Intervista

Ospedale Cairo, Morando: “Progetto ambizioso, ma come tutte le Ferrari ha bisogno di piloti”

Il direttore di CairoSalute: "Serve una riorganizzazione del personale". E sul pronto soccorso: “Comprensibile non sia previsto, bisogna intervenire sulle infrastrutture”

amatore morando ospedale cairo

Cairo Montenotte. “Un progetto ambizioso e performante che nel medio – lungo termine sicuramente avrà i suoi risultati e la Valbormida ne gioverà”. Così il direttore di CairoSalute, Amatore Morando, definisce i piani di Regione Liguria per l’ospedale di Cairo, dopo la riunione con il governatore Giovanni Toti alla quale ha partecipato insieme ad Asl, sindaci, sindacati e comitato sanitario locale.

Soddisfazione quindi per il medico di medicina generale cairese, ma anche qualche perplessità, soprattutto per quanto riguarda il personale che lavorerà all’interno dell’ospedale e della casa di comunità che saranno realizzati attraverso un investimento di oltre 10 milioni e mezzo di euro. “L’investimento è altissimo, a livello strutturale ci saranno delle attrezzature diagnostiche di radiologia che sicuramente saranno performanti e soddisferanno le esigenze del territorio quando saranno in funzione, ma come tutte le Ferrari hanno bisogno dei piloti”, afferma Morando.

“Ci sono delle difficoltà logistiche che sono legate al contratto collettivo nazionale del lavoro, che dovrà necessariamente modificarsi affinché i medici di medicina generale assumano ruoli diversi rispetto a quelli che hanno ora – spiega – E bisognerà anche pensare di variare quello che può essere il compito di alcuni servizi, vedi la guardia medica, integrandoli nell’ambito di ambulatori di primo soccorso, quindi diversificando e ottimizzando le mansioni al fine di avere una risorsa umana maggiore. Perché il punto è quello: avere i medici e gli infermieri che fanno correre la macchina. Una soluzione potrebbe essere quella di attingere dalle cooperative”.

Il medico analizza poi nel dettaglio la questione delle emergenze, delle tempistiche e di come dovrà funzionare la casa di comunità.

“Comprensibile non sia previsto un pronto soccorso, bisogna intervenire sulle infrastrutture”

“Il San Giuseppe è stato depotenziato rispetto a quello che era 25/30 anni fa? Ovviamente è vero, ma bisogna anche pensare che è impensabile che si facciano degli interventi alta complessità in un reparto di chirurgia a Cairo e poi si prende un’ambulanza, con la polizia davanti, che trasporti il paziente in rianimazione a Savona. Quei tempi sono cambiati”, dice Morando.

“Allo steso tempo – prosegue – è assurdo pensare che una persona che abbia un dolore cardiaco perda due ore al Ppi di Cairo per essere poi trasferito in emodinamica a Savona. Si sa benissimo che in questi casi il tempo è prezioso, ti cambia la vita futura. Non è una stupidaggine quando si dice che è più sicuro farsi curare in una struttura che ha personale e attrezzature idonei – afferma riferendosi a quanto dichiarato da Toti – e ora l’ospedale di Cairo non li può avere”.

Secondo Morando, dunque, non ci sono più le condizioni per avere un pronto soccorso in Valbormida, come dimostrano anche i numeri raccolti da Alisa sulla richiesta territoriale: “I numeri in medicina fanno da padrone per regolare la materia e la casistica ci dice che il territorio ha bisogno una struttura che si occupi di bassa e bassissima intensità”.

Se, però, risulta quasi impossibile riavere un pronto soccorso al San Giuseppe, possono esserci altre soluzioni per velocizzare l’intervento durante le urgenze. Morando ne individua tre: “Se ne parla da anni, sarebbe fondamentale una bretella che colleghi l’A10 all’ospedale San Paolo di Savona. Non da meno, e sarebbe da realizzare subito, un’uscita del casello dedicata solo alle ambulanze, in modo da evitare il traffico cittadino. Inoltre si dovrebbe potenziare il servizio di elisoccorso, usandolo non soltanto come ultima ratio”.

“In attesa del nuovo progetto, realizzare un ambulatorio dedicato alla bassa e bassissima intensità”

Il nuovo polo sanitario della Valbormida sarà pronto entro il 2026, come previsto in modo inderogabile dal Pnrr. Ma entro 24 mesi, Covid permettendo, entrerà in funzione l’80% dei servizi, “con i primi di questi a regime già dalla primavera 2023”, ha specificato Toti durante la riunione di lunedì sera.

Una tempista quindi ancora lunga, passerà più di un anno prima che alcuni servizi vengano attivati. E se l’attesa è fisiologica, per permettere le varie procedure e i lavori, in molti si domandano cosa succederà nel frattempo. Secondo Morando, è importante intervenire subito offrendo un’alternativa temporanea dedicata alla bassa e bassissima intensità, ad esempio costruendo un piccolo ambulatorio nelle sedi Asl, “ci agevolerebbe tantissimo”, dice.

