Inchiesta

Il consulente di Tirreno Power: “Inaffidabile la metodologia adottata dai tecnici incaricati dalla Procura”

Il consulente dell'azienda ha messo in discussione la metodologia adottata nelle ricerche realizzati dai consulenti della Procura

Tirreno Power

Savona. “Non è stata fatta un’adeguata analisi di sensitività (come cambia l’output al variare degli input) per garantire che la scelta fatta fosse la migliore e non solo una tra le tante possibili”. E’ quello che emerso dalla deposizione dell’ingegnere Renato Rota, professore di ingegneria chimica al politecnico di Milano e consulente di Tirreno Power, con la quale confuta le tesi dei consulenti della Procura nell’ambito del processo a carico di Tirreno Power per il quale sono imputati 26 persone, tra vertici e dirigenti dell’azienda, rinviati a giudizio per disastro ambientale e sanitario colposo.

Tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili“. La citazione dello statistico George Box è la premessa del discorso esposto in aula stamattina dal consulente dell’azienda che ha criticato le scelte fatte degli esperti incaricati dal pubblico ministero: la suddivisione delle aree di ricaduta degli inquinanti, la considerazione delle sorgenti, la modalità di scelta del modello adottato.

“Un modello matematico è per definizione un’approsimazione della realtà, ma alcuni sono utili a raggiungere l’obiettivo che si pone l’indagine“, spiega il consulente. Ma come si può fare a capire se un modello è utile in una certa situazione? “Confronto cosa emerge dai diversi modelli rispetto alla realtà e capisco quale sia il migliore”. E senza dati sperimentali? “Faccio fatica a scegliere quello migliore – aggiunge -. Ma posso verificare se cambiando le scelte il risultato finale cambia ed eventualmente in quale misura. Qualora la differenza tra i risultati è notevole il problema è di quale modello fidarsi”.

“E’ stato valutato l’impatto dei porti ma sono state trascurate altre sorgenti. A questo proposito l’ingegnere incaricato da Tirreno Power rileva criticità anche sul fronte delle mappe di diffusione delle sostanze inquinanti: “I fumi che escono dalla centrale si spargono su un territorio orograficamente complesso con monti davanti che influiscono sulla dispersione delle sostanze”, aggiunge. A questo proposito spiega: “L’alta affidabilità delle mappe è importante in una situazione nella quale i due valori soglia non sono molto distanti l’uno dall’altro (0,745 e 0,41)”.

“Per costruire le mappe di distrubuzione dell’inquinante SO2 i consulenti tecnici hanno deciso di non escludere la Val Bormida perché si trovano altre fonti di inquinamento e nel dividere il territorio non considerano quell’area ma hanno considerato la zona in mare dove non si trova popolazione ma cambiando le zone cambia l’esposizione. Io non so quale sia la mappa più aderente alla realtà ma non è possibile escludere a priori che diverse scelte portino a mappe di esposizione significativamente differenti“, ha concluso il consulente.

Il commento di Tirreno Power

“I valori di biossido di zolfo utilizzati per disegnare le mappe sono così bassi che semplicemente modificando un parametro, o il software di calcolo, si modificano sostanzialmente le aree in cui risiedono gli abitanti più o meno esposti alle ipotetiche ricadute. Inoltre nessuno ha mai indicato quale sia la sostanza responsabile del presunto danno sanitario e non c’è dunque la possibilità di verificare se questa fosse o meno presente nelle diverse aree della mappa e quindi confermare l’ipotesi del modello di calcolo. Il professor Rota ha poi evidenziato che nella creazione delle mappe di ricaduta non sono state considerate fonti come il traffico, il riscaldamento e le altre fonti industriali. Ha proiettato alcune mappe utilizzando dati ufficiali dell’Arpal dalle quali è risultato che le ricadute degli inquinanti provenienti da queste fonti sono fortemente presenti proprio in alcune delle aree considerate di maggiore esposizione”, hanno commentato da Tirreno Power ha conclusione dell’udienza.

Dopo ha deposto Stefano Loppi, professore di botanica ambientale applicata all’università di Siena, esperto di licheni e biomonitoraggio: “Loppi – proseguono dall’azienda – ha dimostrato che non ci sono elementi che facciano ipotizzare che la centrale sia stata la sola o anche la principale responsabile della rarefazione lichenica. In aula ha analizzato il lavoro di monitoraggio lichenico rilevando numerosi errori nell’applicazione di protocolli e rilevanti approssimazioni metodologiche. Inappropriata ad esempio la rete di monitoraggio per dimensione e concentrazione dei campioni. Una rete realizzata con licheni che vivono normalmente a 1.700 metri di quota e che invece sono stati impiantati in area marina del tutto diversa dal loro ambiente naturale. Ignorato nelle analisi dei consulenti dell’accusa l’incendio di Natale del 2011 che per giorni ha coinvolto un’ampia superficie influenzando le rilevazioni di numerose stazioni in cui erano stati deposti i licheni per il monitoraggio. E’ stata poi illustrata una mappa che confronta la piovosità sul territorio con quella delle presunte ricadute della centrale. Le due mappe sono ampiamente sovrapponibili confermando che i licheni montani selezionati crescono meglio dove piove di più ed è più fresco e meno dove la pioggia scarseggia e fa più caldo, indipendentemente dalle ricadute dell’impianto”.

La reazione dell’associazione Uniti per la Salute

“Per quanto riguarda l’udienza odierna, le obiezioni esposte oggi in aula a nostro avviso sono apparse francamente generiche e obiettivamente inconsistenti. Basti quanto emerso nel controesame del Pubblico Ministero in cui si è ammesso come l’oscuro modello di diffusione delle emissioni proposto dal consulente delle difese non è affatto preferibile a quello invece utilizzato dai CTU del PM, che è stato elaborato dal Dipartimento di Fisica dell’Atmosfera dell’Università di Genova”, ha commentato l’associazione Uniti per la Salute.

“Sempre il consulente della difesa ha poi indicato come possibile fonte emissiva alternativa (alla centrale) quella del porto, senza considerare che i CTU dell’accusa hanno svolto uno specifico approfondimento sul tema. Ma soprattutto è opportuno evidenziare che lo stesso consulente della difesa, dopo aver disquisito per oltre un’ora di “logica generale” delle mappe di esposizione in funzione dell’epidemiologia  e di presunta inidoneità dei modelli ambientali applicati dai CTU del PM all’indagine epidemiologica, ha ammesso di non avere al suo attivo neppure uno studio di modellistica ambientale applicata all’epidemiologia, cioè proprio il tema di cui ha trattato nella sua audizione di oggi”, hanno concluso.

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