Il dipinto di giotto

La “vita da numero 10” di Andrea Caverzan: “Voglio essere un esempio per i giovani”

Un libro che racconta aneddoti e pensieri di un uomo che ha vissuto diverse situazioni nel mondo del calcio

Generico luglio 2022

“Tutto quello che prova un numero 10, le sue soddisfazioni e le sue emozioni, non saranno uguali a quelle di tutti gli altri. Se le terrà dentro di se senza mai divederle con nessuno, a meno che non decida, un giorno, di inventarsi scrittore..”

E così ha fatto Andrea Caverzan, ora responsabile tecnico del settore giovanile dell’Ospedaletti, l’anno scorso presente nella turbolenta annata ad Albenga.

Il suo passato tra squadre professionistiche, tra cui la Juventus, sono tutte esperienze che lo hanno segnato, nel bene e nel male. Episodi, segnali, attimi di sicurezza trasformati in incertezza col trascorrere del tempo: una carriera ricca di colpi di scena, trattati nel dettaglio con aneddoti dei quali nessuno era mai venuto a conoscenza. Poi l’area tecnica che ha coinciso con il trasferimento definitivo nella nostra regione, ma già allo Spezia aveva capito che quella sarebbe stata la sua seconda casa. “Giotto” e il suo sinistro, basta chiedere ai più appassionati tifosi bianconeri per ricevere una risposta colma di affetto, con il ricordo di qualche avvenimento particolare, ma con un finale inaspettato.

Di questo, e di tanti altre storia, ne tratta nel suo libro uscito una settimana fa. Il titolo, naturalmente, centra con il suo tratto distintivo: il numero 10. “Una vita da numero 10“.

Ciò che ha fatto scaturire in Caverzan la voglia di scrivere è una molteplice serie di motivazioni, ma ne vuole metterne in risalto una in particolare: “Quando raccontavo qualche aneddoto ai miei amici accadeva spesso che qualcuno di loro, per scherzare, mi suggerisse a scrivere un libro. Principalmente però ho deciso di farlo realmente dopo le ultime esperienze che ho avuto, anche ad Albenga dove stavo molto a contatto con i giovani, giocatori e allenatori. Ho capito che per essere più convincente nelle cose c’era bisogno di scriverle, invece che dirle a parole. Tutti criticano e accusano perché il calcio sta andando male, l’esempio lampante lo si trova nella mancata qualificazioni ai mondiali per la seconda volta consecutiva. Tutto giusto, però quasi nessuno ha delle idee per riproporre qualcosa di concreto. Quindi nel mio racconto volevo cercare di dare degli spunti ai ragazzi per trovarsi una strada”.

Arrivare ad alti livelli non è solo questione di fortuna – chiarisce – ma ci vuole una base dietro che metta nelle condizioni di esprimersi al massimo. Ho raccontato le difficoltà incontrate e come le ho superate, cercando sempre di farlo non per vendere più copie possibile, ma che fosse utile a tutti per comportarsi in un certo modo quando accadono determinati avvenimenti”.

Si percepisce una forte emozione nel ricordare le sue esperienze, positive e negative: da quando ha iniziato da bambino, alla nazionale e ai tanti episodi che, come lui stesso ammette, lo hanno anche fatto commuovere a raccontarli nuovamente.

Ma qual è la maglia del cuore di Andrea Caverzan? “Ne metterei due, una per giocare in casa e l’altra per le trasferte. Penso che tutti sappiamo del mio legame con lo Spezia che mi ha dato veramente tanto, quindi la prima è quella. L’altra, invece, è quella della Ternana dove ho vinto il mio primo campionato, con una piazza attorno che ti faceva sentire un giocatore di Serie A, nonostante fossimo in C2″.

Il suo percorso da allenatore, come detto, lo ha svolto in gran parte in Liguria. Ci sono state alcune difficoltà, condite poi anche da soddisfazioni, ma il suo mantra è sempre stato quello della crescita dei giovani. E crescevano, soprattutto sotto il profilo tecnico/tattico: un vero numero 10 con la tecnica ci va a nozze. Tuttavia, oggigiorno in pochi hanno come obiettivo quello di valorizzare i calciatori provenienti dalle giovanili, preferendo ingaggiarne da fuori magari a costi elevati.

Il discorso di Caverzan parte dall‘origine: “Intanto mi sono raccontato in quel modo per i più giovani che vogliono iniziare questo mestiere. Il mondo è diverso da quello del giocatore, io che pensavo di saperne tanto alla fine ho capito che bisogna adattarsi ad un altro contesto: ora sono completamente diverso da quando ho iniziato. Per quanto riguarda il tema della valorizzazione, credo sia importante la presenza di un nome che faccia da esempio per tutti. Il giocatore giovane vede sempre quest’ultimo come punto di riferimento, anche prima dell’allenatore. Quindi ci vuole un giusto mix che possa portare ad una crescita sempre più alta, la logica penso sia quella”.

Il nuovo percorso intrapreso qualche anno fa pare sia una ricerca di un arricchimento del proprio bagaglio, al fine di tornare in panchina ancora più preparato: “Tutte le esperienze che si fanno sono utili. Al momento ho lasciato la guida delle Prime Squadre dopo 8/9 anni perché mi sono accorto che, nel momento in cui arrivavano dei giovani, dovevo fare delle coseche avrebbero dovuto fare altri molti anni prima in un’età diversa. Ho deciso che forse era meglio a dare una mano in più per riuscire a formare un ragazzo sin da piccolo, colmando subito le mancanze senza farle portare avanti nel tempo. Quando sono arrivato ad Albenga il presidente Colla mi voleva a tutti i costi come allenatore della Prima Squadra, ma io ho preferito svolgere quel compito per 2/3 anni, in modo tale da poterla prendere più volentieri e con basi diverse, valorizzando ragazzi del posto per poi puntare ad una Serie D o a una Lega Pro. Mi dispiace non essere rimasto lì, ma tutti sanno come sono andate le cose: a febbraio ho ricevuto una telefonata nella quale mi è stato detto che non sarei stato riconfermato per l’anno prossimo, con tanto di telefono riattaccato in faccia. Pazienza, ora lavorerò su tre anni ad Ospedaletti, mi hanno riaccolto a braccia aperte“.

Roberto Baggio sarebbe un lettore eccezionale per un uomo che è stato impressionato dalla sua frequentazione ai tempi della Juventus, ma già prima il Divin Codino era nella testa di Andrea Caverzan: “Se mai riuscisse ad averlo sarebbe un grande piacere, un modo per ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per me anche se non sono mai riuscito a dirglielo personalmente. La sua figura è stata/è/rimarrà per sempre il mio idolo“.

E in comune con lui c’è quel numero di maglia, portatore di grandi responsabilità ed emozioni che solo chi lo ha indossato può comprendere a pieno: “La solitudine dei numeri…10”.

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