“Ora, infatti, il problema è rappresentato dai piccoli interventi, come dare i punti, evacuare una cisti, fare una medicazione – dichiara Morando -. Cose spicciole per cui i valbormidesi sono costretti a recarsi in ospedali della Riviera, dove trascorrono intere giornate. Senza contare poi che ritornare a casa spesso si rivela difficile a causa della neve o delle strade chiuse. L‘orografia del nostro territorio purtroppo ci penalizza questo lo sappiamo tutti”.

“È quindi importante – ribadisce – cercare di trovare una soluzione che possa agevolare gli interventi mentre attendiamo che l’ospedale venga ristrutturato”.

“Spesi milioni per nuove sale operatorie, ma ad oggi non previste nel progetto”

È costata circa 2,5 milioni di euro la ristrutturazione delle sale operatorie all’ospedale San Giuseppe di Cairo, ma oggi sono ancora ‘nuove di zecca’. Un investimento che potrebbe essere stato solo un dispendio di risorse, considerando che al momento non rientrano nei piani del nuovo nosocomio.

Aspetto che evidenzia anche il dottor Morando: “Nel contesto che ci è stato descritto non hanno significato. Ma dati soldi che sono stati spesi, spero che vengano tenute in considerazione”.

Una soluzione, propone, potrebbe essere quella di “utilizzarle per un polo di day surgery, a disposizione di specialisti come oculisti o altri”.

“Casa di comunità? A Cairo c’era già, il problema è vedere come sarà garantito il servizio”

Funzionava 10 ore al giorno, 365 giorni all’anno e al suo interno c’erano gli specialisti, l’intramoenia, il consultorio, l’assistente sociale del comune, i medici di medicina generale e il pediatra, e in un secondo momento anche la guardia medica. Stiamo parlando di CairoSalute, “un progetto che poi è terminato e che ora vogliono riprendere chiamandolo con un nome diverso”, sottolinea Morando. “La differenza è che prima veniva gestito da noi medici di famiglia, ora invece sarà all’interno dell’ospedale e sarà l’Asl a doverla fare funzionare con il supporto orario di noi medici”.

E proprio su questo aspetto, al momento, ci sono maggiori criticità. “Sarà necessaria una riorganizzazione e un nuovo contratto sul lavoro”, spiega Morando. Su questo sta lavorando il ministro alla Salute Roberto Speranza che ha ricevuto pochi giorni fa il via libera delle Regioni sulla bozza di provvedimento che rivoluziona la medicina territoriale. Dalle 15 ore minime obbligatorie previste fino ad oggi per i medici di base, si passerà a 38 e di queste almeno 6 dovranno essere svolte nelle case di comunità. Ma secondo il direttore di CairoSalute, non saranno sufficienti a coprire il servizio nell’ospedale cairese.

“Basta fare un semplice calcolo – evidenzia – i medici in Valbormida sono circa una trentina, se moltiplichiamo 6 ore a testa per un mese sono 180 ore, ovvero servizio garantito solo 6 ore al giorno. Bisogna quindi per forza trovare una risorsa che faccia funzionare i servizi: se in previsione c’è l’intenzione di affidarli alle cooperative o altro, allora ha un significato, altrimenti allo stato attuale delle cose oggi non è possibile”.

“Anche perché – aggiunge – in questo momento la burocrazia del Covid assorbe circa il 100% del nostro lavoro quotidiano, in media 7-8 ore di ambulatorio al giorno nelle quali rispondiamo a centinaia di chiamate e messaggi e svolgiamo attività di risoluzione di pratiche di guarigione, stampe dei green pass, segnalazioni di pazienti positivi. Poi dobbiamo fare i medici, quindi dare le cure, curare cronicità, diabeti, scompensi ecc. Di fatto, ora sarebbe matematicamente impossibile svolgere un’attività terza rispetto a quello che stiamo già facendo. Ma Toti ha assicurato che dovrebbe partire il tutto alla fine dell’emergenza Covid”.

“Bisogna capire che cosa vogliono fare all’interno della casa di comunità, ancora non sappiamo come funzionerà. Ed un problema che erediteranno i nostri successori, perché i due terzi dei medici cairesi che sono ora in attività nel 2027 molto probabilmente saranno in pensione”, conclude.

leggi anche
toti ospedale cairo
Progetto
Cairo, Toti: “Il pronto soccorso non ci sarà, non ci sono i numeri. Sì all’ospedale di comunità”
simone zignoli ospedale di cairo
Barricate
Pronto soccorso di Cairo, Ziglioli (Pd): “Inaccettabile considerare il diritto alla salute una mera statistica”
ospedale cairo
Opinioni divergenti
Ospedale Cairo, sindacati divisi: per la Uil “buon risultato”, per la Cgil “mancano troppe risposte”

Vuoi leggere IVG.it senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.