“Trattare con uomini e donne comuni è assai difficile. Se li lasci avvicinare si dimostrano irrispettosi nei tuoi confronti, se invece li allontani dimostrano risentimento” sentenzia Confucio. L’affermazione pone il tema della definizione di “comune”, e già la questione è complessa, ma ancor più sottile è esplicitare il concetto di “risentimento”. L’arcinota autrice della saga di Harry Potter afferma che “La grandezza ispira l’invidia, l’invidia genera rancore, il rancore produce menzogne”, mi sembra un’implicita quanto esplicativa rappresentazione di quello che, grazie all’impiego del termine francese introdotto da Nietzsche, viene definito rissentiment. Chi meglio del pensatore di Roken poteva conoscere un simile malinconico sentimento, lui che fu vittima dell’acido affetto di Peter Gast, pseudonimo di Heinrich Köselitz, che aveva avuto la fortuna e il dono della sua amicizia e della sua stima, il classico mediocre sopraffatto dal peso della responsabilità per tanto onore, incapace a una virile riconoscenza aveva trasformato la propria pochezza in risentimento nei confronti del suo benefattore. Per tornare alle parole di Confucio ecco che Gast possiamo definirlo “comune” e il suo stato d’animo “risentimento”. Ma non è sempre così facile individuare vittima e carnefice o, più semplicemente, attribuire le responsabilità con assoluta certezza. Via, provochiamo un poco ricorrendo a un mito noto a livello planetario e chiediamoci: tra Caino e Abele chi era comune e chi speciale? Chi era afflitto dal risentimento e soprattutto, ne aveva comprensibili ragioni? Insomma, chi di noi al posto di Caino non avrebbe avuto un certo fastidio sentendo quotidianamente cantare le lodi del fratello poiché più servile nei confronti del potente? Vuoi vedere che la responsabilità ancora una volta è del regista ed entrambe gli attori sono solo ottuse marionette tanto che poco importa chi ha scagliato il sasso? Allora la domanda retorica “Caino sai dov’è tuo fratello” deve essere intesa come la vera faccia del risentimento?
Abbandoniamo il terreno del mito e torniamo al tempo dell’uomo: come sempre risultano illuminanti le argomentazioni nietzscheane quando ci spiega che il risentimento dei più piccoli e fragili agnelli nei confronti dei rapaci e il conseguente sentimento buonista che ispira la morale “comune”, quel sentimento che giudica e marchia di crudeltà i rapaci, non possono che suscitare in questi la reazione riportata da Nietzsche: “Con loro non ce l’abbiamo affatto, noi, con questi buoni agnelli; addirittura li amiamo: nulla è più saporito di un tenero agnello” (Genealogia della morale). Insomma, le aquile non si risentono del giudizio ingiusto degli agnelli confermandosi speciali, tutt’altra reazione quella dei poveri ovini ai quali non resta che affidarsi speranzosi a un prossimo giudizio universale. Non posso esimermi almeno dal rimandare, per una più ampia visione della questione all’interno del pensiero occidentale, alla posizione di Max Scheler che interpreta il santo-martire-agnello in ottica cristiana non come conseguente a un rissentiment generato da “bisogno o carenza”, non come autocelebrazione attraverso l’immolarsi sacrificale, ma come sovrabbondanza d’amore e grande nobiltà d’animo. Non è possibile in questa sede anche solo accennare ai tanti interessanti contributi sull’argomento di diversi pensatori come Weber, Sartre, Stewart, Deleuze, Angenot, Ferro, per citarne solo alcuni, ma credo meriti una particolare attenzione la posizione di René Girard che arriva a riconoscere il rissentiment da parte di Nietzsche nel suo conflittuale rapporto con Wagner. Procedendo lungo questa prospettiva, Stefano Tomelleri individua le radici del diffuso rissentiment della società capitalistica nella conflittualità dei principi fondativi della stessa che individua nell’egualitarismo e nella competitività. Limitiamoci a questi “brevi appunti” sul risentimento individuale e di sistema così come rimandiamo a un diverso momento la riflessione antropologica sul “risentimento di specie” e limitiamoci al “risentimento post covid”.
