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Per un pensiero altro

Ci svegliammo e…

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero altro 16 febbraio 2022

“Ci svegliammo / ed eravamo insieme / così ci riaddormentammo / fronte contro fronte / per incontrarci in sogno”. Lo so, la poesia non andrebbe mai spiegata, trasposta in prosa e nemmeno tradotta, insomma, riscritta: se l’autore l’ha creata ricorrendo a quella particolare metrica o ricercando sonorità e assonanze come echi di un altrove che lo ha visitato, se ha fatto ricorso ad allegorie o altre strategie retoriche che ha scelto per dare voce, con amore e profondo rispetto, alla sinfonia che respirava misteriosamente intorno a sé, se gli spazi bianchi hanno chiesto esattamente quei silenzi e non altri, ebbene, ciò significa che ogni rivisitazione, ogni tentativo di “spiegazione” inevitabilmente stanno esprimendo “altro” rispetto a quell’istante di assoluto che il poeta ha inteso fermare sulla pagina. Mi si perdoni comunque il tentativo, è che abbiamo ancora una volta festeggiato, o visto festeggiare, nel giorno di San Valentino, la festa degli innamorati, come esimersi da una riflessione sull’amore specie se è possibile realizzarla ricorrendo a pochi e così intensi ed evocativi versi. Sperando di essere stato perdonato a priori per questo mio tentativo mi accingo all’impresa.

Chi individuare come protagonisti dell’istante eterno sussurrato dal poeta? Il loro sesso non è importante, né il colore della pelle o l’età, nemmeno dove e quando ha avuto realizzazione la magia che hanno vissuto, se in un rapporto ufficializzato e formalizzato dalle istituzioni o in un incontro occasionale e fugace, no, ciò che conta è solo l’intensità dell’emozione e l’assoluta libertà alla quale hanno avuto accesso con un atto di totale “donazione di sé all’altro per scoprire di avere avuto in cambio l’assoluto”. Ebbene, i due, almeno, così credo accada nella maggior parte dei casi, ma nemmeno il numero è rilevante in una situazione tanto “oltre i confini del convenzionale”, insomma “i fortunati” si svegliano, questo lascia presumere quanto è stato tra loro condiviso prima di consegnarsi al sonno. Già il dormire assieme è un atto di fiducia: come sono quando non mi osservo e magari sono osservato? Sarò ancora in sua compagnia al risveglio? Ma loro si svegliano e sono insieme. Non si tratta di una notazione logistica, l’essere insieme rimanda ad una precedente intimità che permane. L’intimità fisica è stata l’ingresso per una comunione più profonda, il reciproco accesso ai giardini privati l’uno dell’altro così da generare ad ogni passo nuovi itinerari e poi, tenendosi per mano, lasciarsi accogliere dal sonno tra le aiuole appena realizzate insieme. Ed ora il risveglio, accolti dal profumo che li aveva accompagnati nel sonno. Si guardano, si respirano e non pronunciano parola, accostano le loro fronti, le appoggiano l’una sull’altra e si lasciano di nuovo condurre nel sogno ben consapevoli che lì si sarebbero incontrati e di nuovo uniti in un’intimità definitiva.

