Provincia. Ora che l’incendio che ha devastato l’entroterra albenganese è stato dichiarato spento, i riflettori mediatici si sono spenti. Nei giorni scorsi, su IVG abbiamo ripercorso l’ordine cronologico degli eventi che si sono susseguiti nel corso dei 9 giorni che hanno tenuto con il fiato sospeso un intero territorio.
Complessivamente sono circa 430 gli ettari di macchia mediterranea scomparsi a seguito di uno dei roghi più gravi mai avvenuti nella storia della nostra regione. Il momento più drammatico si è consumato nella notte tra sabato 6 e domenica 7 agosto, quando la situazione è precipitata a causa del vento costante proveniente da nord.
Nel corso del nuovo episodio de “La Telefonata”, il podcast di IVG condotto dal giornalista Nicola Seppone, abbiamo voluto ripercorrere quei terribili momenti con gli occhi di chi è sceso in campo in prima linea per spazzare via un incubo. Ma siamo voluti andare oltre. Perché ora a fare paura c’è il maltempo e la pioggia. Quest’ultima tanto desiderata per far fronte alla siccità quanto temuta a causa della fragilità del nostro territorio.
Quasi 450 volontari in campo: un esercito per domare l’inferno
“La prima telefonata l’ho ricevuta il sabato per un principio di incendio ad Arnasco. Sono intervenuto come volontario della squadra di Andora. Siamo rientrati a fine giornata con serenità perché non c’erano stati segnali di pericolo. Poi, sono stato richiamato perché nel frattempo l’incendio di Arnasco era diventato qualcosa di inimmaginabile. La domenica mi sono ritrovato ad assumere il ruolo di coordinatore di tutte le squadre che di lì a poco sarebbero venute a dare una mano. Quasi 450 persone provenienti da tutta la provincia di Savona”.
A parlare – nel corso del podcast – è Fabio Curto, volontario della protezione civile da 29 anni. Per 13 anni ha guidato la squadra di Andora e attualmente riveste l’incarico di vice presidente del coordinamento dei volontari della protezione civile della provincia di Savona e vice referente per il distaccamento di Albenga (la vecchia Comunità Montana Ingauna).
ASCOLTA “LA TELEFONATA” CON FABIO CURTO
Curto è uno dei tanti volontari che si è calato nell’inferno dell’entroterra albenganese per nove giorni consecutivi: “Voglio ringraziare tutti i volontari che sono intervenuti. Stiamo parlando di persone che rinunciano al loro tempo libero per aiutare gli altri. Credo che oggi il nostro Paese non riuscirebbe a sovvertire tante emergenze senza il fondamentale apporto del volontariato”.
“In 27 anni di antincendio non ho mai visto una violenza di fuoco così”
Questa frase, postata sul profilo facebook di Curto l’8 agosto scorso, è una delle più emblematiche di questa emergenza. Se non altro perché scritta da chi, in quasi 30 anni di volontariato, qualche incendio (purtroppo) lo ha visto e combattuto.
“Quella notte – racconta Curto -, con il favore del vento le fiamme hanno iniziato a correre verso Bastia ad una velocità pari al nostro ragionamento per elaborare una strategia. La complessità si è evoluta in pochi minuti. Quello è stato un momento di grande tensione, quella che ti fa mordere lo stomaco. Con Eugenio Oddera, direttore della sala operativa dei vigili del fuoco, ad un certo punto ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che dovevamo ‘inventare’”.
Inventare, in questi casi, non significa mai improvvisare. Ci sono dei protocolli da seguire, ma la situazione era così in rapida evoluzione e drammaticamente fuori controllo che l’unica soluzione era diventata quella più banale. Chiamare tutte, ma proprio tutte le persone e tutti mezzi disponibili ad intervenire: “Verso mezzanotte ho preso il telefono e ho iniziato a chiamare tutte le forze in campo. Abbiamo chiamato squadre da tutta la provincia di Savona perché ci siamo resi conto che eravamo di fronte a qualcosa che era più grande di noi”.
E la risposta non è tardata ad arrivare: “È stata forte e decisa da parte di tutti – ricorda il volontario della protezione civile -. Non solo da parte di tutto il mondo dell’antincendio boschivo, ma anche dal punto di vista sanitario, con uomini e mezzi. È arrivata la risposta migliore possibile in quel momento. Non potevamo chiedere di più”.
