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Per un pensiero altro

In braghe di tela

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico giugno 2022

“Le società sono sempre state modellate più dal tipo dei media con cui gli uomini comunicano che dal contenuto della comunicazione” è quanto afferma Herbert Marshall McLuhan, sociologo e filosofo canadese che tanto ha lavorato sul ruolo della comunicazione all’interno del sistema e sugli effetti della stessa sul singolo individuo. In una recente “conversazione digitale” con un giovane “amico virtuale facebookiano”, il mio interlocutore mi ha riportato la citazione di apertura in risposta alla mia affermazione che l’attuale comunicazione via internet, che consente amicizie con persone che non hai mai frequentato concretamente, se da una parte offre possibilità di incontri illimitati, condiziona enormemente il lessico della conversazione, fino a collocarlo su di una nuvola meta temporale del tutto sradicata da una più umana collocazione storica.

Insomma, sostengo che le parole e le frasi senza radici nella storia rendono l’uomo che le usa apparentemente più libero e attuale ma in realtà più povero, orfano delle fondamenta nel tempo che sole sanno regalare sapore e sfumature al dire dell’uomo. Se è esatta l’affermazione dello studioso canadese penso che il mio malessere e il disorientamento che avverto nel quotidiano siano ampiamente giustificati e ancora non hanno colto la tragedia fino al suo portato più definitivo, ma provo a rimanere su un piano meno catastrofista ricordando lo scherzoso scambio di opinioni che mi ha poi fatto incontrare il pensiero di apertura.

Nelle lamentazioni del mio amico di facebook stavo raccogliendo la sua sofferenza economica dovuta alle difficoltà che stava attraversando la sua piccola attività edile in conseguenza alla sospensione dei fondi promessi dalla legge sul finanziamento del 110 %. Senza alcuna deliberazione usai l’espressione “sbarcare il lunario” alla quale il mio interlocutore rimase per qualche attimo in “silenzio scritto” per poi risolversi a chiedermi il senso della locuzione, da lì un divertito scambio legato a modi di dire che, me ne rendevo conto progressivamente, non appartengono più al lessico contemporaneo. Per chi, come il mio “amico virtuale”, non conoscesse questa frase idiomatica, preciso che il suo significato si riferisce al “lunario” (almanacco popolare che registra i mesi e i giorni dell’anno, unitamente a previsioni meteorologiche e precetti di varia natura) e alla possibilità-speranza di raggiungere il porto della fine dell’anno sbarcando positivamente se stessi e la propria famiglia. Mi divertii allora citando altre locuzioni che scoprii a lui del tutto sconosciute: sono rimasto al verde, per esempio, l’aveva sentita usare ma non ne conosceva il significato.

Successive indagini mi confermarono che anche chi sa che con quel modo di dire si intende affermare che non si hanno più soldi a disposizione, spesso non ne conosce l’origine, in effetti, pensai, è certo più nota l’espressione, “ho il conto in rosso”, ma anche a quel proposito … ma andiamo per ordine. L’espressione “sono rimasto al verde” rimanda alla particolare colorazione di candele che avevano la base verde, una volta che la candela si era sciolta fino a raggiungere la parte colorata evidentemente rimaneva ben poco da consumare, essere al verde, per analogia, indica l’aver raggiunto la fine delle proprie possibilità. In verità ho trovato il riferimento sia in relazione a grandi ceri accesi perennemente in chiesa come alle aste che il magistrato del sale teneva nella Firenze del XVI secolo, ma il senso non cambia.

