Allarme

Peste suina, boschi off limits. Parco Beigua: “Rischio collasso, servono deroghe e indennizzi”

Il presidente del Parco Buschiazzo: "Anche senza la presenza dell'uomo nei boschi il virus è destinato ad espandersi. Gli animali selvatici si spostano e non rispettano le ordinanze"

Alta Via sentieri outdoor

Albisola/Varazze/Sassello/Urbe. “L’ordinanza sulla peste suina rischia di essere per le attività legate al turismo outdoor del comprensorio e del Parco del Beigua il terzo lockdown in tre anni. Il rischio è veramente il collasso. Il virus ormai è presente, applicheremo e rispetteremo l’ordinanza, ma è un ‘pannicello caldo’. Gli animali selvatici (volpi, tassi, lupi, corvi) si spostano, soprattutto i lupi che possono percorrere centinaia di chilometri dopo aver mangiato una carcassa. Molti altri animali selvatici entrano a contatto con il virus e anche loro possono trasportarlo”.

E’ questa la posizione dell’Ente Parco del Beigua sulla decisione del governo di vietare le attività nei boschi.

Gli enti parco sono tra le realtà che più da vicino gestiscono e osservano la vita dell’entroterra. Nelle ultime ore si sono trovati davanti a una sorta di tsunami. Una misura di questo genere azzoppa attività che hanno impiegato anni a radicarsi e che finalmente stavano decollando.

“Non vorrei essere pessimista ma temo che la limitazione di un’area alle attività umane, tenendo conto anche delle poche risorse a disposizione dei forestali e delle Asl, non basterà a fermare il virus ma in compenso ammazzerà un’economia, quella legata al turismo all’aria aperta, che ha già dovuto subire due lockdown” afferma il presidente del parco del Beigua Daniele Buschiazzo.

La preoccupazione è che il vettore del virus possano essere gli animali: “Anche senza la presenza dell’uomo nei boschi, il virus è destinato ad espandersi. Anzi forse lo farà in maniera ancor più incontrollata, venendo a mancare quel controllo che i fruitori dei boschi fanno, a integrazione di quello istituzionale, poiché Carabinieri Forestali e Servizi veterinari sono altamente sotto organico e non riescono a trovare tempestivamente le carcasse. Come detto, rispettiamo l’ordinanza, ma riteniamo che non sortirà gli effetti sperati, perché volpi e lupi non rispettano le ordinanze e i boschi abbandonati dal monitoraggio dell’uomo rischiano di prolungare e allargare l’emergenza”.

“L’azione più efficace da mettere in campo è aumentare il livello di sicurezza negli allevamenti. Ci sono trentamila persone che lavorano nel comparto suinicolo in Lombardia ed Emilia e vanno tutelate perché rappresentano un’importante fetta di PIL in Italia. Di questa tutela però non devono pagarne il prezzo le professioni, le attività e le aziende legate al turismo di questo territorio, perché la Liguria non è solo mare e c’è, grazie a Dio, chi vive di turismo anche nell’entroterra”.

Roberto Costa è il coordinatore di Federparchi Liguria: “La premessa è che si è giunti a una situazione critica per il dilagare a macchia d’olio della presenza dei cinghiali sul territorio, anche per una confusione di fondo fra l’attività venatoria, peraltro pienamente legittimata dalle normative nazionali, ma da considerarsi attività prettamente ludico-sportiva, e l’attività di selezione e contenimento della specie, che è altra cosa e deve essere praticata con altri strumenti e obbiettivi”, sottolinea Costa.

“Fatta questa premessa, che tuttavia dovrà servire per giungere una volta per tutte alla ricerca di soluzioni durature ed efficaci nel controllo di questo selvatico il problema, nell’attualità, è rappresentato dalle ordinanze del ministero della Salute e senza entrare nel merito dei provvedimenti va fatto presente tuttavia che la chiusura prolungata di interi territori montani ad attività importanti come escursionismo, MTB biking, turismo equestre, ricerca funghi, rischia di trasformarsi in un nuovo lockdown per un entroterra ligure già pesantemente colpito da due anni di pandemia portando alla chiusura di innumerevoli attività di ogni tipo il cui reddito proviene, del tutto o in parte, dalla presenza del turismo “outdoor”.

