Magazine

Per un pensiero altro

Mascheramento e verità

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico marzo 2022

In un momento così tragico come quello che sta attraversando l’Ucraina e con lei il pianeta ho preferito non affrontare la questione in questa sede per conservare il nostro appuntamento con un pensiero “altro” nelle sue forme filosofiche che vogliono essere non contingenti, altrove ci occuperemo della tragedia in corso senza rinunciare da subito a un accorato appello per il ripudio della guerra e della violenza in ogni sua forma e a esprimere la più incondizionata solidarietà al popolo ucraino.

“Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale, interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà” Credo sia uno dei passi più noti di F. W. Nietzsche ma, soprattutto, quello che più facilmente si può riconoscere come valido oltre il dove ed il quando del divenire. Se è vero quanto affermato, il “senso tragico” dell’esistenza descritto dal filosofo diviene terribile esperienza quotidiana per chiunque. Il tema del mascheramento era già stato affrontato nel saggio “Su verità e menzogna in senso extramorale” con una connotazione meno personale, a mio avviso, riferendolo alla condizione dell’essere umano che è indotto dalla propria fragilità, a ricorrere alla finzione come arma di difesa. Finzione che si trasforma in generale e condiviso autoinganno per permettere alla specie la sopravvivenza minacciata dall’incommensurabilità dell’essere e dalla stupida ferocia dell’homo homini lupus. Interessante però sottolineare che il mascheramento più che a nascondere tende a rivelare, come affermerà Jung, quegli aspetti altrimenti inesprimibili anche se, mi permetto di chiosare, il meccanismo prodotto da una simile strategia rischia di sclerotizzare il volto e la personalità che lo invera in una perenne espressione di una parte di sé così da ritornare ad assumere connotazioni, se non ingannevoli, quantomeno falsificanti.

Mi sembra utile osservare il fenomeno della maschera in una prospettiva sociologica in riferimento al ricorso della stessa in contesti rituali ricercandone le radici grazie a studi antropologici. Tutti conoscono il travestimento di Halloween così come quello del Carnevale anche se le tradizionali maschere regionali hanno lasciato il posto a personaggi dello spettacolo, dei cartoni e della politica; per un affascinante riflessione su “il mondo alla rovescia” che si manifesta nella ricorrenza tradizionale rimando al bellissimo saggio di Michail Bachtin “L’opera di Rabelais e la cultura popolare”, in questa sede vorrei occuparmi di una figura oramai scomparsa ma che forse qualche nonno, oltre agli studiosi del genere, ancora ricordano: la Giubiana. L’etimo del nome rimanda a divinità pagane ma è sopravvissuto anche all’invasione della cultura cristiana che ha cercato di eliminarne ogni traccia, si sa, le radici contadine sono conservatrici. Certo molto più successo, in tal senso, ha riscosso la cultura di massa del XX secolo, ma nonostante tutto la vecchia, cioè la Gibiana, è sopravvissuta un po’ nella Befana, un po’ nelle streghe, un po’ nella memoria della Grande Madre. La tradizione in breve: l’ultimo giovedì di Febbraio tutta la comunità si radunava in piazza portando le stoppie dell’anno trascorso e tutto quanto, purché combustibile, appartenesse a quel periodo, con il materiale raccolto si dava forma ad una sagoma femminile, la vecchia appunto, simbolo di quanto era desiderio cancellare dell’anno appena concluso. Era lecito ed opportuno per i partecipanti accusare la vecchia di ogni negatività trascorsa per poi esorcizzarla dandole fuoco, le ceneri del negativo sarebbero divenute concime utile e proficuo per il raccolto dell’anno a venire. Con l’occasione tutti si concedevano al ballo intorno al fuoco, il “vin brulè”, vino caldo addolcito e aromatizzato, scaldava corpo e cuore, le pulsioni più naturali muovevano sensi ed appetiti, le censure si scioglievano alla luce del falò, il mondo diveniva il paese della libertà e delle speranze nel domani oltretutto, grazie alla possibilità di mascherarsi, consentiva a chiunque di dire e fare ciò che aveva bramato per tutto l’anno ma che convenzioni, ruoli e censure, gli avevano sempre precluso. Non credo sia necessario entrare nel dettaglio descrivendo lo sviluppo della festa, basti sottolineare che gli studiosi ne riconoscono le caratteristiche peculiari delle celebrazioni dionisiache, anche se arricchite dal risotto giallo con la luganega decisamente poco ellenici e peculiarmente legati al nord Italia contadino, non c’è spazio per dettagliare la tradizione, ci basti il poco accennato per una riflessione.