Curto ricorda anche le critiche di chi, in quei giorni, si è lamentato perché i volontari non erano riusciti ad arrivare ovunque. Una critica che appare quanto meno ingenerosa, soprattutto tenendo conto che “una squadra – ricorda Curto – lavora normalmente con quattro persone, mentre ci siamo ritrovati in due pur di arrivare da tutti, mettendo a rischio la nostra incolumità e quella degli altri”.
“Nessuno si è fatto male e a fronte di un evento del genere non era scontato”
L’incendio dell’entroterra albenganese verrà ricordato in futuro per la sua vastità e per la potenza sprigionata dalle fiamme. Ma fortunatamente non passerà alla storia per aver causato vittime o feriti. Non è successo, ma non era così scontato. Non con 430 ettari di terra spazzata via dalle fiamme.
“È la cosa più bella che si possa dire alla fine di un intervento di questo genere – sottolinea Curto -. Un incendio durato quasi 10 giorni, con quella complessità e violenza, non ha prodotto feriti. Se ci spostiamo da altre parti, abbiamo visto come un temporale di un’ora possa causare due vittime. Tutto questo per far capire come ha funzionato bene il sistema in quei giorni”.
Le indagini, i sospetti e le certezze
A seguito dell’incendio, la procura di Savona ha subito aperto un fascicolo per rogo colposo a carico di ignoti. In questi casi è praticamente la prassi. Il punto è che secondo Curto “è molto difficile che questo evento rientri nella casistica di quell’1% (riferito ai fulmini o al cavo elettrico che si rompe, ndr). È stato un incendio ‘strano’, passatemi il termine, ma sarà la magistratura a fare il suo corso e a dirci cosa è successo veramente”.
Vale la pena precisare anche un altro aspetto, ovvero il fatto che “l’autocombustione in un clima mediterraneo non esiste”, e a ricordarlo ci pensa lo stesso Curto.
Ma ora che le fiamme (comprese quelle sottoterra) sono solo un brutto ricordo, bisogna fare i conti con quel che resta. Che cosa resta? La risposta potrebbe essere tanto semplice quanto agghiacciante: “Un evento di questo genere – spiega il volontario ne l corso del podcast – va a bruciare anche la terra al di sotto del primo strato, quello dove normalmente cresce l’erba. Ci troviamo di fronte ad un terreno desertificato”.
E qui c’è l’altro problema: “Senza radici e senza vegetazione – prosegue Curto -, il terreno diventa pericoloso, soprattutto quando è soggetto a forti piogge. Sostanzialmente non ha più un freno. Tutto quello che vediamo ora lì, come le stesse rocce ‘appese’, rischia di venire giù con poche gocce d’acqua”.
La soluzione secondo Curto è quella di “provvedere subito a immettere della nuova vegetazione, in questo modo potremmo essere bravi ad aiutare la natura a rimettersi in piedi. Ci vorrebbe uno sforzo da parte di tutti, penso anche alle istituzioni. Sarebbe l’inizio di una nuova visione di un post intervento”.
I timori per l’autunno che verrà: “Temperature del mare fuori norma. Un’energia che prima o poi dovrà essere scaricata”
Sono diverse le riviste scientifiche che – negli ultimi mesi – hanno riportato il dato delle temperature “anomale” del mare italiano. Si parla di 3-4 gradi sopra la media. Secondo Curto questo è un segnale che bisogna prendere sul serio: “Pochi giorni fa ne parlavo con la mia squadra e dicevo che dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo andare in strada e informare la gente, siamo di fronte ad una stagione un po’ fuori dalla nostra normalità”.
“Noi dobbiamo essere pronti ad affrontare il peggio – conclude Curto -. Poi la speranza è che madre natura ci dia una mano e ci restituisca l’energia che ci aspettiamo poco per volta. Il problema principale di oggi è che l’allerta viene interpretata come una previsione meteo, ma non c’entra nulla. L’allerta è lo strumento che ci fornisce le linee guida per prepararci in anticipo a quello che potrebbe succedere, che è cosa ben diversa rispetto al dire che domani pioverà o ci sarà il sole. Oggi la parte attiva durante le emergenze non sono solo i vigili del fuoco e i volontari, ma anche i cittadini. Perché più la gente è informata e più saprà come comportarsi e di conseguenza saranno meno i casi in cui sarà necessario intervenire”.