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Per un pensiero altro

L’urgenza teleologica

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero Altro

“I pensatori materialisti hanno attribuito al cieco meccanismo dell’evoluzione più miracoli, improbabili coincidenze e prodigi di quanti ne abbiano mai potuto attribuire a Dio tutti i teologi del mondo”.

È quanto sostiene Isaac Bashevis Singer, scrittore polacco insignito del premio Nobel nel 1978. Non posso che essere d’accordo con il sottile autore yiddish, troppo spesso ho incontrato “sedicenti pensatori” di entrambe le scuole alle quali si riferisce Singer, in ogni caso dogmatici sacerdoti delle proprie prospettive, proviamo allora a riflettere sul concetto di caso-coincidenza-fato ricorrendo ad “un pensiero altro”, il meno possibile preconcetto, il più aperto alle possibilità altrui, anche solo questo atteggiamento mi sembra un messaggio formidabile in questi anni di frustrato manicheismo saccente e dilagante.

Mi piace aprire questa riflessione con un rimando, non convenzionale, ad un film francese degli anni ‘60: Belfagor, ovvero il fantasma del Louvre. Se non ricordo male, proprio all’inizio, uno strano personaggio afferma che le coincidenze non esistono poiché “tutto si collega”, e sostiene la propria tesi con una allegoria che provo a riportare a memoria: se vai in barca ed incontri un’isola per te quella non può essere che un’isola, ma se togli l’acqua dal mare ecco che scopri che anch’essa è collegata alla terra ferma.

Mi sembra tanto evidente il senso dell’allegoria da rendere pleonastica qualsiasi delucidazione, ma questo non può assolutamente significare che, pur accettando che ogni cosa possa essere collegata, esista necessariamente un’intelligenza precedente all’isola ed alla terra ferma che ne determini la connessione e ne occulti l’evidenza coprendola con un oceano.

Quanto appena affermato ci riconduce all’affermazione di Singer, insomma, attribuire alla volontà di un progettista oppure al calcolo probabilistico ciò che ci appare come dato fenomenico diviene la doppia faccia della medesima medaglia. Ciò che permane è l’urgenza innata in ogni essere umano di trovare un senso, una logica…un fine, in ogni evento. Stiamo parlando di prospettiva teleologica, quella che pretende di riscontrare una chiave interpretativa finalistica nella realtà. Può apparire una questione da addetti ai lavori ma non è così: la domanda ingenua del bambino che chiede all’adulto a cosa servono gli alberi, con troppa superficialità ottiene la risposta che questi servono a produrre ossigeno, se l’interlocutore ha competenze specifiche può esplicitare le dinamiche chimico fisiche della sintesi clorofilliana garantendo una solida base scientifica alle proprie affermazioni, resta il fatto che gli alberi non “servono” a produrre ossigeno ma che l’ossigeno prodotto dagli alberi “serve” alla sopravvivenza degli animali e…no, non è assolutamente la stessa cosa! C’è anche chi afferma che la grande rivoluzione galileiana abbia liberato la ricerca scientifica dal pregiudizio teleologico in quanto indaga solo le leggi che regolano la natura, sarebbe interessante sviluppare questo percorso sulle tracce delle euristiche di Herbert Simon, ma non allarghiamo eccessivamente l’ambito della nostra riflessione.

La prospettiva metafisica potremmo riconoscerla in quella “teleologia promiscua”, per dirla con Kelemen, che è all’origine di quasi tutte le mitologie: piove perché Zeus è arrabbiato, il mare si agita per le provocazioni puntute del forcale di Poseidone e via di seguito, l’esatta antitesi alla tesi sostenuta da Richard Dawkins fondata sull’egoismo del gene e sull’istinto di sopravvivenza, insomma, con i dovuti distinguo, la grande contrapposizione tra Hegel e Schopenhauer o, risalendo alle origini del pensiero filosofico, il conflitto tra Empedocle “che il mondo a caso pone” e il finalismo della fisica di Aristotele. Mi sembra regni una certa confusione tra l’approccio scientifico fondato sulla ricerca delle cause inteso come libero da preconcetti e quello finalistico che rimanda all’idea di una creazione da consegnare all’uomo: Genesi 1, 26, “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.

