Alassio. Lui è Antonio Perri, un sessantenne alassino che vive nella frazione di Caso, che è partito martedì 1° marzo alle sei del mattino per portare in Italia Irene, figlia della compagna del fratello. Insieme a lei c’erano le sue due figlie, di quattro mesi e di un anno e mezzo. Per compiere questa “missione”, Antonio ha affrontato un lunghissimo viaggio, della durata di oltre 15 ore sia all’andata che al ritorno.
Nel racconto ai microfoni di IVG.it ripercorre il suo lungo viaggio per portarli in sicurezza in Italia: “Dopo tantissime ore di guida siamo arrivati nel luogo dell’appuntamento – spiega Antonio – al confine tra Ungheria e Ucraina, un luogo sperduto in montagna, un posto meno frequentato e con un minor flusso di profughi rispetto a quelli che ci sono invece al confine con la Polonia. Una delle 25 dogane da cui si può uscire dall’Ucraina. Irene e i piccoli hanno affrontato 8 ore di auto per arrivare dalla periferia di Kiev fino alla frontiera. Una volta arrivati noi li abbiamo visti e lei si è finalmente tranquillizzata. I doganieri sono stati molto gentili e ci hanno fatto allontanare di due chilometri, poi una navetta portava in un piazzale nel quale smistavano i profughi in partenza per i Paesi europei. In quel piazzale ho visto almeno sei mamme con figli piccoli che aspettavano di poter partire per l’Italia. Ad accompagnare Irene, sua suocera e un amico, perché suo marito era rimasto in Ucraina per fare la guerra, come tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni”.
“E’ stato un momento importante e commovente, perché finalmente ci siamo potuti abbracciare dopo ben 1.600 chilometri di viaggio dall’Italia fino a quella frontiera. Abbiamo così ripreso in senso inverso lo stesso tragitto dell’andata dove avevamo attraversato il nord Italia fino a Gorizia e poi attraversato la Slovenia per arrivare fino al confine tra Ungheria e Ucraina. Nel viaggio di ritorno mi sono fermato molte volte, per riposare e prendere un caffè o fumare una sigaretta, mentre i bambini dormivano. Negli autogrill era un delirio, tanti pullman targati Romania, Polonia, Ungheria, pieni di profughi. Tanta gente umile, povera gente di campagna, donne con scarponi e mani piene di tagli del duro lavoro in campagna, gente semplice, ragazzini sui 13/14 anni, famiglie che avranno investito tutto quello che avevano per poter scappare dalla guerra. Ho visto tante scene difficili da dimenticare. Mamme con neonati, donne anziane, bambini”.
“Ho affrontato questo viaggio con il cuore. Mio fratello era preoccupato perché la figlia della sua compagna in Ungheria non era al sicuro e tanta era la paura per questa terribile guerra e così sono partito. Non sono un eroe, l’ho fatto davvero con il cuore, sapendo che era un viaggio duro e complicato, ma ora finalmente siamo tutti a casa. Ora Irene è stanca del lungo viaggio ed è ancora sotto choc. Non parla italiano, ma francese, deve riposare, ma è finalmente al sicuro con i bambini, anche se è forte la sua preoccupazione per il marito rimasto in Ucraina per combattere” conclude Antonio.