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Per un pensiero altro

Béltiston mé phynai

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico aprile 2022

“Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto” La sintesi dell’affermazione di Sileno funge da titolo a questi pensieri: la cosa migliore è non nascere. Nelle sentenze memorabili datate tra il VII e il VI secolo a. C. si narra che il re Mida, il più ricco e potente sovrano dell’epoca, insomma, una persona che nella prospettiva contemporanea non poteva che essere felice, dopo aver inseguito a lungo il saggio e sapiente Sileno, celebrato precettore di Dioniso, riuscì a rivolgergli la domanda cruciale, cioè quale fosse per l’uomo la cosa migliore e questo per sentirsi rispondere come riportato nell’incipit. La tragica concezione appena accennata funge da pietra angolare nel pensiero arcaico greco, come lucidamente espresso da Nietzsche in La nascita della tragedia dallo spirito della musica, e si fonda sull’esistenza del nulla come condizione di assenza di dolore per chi invece esiste. Una simile problematica affermazione può essere più esplicita se accompagnata dai corollari di Lucrezio: “Non può nascere nulla dal nulla”, e di Emanuele Severino: “Nascere vuole dire uscire dal niente; morire vuol dire tornare nel niente: il vivente è ciò che esce dal niente e torna nel niente”, non molto distante dall’altrettanto terribile “polvere eri e polvere tornerai” (in Severino l’affermazione andrebbe contestualizzata nella complessità del suo pensiero ma non è questa la sede). In chiusa di preambolo, come non ripensare alle caustiche parole di Leopardi nella sua terribile e meravigliosa Ginestra in aperta polemica con “le magnifiche sorti e progressive” celebrate da Terenzo Mamiani?

Possiamo ora riflettere su quanto l’effimera esistenza dell’uomo sia tragica per sua essenza o lo diventi per l’azione di eventi o volontà esterne alla stessa, oppure interrogarci su quanto indipendente da noi sia il venire al mondo, o ancora sulle ragioni che spingono l’umanità a perpetrasi, ma preliminarmente mi piace soffermarmi sul concetto di Nulla. Come conciliare il pensiero di Severino e quello di Lucrezio? Ben sappiamo che sono espressione di due diverse prospettive filosofiche ed esistenziali poiché se nulla può originarsi dal nulla il tutto deve esistere da sempre mentre “uscire dal niente” presuppone un’azione di presa di coscienza e di responsabilità da parte del soggetto che opera la scelta, in questa sede è impensabile poter disquisire se l’attore sia il divino o l’umano. Resta centrale una domanda: può esistere il nulla? La questione è certamente fondazionale nella filosofia parmenidea. Il pensatore di Elea afferma che l’essere è e non può non essere, ne consegue necessariamente che il nulla, il non essere, non è. Forse anticipando l’atteggiamento di troppi intellettuali che sovrappongono la propria struttura logica, la propria personale prospettiva a quello che assicurano essere la verità, anche Parmenide contrappone la doxa, l’opinione di chi non la pensa come lui, alla verità, che gli viene mostrata dopo un lungo percorso sul carro delle Eliadi. Gli va, però, riconosciuta assolutamente la capacità logico argomentativa con la quale sostiene la sua tesi-verità: fondato implicitamente sul principio di non contraddizione il suo percorso è inconfutabile, se l’essere è non può non essere, pertanto è assurdo affermare che il non essere sia. Platone nel suo dialogo omonimo attaccherà le affermazioni parmenidee, ma noi limitiamoci solo a “un pensiero altro” sul concetto tragico di nulla. 

Nello splendido romanzo di Michael Ende “La storia infinita” il giovane Atreyu rivolge la domanda al terribile Gmork, ne riporto poche battute.
A:        Ma cos’è questo nulla?
G:       È il vuoto che ci circonda. La gente ha rinunciato a sognare e io ho fatto in modo che il nulla dilaghi.
A:        Ma perché?
G:       Perché è più facile dominare chi non crede in niente.

La prospettiva è di nuovo cambiata, il nulla esiste ed è generato dall’azione delle persone, le stesse che, credendo in qualcosa, allontanavano la terribile tragedia del nulla. In questa ottica la responsabilità dell’esser-ci, come scriverebbe Heidegger, così come del suo opposto, sono da ascrivere all’uomo che prende consapevolezza di sé, della propria caducità, fragilità, precarietà, ma anche della sua capacità di sognare, del suo coraggio di amare, della sua volontà di essere solidale. Mi tornano alla memoria le parole di Gesualdo Bufalino: “Se una lezione ho imparato riguardo a questa cosa strana che è la vita, è che conviene viverla come se … come se fossero reali tutte le larve che ci siamo inventate (amore, amicizia, gloria, Dio …), di cui  si maschera il niente”. Ma allora il nulla esiste, si maschera, dilaga, ci può rendere infelici e facilmente dominati. Certo Parmenide dissentirebbe, ma credo che sia importante precisare che il nulla non è pensabile solo nel momento in cui sia già posto un soggetto capace e cosciente di pensare, anche questa posizione aporetica dovrebbe far riflettere, il nulla esiste se un uomo si pone l’interrogativo intorno alla sua esistenza, ma la presenza stessa dell’uomo pensante ne è la negazione.

Ci troviamo di nuovo al principio del nostro cammino dopo un breve eppure secolare percorso circolare e non possiamo affermare di aver raggiunto una risposta conclusiva, infatti siamo esseri divenienti, meravigliosamente capaci al cambiamento e l’orizzonte delle risposte si muove alla velocità del nostro pensiero la cui profondità può rallentare l’incedere ma quanto arricchisce il viaggio. Certo Sileno affermerebbe il vero se la condizione del non soffrire fosse la più desiderabile, ma cancellando la stessa possibilità di desiderio, ennesima aporia, allora sarebbe opportuno consentirsi, una volta raggiunta questa radura del pensiero, di imboccare un nuovo sentiero nella foresta della vita, magari domandandoci le ragioni delle sofferenze. Una volta preso in carico che inevitabilmente siamo in cammino verso la morte e che, nel corso del viaggio, incontreremo fatiche e dolori come gioie e bellezza, non è nostro compito cercare di vivere il maggior numero di momenti di felicità impegnandoci a regalarne e condividerne con gli altri il più possibile? È pur vero che risulta difficile comprendere la cattiveria, la guerra, la crudeltà e quanti altri “assurdi” generati dall’uomo, ma smettiamola di affermare che se esiste Auschwitz non esiste Dio, non possiamo abdicare a noi stessi in questo modo, se è esistita Auschwitz e ancora c’è chi promuove la violenza dell’uomo sull’uomo, chi celebra il potere negando la meraviglia dell’essere umano, chi agisce nel nome dell’odio, l’unico responsabile è l’uomo, lo stesso che crede o non crede in Dio, lo stesso che si pone o non si pone il problema dell’essere e del nulla, sempre quell’uomo che riesce a risollevarsi una volta caduto ed è già pronto a dare aiuto a chi è caduto al suo fianco. Ostiniamoci a credere nell’uomo perché, ancora una volta, l’unica vera risposta è “nell’animale che ha il coraggio di porsi delle domande”.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.

Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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