Perché nessuno dei due ha pronunciato la frase più bella ed abusata: ti amo? Paura? Pudore? No: nel momento in cui si pronuncia il fatidico “ti amo” l’istante meraviglioso colto dal poeta scompare, lo so, può sembrare contraddittorio, eppure è proprio così. L’espressione genera un percorso di allontanamento, abbandono ed irreversibile rinuncia all’attimo di eternità descritto dal poeta. Già il fatto che faccia la sua comparsa un “io” che afferma di amare un “te”, frantuma l’intimità nella quale il tutto era la magia di un “noi”, meglio ancora, di un “altro noi che è io”. Il soggetto si appropria individualmente di un’azione che viene vissuta singolarmente rendendo l’altro “oggetto d’amore”, certo, accadimento meraviglioso, ma che definisce l’uno soggetto e l’altro occasione di emozione. Il termine al quale si fa ricorso, poi, è, come tutte le parole, certo, ma soprattutto per quelle che non indicano un fenomeno fisico come un pioppo o un cardellino, un suono convenzionale che non afferma nulla fino a che non lo si invera intridendolo del proprio contenuto. Provo ad esplicitare: se affermo “ho visto un pioppo”, frase apparentemente semplice ed assolutamente non fraintendibile, sarà differente il messaggio nel momento in cui raggiunge il mio interlocutore. Se questi è un tuareg che non ha mai abbandonato il deserto il mio dire sarà praticamente privo di senso; se si tratta di un botanico ecco evocargli il populus linnaeus della famiglia delle Salicaceae in più di venti tipologie; se invece sto rivolgendomi ad un filologo il suo pensiero andrà al ploppus del latino medioevale per poi disperdersi tra le diverse versioni europee: plepi, chopo, pluppos e così via; se poi mi sono rivolto ad un contadino padano probabilmente il mio dire lo lascerà abbastanza indifferente vista la frequenza di un simile avvenimento nel suo quotidiano. Mi sembra evidente che un elemento comune al soggetto e a tutti i potenziali interlocutori rimanga un pioppo, ma per certo la comunicazione è ben lontana da individuarlo con precisione: ce ne faremo velocemente una ragione, in fondo non ci coinvolge così tanto l’individuazione di quel pioppo che stavamo pensando. Ma se si tratta del sentimento più potente e meraviglioso di cui l’essere umano è capace?

Non starò a distinguere cosa percepirà il mio interlocutore sentendosi dire che lo amo al suo essere tuareg o contadino padano o filologo o altro, credo sia importante sottolineare, preliminarmente, che il verbo amare è come un sacco vuoto, non esprime nulla fino a che non lo riempio di significato. Credo sia capitato a tutti di sentir dire a qualcuno “amo quella persona” nei confronti della quale tenevano un comportamento che noi non avremmo mai considerato una manifestazione di quel sentimento. Mi torna alla memoria la frase di una carissima amica che era stata picchiata dal fidanzato e, ancora piangendo, mi confidava che “lui fa così perché è geloso, insomma, perché mi ama”. Non la sento da molti anni ma spero che il suo compagno non l’abbia amata eccessivamente, ma torniamo ai fortunati del nostro argomentare. Credo ci si stia avvicinando a chiarire le ragioni del loro silenzio: se avessero pronunciato la parola amore ecco che immediatamente il sacco si sarebbe riempito dei loro personali significati, dei loro ricordi di amore o di assenza di amore, di gesti già vissuti e di altri attesi, di profumi e carezze e piaceri. Anche il fare l’amore per ogni soggetto è molto differente, a seconda dell’essere maschio o femmina, infatti già solo l’anatomia suggerisce sensi e significati diversi alla parola, per non parlare delle reazioni tattili, o delle percezioni olfattive e potrei proseguire in infinite variabili di gusti e fantasie ma credo di essere stato compreso. Figuriamoci quando amare non è solo fare l’amore, allora il sacco si arricchisce di infinite e intimissime sfumature. Potranno mai essere condivise dai due attori del breve dialogo? Quando l’uno afferma “ti amo” sta pensando al proprio sacco che vuole donare a chi, inevitabilmente si aspetta il contenuto del proprio e che, dichiarando convinto “anch’io ti amo” sta ulteriormente allontanando i due amanti. Eppure entrambi hanno la necessità e la certezza di convincersi di essersi capiti e non vogliono assolutamente ipotizzare che “l’altro sia un altro”, proprietario e produttore di “un sacco” diverso. Non è forse anche questo un modo per auto ingannarsi? Pretendere di sapere l’altro tanto da aver già condiviso i suoi infiniti “sacchi” e, ancor più assurdamente, di aver fermato il fluire della sua vita nell’istantanea dell’incontro?

Non ci resta che il silenzio e “riaddormentarci fronte contro fronte per incontrarci in sogno” e così regalare al mondo la magia di cui l’essere umano è capace: amare.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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