La maschera, come detto, consentiva il rovesciamento dei ruoli poiché proteggeva da eventuali rivalse nei giorni a seguire o malevoli giudizi, così le donne approcciavano gli uomini, i servi ordinavano ai padroni, i sottomessi si ribellavano ai potenti, insomma, era l’occasione per disintegrare la struttura di potere del sistema riportando la natura dell’uomo al centro della cerimonia che, proprio per questa ragione, disintegrando le regole imprescindibili in un sistema di controllo, permetteva la riconquista della libertà e l’espressione disvelata delle radici più profonde che abitano e costituiscono ogni essere umano tanto da trasformare una celebrazione convenzionale in una festa collettiva. Esattamente quello che, per un certo periodo, ha provato ad essere il Carnevale fino a che il meccanismo del mercato lo ha trasformato in opportunità di guadagno. Quello che ci rivelano la festa della Gibiana e, di conseguenza, il Carnevale e, almeno in parte, Halloween, è l’urgenza di nascondere il volto quotidiano, quello convenzionale, adeguato al sistema, in una parola, falso, per rivelare le istanze ctonie e intime di ogni persona. Oltre alla funzione apotropaica e rituale del falò e della concimazione del terreno con la cenere, credo che l’aspetto più rilevante ci riporti nuovamente al pensiero nietzscheano: è la fragilità, la paura di ogni singolo che induce l’uomo a riunirsi in gruppo, a fare sistema, ma la presunta sicurezza comporta un prezzo assai elevato, la rinuncia alla propria libertà e, a mio avviso aspetto ancor più grave, alla propria identità, anche se credo che siano due facce della stessa medaglia. Può mai essere libero un uomo che non può essere se stesso? Può mai essere se stesso un uomo che non può essere libero? È anche vero che l’assuefazione è una delle armi più efficaci messe in atto dalla natura per garantire la sopravvivenza della specie, ma se accettiamo di formalizzare l’abitudine alla rinuncia a se stessi, stiamo simultaneamente celebrando il funerale dell’umanità: sopravvivere non è vivere e non inganniamoci raccontandoci che si tratta solo di un sorta di epochè in attesa della rinascita. Una volta accettato il ruolo di suddito è impossibile pensarsi come uomo libero, rinnegata in quel modo la propria vera natura sempre più improbabile sarà la possibilità di poterla ritrovare ed esprimere. Insomma, perché consentirsi a saltuarie e ritualizzate occasioni di vita vera se la nostra natura reclama il cielo ad ogni sguardo?

Lo so, il pericolo è di minare alle fondamenta il sistema così a lungo edificato, ma è come se si accettasse di non evadere da un lager o meglio ancora smantellarlo per paura che quel giorno possa piovere e sia possibile non trovare un riparo. Davvero non siamo in grado di fare di meglio? So anche che troppo spesso l’umanità si è costruita il baratro rischiando di precipitarvi, ma ancora una volta la cura si è rivelata peggiore della malattia. Non posso non rammentare che la paura uccide la vita e che il vero abisso è quello che ci abita, e allora “Era questa la vita? Orsù! Di nuovo”

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.

Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
Clicca qui per leggere tutti gli articoli

Più informazioni

Vuoi leggere IVG.it senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.