Magazine

Per un pensiero altro

Borghesia e sensi di colpa

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

per un pensiero altro

“Che cosa triste! Io diverrò vecchio, brutto, ignobile e questa pittura rimarrà sempre giovane (…) Oh, se potesse avvenire il contrario! Se potessi, io, restar sempre giovane e invecchiasse invece la pittura! Per questo sarei pronto a dare qualsiasi cosa, si (…) Darei la mia stessa anima!” impossibile non riconoscere la voce di Dorian Gray mentre contempla il proprio ritratto realizzato dall’amico pittore Basil Hallward. La consapevolezza della caducità della giovinezza, dell’incombere del decadimento e dell’ineludibile appropinquarsi della morte rendono metatemporale il protagonista dell’opera forse più nota di Oscar Wilde, anzi, nella prospettiva dalla quale lo osservo in queste righe, addirittura di inquietante contemporaneità. Quale epoca, infatti, celebra “l’immagine di sé” più di quella attuale? Senza richiamare la trama nei dettagli, ci sia utile appunto per il nostro procedere il fascino tenebroso che il degenerare dell’immagine ritratta esercita sul protagonista il quale, al contrario, non invecchia né manifesta alcun imbruttimento proporzionale al depravarsi delle proprie azioni. A margine appuntiamoci anche qualche non trascurabile interrogativo: perché mai un degrado di natura psichica dovrebbe tradursi in una manifestazione fisiognomica? Perché la schizofrenia del protagonista si deve necessariamente risolvere nell’orrore di un assassinio, la fidanzata, Sybil, un nome non casuale, oserei affermare? Perché tanto spavento nell’immaginare il proprio invecchiare fino a definirlo “ignobile”?

Mi tornano alla mente le parole dell’amico Gershom Freeman che, mi sembra, possono offrire un interessante scorcio sull’anima di Wilde: “L’artista borghese è il conflitto tra il disgusto verso la mediocrità borghese, il proprio desiderare e sentirsi altro mentre in fondo all’anima avverte il rischio e il terrore di essere l’oggetto del proprio disgusto”. Credo sia inevitabile riconoscere in Dorian Gray il terreno della battaglia che abitava l’imo del suo creatore, in effetti non si può tradurre in letteratura qualcosa che non ci appartiene intimamente, a livello di narrativa è forse possibile, ma se si parla di arte assolutamente no, la vera arte non la si incontra che nelle proprie più intime profondità, quelle sole che sanno raggiungere le “radici universali”. Se quanto affermato è corretto, lo stesso Wilde doveva vivere la paradossale condizione dell’artista che è consapevole del proprio essere “altro”, anomalia, eccezione, così come del proprio giudizio negativo nei confronti della moltitudine dei mediocri, quelli stessi dei quali si avverte l’aceto dell’invidia sulla pelle, gli stessi che, sempre grazie al numero che, come sappiamo, non corrisponde alla qualità, possono decretare il tuo successo rubandoti anima e identità. Ma se, come afferma Jules Renard, “L’orrore per i borghesi è un atteggiamento borghese”, risulta evidente il corto circuito che origina la figura lacerata di Dorian-Wilde il quale, mi sembra si possa riconoscerne le stimmate anche nelle ricerche freudiane, è gravato dal senso di colpa ancor prima di commetterla, anzi, è proprio la consapevolezza del proprio essere sbagliato che ne determina le azioni riprovevoli e non il contrario, quasi che il gesto potesse assumere i caratteri dell’inevitabile, addirittura con una complessa valenza rituale e catartica. In questa prospettiva sarebbe la proiezione della volontà di espiare che Dorian rovescia sul proprio ritratto a determinarne la degenerazione così da consentirgli l’azione espiatoria e suicida dell’epilogo. Ancora una volta un paradosso, già, poiché in questa prospettiva dovremmo parlare di una “coscienza di colpa inconscia” capace di generare l’auto punizione che scaraventa il protagonista tra le braccia di quella stessa morte che tanto lo terrorizzava. Un’immagine inquietante nella quale il senso di colpa è l’albero del bene e del male che affonda le radici nell’inconsapevolezza, cresce del proprio agire e fruttifica nell’angoscia, in questo modo il colpevole si rende vittima esorcizzando la responsabilità dell’agire nel momento in cui diviene l’oggetto passivo dell’espiazione. Illuminanti le righe di Wilde: “Noi siamo puniti dalle inibizioni che ci imponiamo, ogni impulso che cerchiamo di soffocare fermenta nella nostra anima e ci intossica. Il corpo pecca, ma una volta che ha peccato ha superato la sua colpa perché l’azione è una forma di purificazione”.

Come posso sfuggire alla morte? Offrendole un altro me stesso! Eccoci così di fronte al doppio, quello che Jung distingueva dall’io ridefinendolo “sé”. L’atto proiettivo genera un’immagine di sé fuori dall’io e se ce ne innamoriamo riscopriamo l’ancestrale paradigma alla base del mito di Narciso. Il fenomeno è complesso, nella sua prima fase il generare l’immagine di sé arrestando il divenire è un modo di negare la morte abdicando alla vita, negare la morte è rinunciare alla vita, rifiutare il proprio essere nel tempo eterna in una immobilità perenne che è il vero volto della morte o, se vogliamo, dell’assenza di vita. Il passaggio successivo consiste nella più intima patologia narcisistica: l’egotistico innamoramento di sé! Eppure sono convinto che vi sia un difetto pregiudiziale nell’interpretazione del mito e della omonima patologia. Non è vero che Narciso si innamori di se stesso, al contrario, e questo poiché non sa amare se stesso se non nella propria immagine che è rappresentazione e, pertanto, altro da lui, da qui l’impossibilità dell’amare ed essere amato dagli altri che non incontra se non nell’edulcorata forma di un avatar, un suo doppio. Anche nel mito lo sdoppiamento deve essere punito e Narciso, non riuscendo ad allontanarsi dalla propria immagine riflessa nelle acque, muore per consunzione. Sembra che lo sdoppiamento tra il soggetto e la sua immagine sia da condannarsi, almeno, questo è quanto ci insegnano Narciso e Dorian, eppure stiamo attraversando un’epoca tanto virtualizzata che entrambi, se vivessero ai nostri giorni, si scoprirebbero assolutamente “normali”. Perché mai affliggersi con dei sensi di colpa e punirsi per aver creato fuori di sé una proiezione pubblica perfetta, immutabile, altra dal divenire delle persone comuni? Sarebbero stati entrambi, forse ancor più Dorian, arcinoti influencer, celebrati da innumerevoli visualizzazioni, sollevati dall’obbligo e dal bisogno di amare o essere amati, abitatori della nuvola virtuale dove sono banditi i sentimenti profondi, dove risultano stretti in un abbraccio mortale anonimato e platealità, nel paese della superficialità e dell’eternazione dell’effimero, della morte come quotidiano, dell’assenza di vita come esistenza nell’istante di un like.

Credo che il filo rosso che lega il nostro discorso vada ricercato nell’aspirazione alla felicità che accompagna il viaggio dell’uomo contemporaneo dalle radici arcaiche al senso di colpa cattolico fino a raggiungere il gaudente depensamento attuale, a questo proposito  mi sembra illuminante e gravida di future riflessioni l’affermazione di Zygmunt Bauman: “Nell’antichità la felicità era una ricompensa per pochi eletti selezionati. In un momento successivo venne concepita come un diritto universale che spettava a ogni membro della specie umana. Successivamente, si trasformò in un dovere: sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale”.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

Più informazioni

Vuoi leggere IVG.it senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.