Rifugi, agriturismi, attività alberghiere, guide naturalistiche, accompagnatori turistici, centri educazione ambientale, produttori tipici, in particolare nei settori carne, miele, latte, formaggi, taglialegna, allevatori, centri turismo equestre. Un’intera galassia che vive e sopravvive attorno alla fruizione dell’entroterra.

“Basti pensare ai due giovani che proprio da poche settimane hanno preso in gestione il rifugio dell’Antola – riflette Costa – che al momento tecnicamente non è in zona rossa ma che di fatto potrà essere raggiunto, per ora, solo da Propata, e che a oggi non hanno alcuna certezza e alcun aiuto”.

L’altra questione sono le deroghe. La Regione, in base al testo dell’ordinanza, è titolata a prevederle e stabilirle. E Federparchi e gli enti parco le chiedono da subito. “Chiediamo per esempio che i provvedimenti restrittivi alla mobilità pedonale e ciclabile siano quanto più possibile temporanei e provvisori, e che essi vengano comunque almeno graduati per livello di rischio territoriale e garanzie di pratica in sicurezza, ad esempio evitando chiusure totali ma esclusivamente indicando prescrizioni quali l’obbligo di seguire i sentieri segnalati, non portare cani, consentire l’accesso a gruppi controllati, guidati e numericamente limitati, in particolare se diretti a mete precise quali rifugi, altre strutture di accoglienza, beni ambientali, storici ed architettonici”.

La richiesta da parte degli Enti Parco delle aree interessate è quella di ottenere ristori: “Servono grandi indennizzi, non elemosine, per tutte le professioni e le attività dell’entroterra che vivono direttamente o indirettamente di turismo, servono investimenti su questo territorio, perché un anno (difficilmente l’emergenza si esaurirà in sei mesi) senza poter fare manutenzione sui sentieri rischia di farceli perdere tutti. Servono veterinari e Carabinieri forestali, di cui c’è carenza, per monitorare con competenza il territorio. Serve tutto il volontariato, adeguatamente formato, per collaborare con Carabinieri e Servizi veterinari nelle attività di monitoraggio, tanto più ora che il sistema sanitario è sotto pressione per il Covid-19″.

Uno dei punti chiave della “nuova epidemia” è proprio quello dei ristori. Buschiazzo del Parco Beigua è il primo a sottolinearlo: “E’ evidente che la situazione è molto pesante che rischia di distruggere un comparto intero – afferma – bisogna che il governo oltre a chiudere preveda fondi a ristoro e investimenti, perché il problema non sono solo le attività che si fermano ma anche le manutenzioni di boschi, sentieri e strutture che, per tornare a regime, avranno bisogno di risorse. Capisco che la peste suina sia qualcosa che se arriva agli allevamenti rischia di avere una ricaduta pesantissima sul pil nazionale ma esistiamo anche noi”. La richiesta di ristori è arrivata anche dalle associazioni di categoria.

La speranza è quella di riuscire a raggiungere un compromesso per non abbandonare completamente queste aree: “Il territorio del Beigua è il nostro patrimonio turistico, la nostra ricchezza: privarcene significa abbandonarci definitivamente alla marginalità. Già siamo estremamente carenti e dimenticati per servizi scolastici, di trasporto; non parliamo poi della sanità e le infrastrutture stradali sono in pessimo stato. Se i nostri punti di forza ci vengono sottratti siamo veramente persi. Auspichiamo dunque, come previsto dall’ordinanza, che si possa arrivare alla definizione di una autorizzazione in deroga per la pratica delle attività legate al turismo outdoor e per la manutenzione del territorio, concordando le modalità necessarie per minimizzare il rischi di diffusione del virus e al contempo beneficiando di un monitoraggio accurato del territorio, al momento assente”.

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