, circoscriviamo l’ambito dell’analisi: nell’interazione relazionale contesto-tecnologia e soggetto credo sia rilevante una riflessione di natura prossemica, l’ambito di rapporto che si instaura tra il sé e l’altro da sé. La realtà attuale, in maniera definitiva per le nuove generazione e per i più fragili tra gli adulti, determina lo spazio peripersonale soprattutto attraverso l’impiego del cellulare. L’orizzonte relazionale, sia con l’altro soggetto che con il contesto oggetto, con la storia come con l’esperienza tout court, non si estende oltre la dimensione delle nostre braccia protese a impugnare il cellulare, il tabernacolo e l’officina quotidiana della maggior parte degli utenti. Se siamo la nostra auto costruzione conseguente alle dimensioni dello spazio-relazione che riusciamo a concepire e fruire, che ne sarà di quell’enorme occasione di vita che è la realtà esperienziale oltre la fragile estensione delle nostre braccia? Quanta vita sapremo accogliere? Quanti sconcertati Teseo su microscopici canotti in balia dei marosi convinti che l’estensione virtuale dello spazio e del tempo possa compensare la fruizione diretta ed espansiva degli stessi? Oggi si celebra la vastità del mezzo capace di ridurre a nulla le dimensioni del mondo, ma forse l’unica vera contrazione è la costruzione dell’io che si auto imprigiona dietro le sbarre virtuali e accattivanti della rete. Il perimetro dell’io, apparentemente sempre più vasto, si sta stringendo a cappio attorno al respiro del pensiero tanto che l’asma dell’ovvietà affligge l’intelligenza e patologici colpi di tosse vengono confusi con idee innovative.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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