Savona/Piombino. E’ innocente Fausta Bonino, l’infermiera di 57 anni originaria di Savona accusata di aver ucciso almeno 4 pazienti all’ospedale di Piombino somministrando loro farmaci anticoagulanti. Lo ha deciso la Corte d’Appello di Firenze, che ha ribaltato la sentenza all’ergastolo comminatale in primo grado.
La donna, nata a Savona, agli inizi degli anni ’80 si era trasferita a Saliceto, in provincia di Cuneo; dopo aver vissuto anni in Piemonte era giunta in Toscana, dove ha lavorato per 20 anni come infermiera nel nosocomio di Piombino. Finì al centro di un caso di cronaca di rilevanza nazionale quando, nel 2016, fu arrestata con l’accusa di aver ucciso alcuni pazienti. Nei due anni precedenti si erano registrate 13 morti sospette nel reparto di Rianimazione: pazienti tra i 61 e gli 88 anni ricoverati in gravi condizioni per diverse patologie, ma non terminali. Secondo l’accusa responsabile era l’infermiera, che – era la tesi degli inquirenti – li avrebbe uccisi volontariamente somministrando loro alti dosaggi di un farmaco anticoagulante, eparina, causando una rapida, diffusa ed irreversibile emorragia con conseguente morte.
La donna, sposata e madre di due figli, venne arrestata dai Nas il 30 marzo 2016, al rientro da un viaggio a Parigi. A focalizzare su di lei le attenzioni dei carabinieri alcuni dettagli: il fatto che l’infermiera era sempre presente nei turni in cui veniva somministrata ai pazienti l’eparina, il miglioramento delle statistiche di mortalità del reparto dopo il suo trasferimento nell’ottobre 2015 (si passò dal 20% al 12%), la depressione che l’aveva portata a rivolgersi a uno specialista. Al termine del processo di primo grado, nonostante si fosse sempre professata innocente, venne condannata all’ergastolo per quattro di quelle morti.
Ieri la Corte d’Appello di Firenze ha ribaltato quel verdetto: per i giudici Fausta Bonino è innocente. Decisivo un dettaglio: quattro tra medici e infermieri hanno testimoniato in aula che per accedere al reparto di Rianimazione non era necessario un badge di riconoscimento. Chiunque, in sostanza, avrebbe potuto entrare in corsia e somministrare quel farmaco. La savonese, alla lettura della sentenza, è scoppiata in lacrime abbracciando il marito e il figlio che erano in aula.
Per lei rimane quindi solo la condanna ad un anno e mezzo di carcere (pena sospesa) per il reato di ricettazione, a causa di alcuni farmaci trovati nella sua abitazione durante la perquisizione.