Possiamo partire da un’arguta metafora proprio di Tomelleri tratta da “La società del risentimento”: “ È l’immagine di un grande affresco sulla modernità, dove è dipinto un ricco banchetto […] apparecchiato con cura: sul tavolo sono appoggiati oggetti preziosi, la “morale giudaico-cristiana”, la “democrazia”, il “progresso”. Gli invitati sono al calduccio e con la pancia piena, ma non sono felici, si accusano vicendevolmente, in un andirivieni di rappresaglie dove ciascuno gioca a essere ostacolo per l’altro: sono in fermento. Il ricco banchetto riserva una scatola a sorpresa che tradisce un inganno: l’unico piatto servito è dell’uva acerba”. L’allegoria ci immette in medias res: i protagonisti si comportano da adolescenti anche se oltre i limiti d’età, forse nostalgicamente ricordano quando, anagraficamente adolescenti, potevano lecitamente osservare il proprio ombelico convinti di essere quello del mondo intero. Potrebbe far sorridere il peterpanismo che li affligge se non si compiacessero di ingoiare uva acerba per poi sputazzarla sui vari commensali magari spacciandola per cultura o almeno corretta informazione. Vediamo di esplicitare il senso nel quale utilizzo quella che mi sembra la rappresentazione dell’implosione del mondo virtualoccidentale, se non addirittura globale, un mondo che degrada attraverso il risentimento diffuso, che scivola subdolo lungo il piano inclinato generato da due anni di crisi e allarme epidemiologico. L’occulto regista non è stato il covid, nemmeno il potere delle multinazionali farmaceutiche o Bill Gates, piuttosto, molto kafkianamente, l’evanescente radice del risentimento. Nel teatro dell’assurdo degli ultimi anni, innumerevoli “comuni” si sono avvertiti come “speciali” facendosi carico del diritto-dovere di condurre una qualche crociata, poco importa se per la bandiera dei provax o dei novax, autoproclamandosi “avversari della manipolabile mediocrità” che fondava la fazione opposta, radicandosi progressivamente nelle proprie certezze sostenute e prodotte da algoritmi che non potevano riconoscere come cause del proprio pseudo pensiero ma che individuavano palesemente nelle argomentazioni degli “altri”.
Quanti “superflui”, per ricorrere a un termine nietzscheano, si sono scoperti virologi e poi politologi e storici, addirittura esperti di spionaggio. Altro malinconico fenomeno quello del medico che, abbandonate le corsie ospedaliere, può inebriarsi dell’aria fine della notorietà, trasformarsi da soggetto del risentimento a oggetto di invidia, che meraviglioso itinerario verso l’olimpo democraticamente costruito in base al principio del “diritto alla visibilità” conseguente al perverso assioma che esisti in rapporto al numero dei like che riscuoti. Ma il conflitto ancor più avvilente si andava consumando più in basso, tra gli “anonimi comuni”. Oh, quanta preveggenza in Ortega y Gasset quando, un secolo or sono, in “La ribellione delle masse”, anticipava il “dominio della mediocrità”, il ressentiment nei confronti dell’eccezionalità che abita in chiunque sia afflitto da rancore, rimorso, rimpianto, frustrazione, in ogni incapace di un solare si alla vita e uso alla ginnastica distruttiva del giudizio, della censura verso chi non soggiace alle leggi della sconfitta e dell’umiliazione. Intere moltitudini di “uomini automatici”, capaci di immediate reazioni, androidi biologici che per ogni stimolo o avvenimento hanno già pronta la risposta, senza darsi il tempo per “ruminare”, come suggeriva saggiamente l’incendiario filosofo di Rocken. Ma la vera eccezionalità è nell’etica del rispetto di sé e degli altri, nello studio e non nello sbocconcellare informazioni raccattate qua e là in internet, nel non offrirsi supini al ”grande regista inesistente” per recitare le parti di faziosi contendenti in una battaglia che è già sconfitta nel momento in cui incontri nell’altro un avversario, se non addirittura un nemico, piuttosto che un affascinante compagno di viaggio, allora basta alzare la voce! Riappropriamoci di ciò che è più vero, “Sono i silenzi in cui si vede/in ogni ombra umana che si allontana/qualche disturbata Divinità”.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
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