Il divertimento è proseguito con l’espressione “sono in rosso” che rimanda a una condizione di perdita economica nel proprio portafoglio, il riferimento è all’antica abitudine contabile di distinguere anche con il colore le entrate, in nero, dalle uscite, in rosso e dalla successiva colorazione del risultato, se si risolverà in passivo sarà ovviamente evidenziato in rosso. Anche essere “piantato in asso” ha incuriosito e sorpreso il mio facebookamico, infatti la radice dell’espressione è ancora più antica, si riferisce all’abbandono della giovane innamorata Arianna da parte del poco elegante principe di Atene, Teseo, nel corso del viaggio verso la Grecia, abbandono che si consumò presso l’isola di Nasso, da qui il piantata in Nasso che, nel corso dei secoli e grazie alla scarsa conoscenza della mitologia greca, si è trasformato in piantata in asso.

Ma il modo di dire che risultò del tutto sconosciuto al mio simpatico amico fu “rimanere in braghe di tela”, questo per certo poiché nessuno usa più questa espressione, ma anche numerosi meno giovani non ne conoscono l’origine, magari spiegano che significa rimane senza alcuna proprietà, ma non ne sanno motivare l’origine. Il problema più grave, però, non è nemmeno l’assoluta mancanza di curiosità nella ricerca delle radici di certe espressioni, ma il progressivo impoverimento del linguaggio, l’appiattimento sul “dai, ci siamo capiti”, l’insofferenza per i termini specifici e meno usati, il “parla come mangi” che trasforma il cervello e la parola in un apparato digerente e nella sua espressione conclusiva (e tristemente non mi riferisco alla capacità di offrire nutrimento).

Non posso che tornare col pensiero all’insegnamento di Heidegger, mi riferisco in particolare al suo saggio “In cammino verso il linguaggio” nel quale, cerco di essere il più sintetico quanto esplicito possibile, si spiega che l’uomo è peculiarmente l’essere capace alla parola e che, senza poter scegliere, si è trovato in un mondo che gli si è offerto proprio acquisendo la capacità di comunicare, la realtà gli è stata offerta attraverso la sua possibilità di definirla con la parola. Ma la parola di cui dispone, in un certo senso, dispone di lui! Mentre ci appropriamo del mondo attraverso la parola la parola si appropria di noi e del mondo che siamo in grado di raccontarci, il confine del nostro orizzonte esistenziale è tracciato dall’acutezza del nostro “sguardo lessicale”, tanto più povero e privo di radici sarà il nostro vocabolario tanto più misero il nostro pensiero e la nostra possibilità di esperienza del mondo.

Mi sono accorto di non aver chiarito l’ultimo “modo di dire” citato e, per completezza, sarà bene spiegare che rimanere in braghe di tela sta a indicare la condizione di chi, a causa dei debiti accumulati o anche perché responsabile di comportamenti gravemente fraudolenti, veniva espropriato di ogni eventuale avere ancora in suo possesso compresi gli indumenti, conservandogli solo delle “braghe di tela”, capo assolutamente di scarsissimo valore. Il senso dell’espressione si è poi esteso a ogni condizione di grande sofferenza, di assenza di speranza, di sconfitta definitiva.

Che dire: forse oggi è il linguaggio comune che si trova in braghe di tela? Non voglio generalizzare, ancora è possibile leggere qualcosa di scritto decentemente anche sui social, ancora qualche commentatore televisivo costruisce correttamente un periodo ipotetico senza impiegare l’indicativo, ancora qualche politico non cita a sproposito la Costituzione o non ripete a memoria quanto indicato dalle poche menti pensanti del proprio partito senza averne indagato le ragioni profonde, ancora qualche giornalista sportivo non definisce esperienza un ingannevole tuffo in area di rigore ma come comportamento truffaldino … comunque, per non avvilirci eccessivamente, non andiamo a verificare le percentuali per non scoprire che “in braghe di tela” rischia di finirci l’intera cultura nella quale, non dimentichiamo l’insegnamento heideggeriano, siamo stati gettati e che è soprattutto linguaggio. L’uomo è l’animale che parla e la parola che abbiamo trovato come già data la stiamo trasformando per lasciarla a chi ci succederà, la parola che è “annuncio e appello”, che va amata e rispettata per consegnarla come un dono, come un’occasione, come opportunità e non come sterile zavorra.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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