L’ipotesi di radice nietzscheana mi appare estremamente gravida di ricche alternative, provo a esplicitarla con una metafora: immaginiamo di trovarci in una stanza vuota con una biglia nel centro e che, a un certo punto, la biglia si muova, inevitabilmente potremo ipotizzare che la causa sia l’inclinazione del pavimento, un magnete che l’attiri dall’esterno a nostra insaputa o anche la volontà di un “genio maligno cartesiano”, ciò che accomuna le apparentemente diverse tesi è la certezza che il fenomeno sia comunque l’effetto di una causa che lo precede e questo, inevitabilmente, conduce alla ricerca di una causa prima, ingenerata e determinante. In questo modo non faremmo altro che ridurre l’evento alla sua interpretabilità precludendoci la possibilità di coglierlo per ciò che è. Nel caso risultasse criptica questa conclusione preciso: ogni evento diviene altro da sé nel momento in cui lo si incontra solo come effetto, nello specifico è lecito e doveroso per le nostre possibilità logiche leggerlo come conseguenza di una causa ma, nello stesso tempo, si rinuncia alla possibilità di conoscerlo per se stesso.

Il pregiudizio finalistico affonda le sue radici nella struttura stessa del pensiero, la peculiarità dell’essere umano, ed è un pregiudizio gnoseologico molto difficile da estirpare. Come afferma Einstein: “È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”, figuriamoci il pregiudizio di ogni pregiudizio, così condiviso da non essere riconoscibile. Ma non mi voglio inerpicare più oltre in speculazioni gnoseologiche, preferisco soffermarmi su un passo de L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.

Il romanzo data oramai quarant’anni, ma credo sia assolutamente attuale e, in ogni caso, una bella lettura, mi limiterò a riassumerne il passo che mi interessa in questa sede. Si tratta dell’incipit della storia d’amore tra Tomas e Teresa, una vicenda di profonda intensità emotiva e sensuale generata da una serie incredibile di circostanze apparentemente casuali…oppure no. Il convegno al quale partecipa Tomas protrattosi oltre l’orario previsto, un treno perso per pochi minuti, una trattoria nei pressi della stazione, proprio quella in cui quella sera Teresa sostituiva “casualmente” qualcuno, la radio che suona un particolare brano di Beethoven, il tempo necessario per condividere una piacevole conversazione dopo cena sulla panchina gialla del parco, il numero sei, il libro…troppo complesso spiegare il senso di ogni evento, basti sapere che ogni accadimento sembra inevitabilmente concorrere all’insorgere di una condivisione di spiriti, attese, sogni più o meno consapevoli che si concludono con un banale passaggio del biglietto da visita di Tomas a Teresa accompagnato da un convenzionale “Se un giorno dovesse passare da Praga…”. Di fatto questo accade, Teresa è sulla porta di casa di Tomas. ma lui non è tipo da storie romantiche o da matrimonio, quella presenza è solo un intralcio, pensa a come liberarsi di lei quando, il caso probabilmente, a Teresa borbotta lo stomaco. Quel suono innesca in Tomas una reazione, la invita ad entrare e quello è l’inizio della loro storia. Tutto si lega, certo, ma ciò significa che un progettista ha organizzato la catena di avvenimenti o che il caso l’ha fatta da padrone decidendo la conclusione? Quella storia è importante per la rilevanza del progettista, non vale nulla perché figlia di casuali coincidenze e di un imbarazzante borbottio? Oppure possiamo affermare che ciò la rende meravigliosa è il coraggio di amarsi che, non importa come o perché, Tomas e Teresa si regalano reciprocamente?

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.

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